Telepatia, telestesia

12 Settembre 2012

Origine e funzione

 

Cambridge, Regno Unito, 1882. Frederic Myers (1843-1901) inventa due parole: telepatia e telestesia. Al prefisso τελ-, che in questo caso rimanda alla distanza, si aggiungono πάөος (passione, affetto) nel primo caso, e αἴσөησις (sensazione) nel secondo. Intenzione di Myers è indagare fenomeni paranormali. La sua ipotesi non è così stucchevole come di solito in questo tipo di letteratura. Myers collega la telepatia – termine che, tra i due, ha avuto più successo – al fenomeno degenerativo. Invero per lui degenerazione è indicedi genialità. Myers ripete, a modo suo, un tema caro al suo conterraneo, più vecchio di quasi trecento anni, Robert Burton (1577-1640).

 

Firmandosi Democritus Junior, Burton, rinnova gli antichi argomenti intorno alla melanconia. Per farla breve: genio e sregolatezza. Si tratta di vedere come funziona e quali sono le origini della questione. Funzionare, la questione, funziona male. Son casi rari, sgangherati, confusi. Gli esoterici la chiamano divinazione, gli scientisti la definiscono priva di senso. Nel migliore dei casi si tratta d’inferenza poco probabile, roba buona per la letteratura. Il filosofo Charles Sanders Peirce (1839-1914) la chiama abduzione, conquesto sillogismo:

 

 

tutte le pedine in questa scatola sono bianche,

queste pedine sono bianche,

queste pedine vengono da questa scatola. 

 

Sembra facile! Dà l’impressione di essere roba certa. Invece il biancore delle pedine è precisamente l’indizio che le pedine possano non provenire da quella scatola. Potrebbe avercele messe qualcuno per depistarci. Scepsi holmesiana. C’è chi ci prende sempre, come Sherlock Holmes e il Monsieur Dupin di Edgar Allan Poe. Invero quest’ultimo non è solo abile conoscitore di metodi indiziari, possiede quell’esperienza interiore che permette di pensare i pensieri dell’altro. Poe lo presenta nel primo racconto della trilogia omonima. Ineffabile giocatore di Whist, Dupin risponde al pensiero formulato dal narrante dopo una lunga passeggiata silenziosa. Questi gli chiede come avesse potuto sapere quel che aveva in mente proprio ora, dopo un lungo silenzio tra i due. Dupin ricostruisce il percorso mentale del narrante durante la camminata, dal momento in cui i due avevano smesso di chiacchierare. Ripete, parola per parola, il flusso dei pensieri dell’amico.

 

Non siamo più alle pedine bianche, indizio di non provenire dalla scatola. Holmes è un genere di personaggio, un algoritmo sospettoso, Dupin è degenerato, possiede qualità inquietanti. Nella Lettera rubata, altro racconto della trilogia, Dupin ha già nelle mani la lettera, sottratta alla Regina dal Ministro. Riesce – in pochi minuti di ricevimento presso la casa del Ministro – a recuperarla. La polizia cerca dappertutto, ore e ore, durante molteplici perlustrazioni segrete presso l’appartamento del Ministro, ma non trova nulla. Dupin pensa i pensieri del Ministro. Luogo più evidente dove nasconderla: il contenitore delle lettere ricevute.

 

 

Empatia

 

Si potrebbe parlare di empatia: la capacità di Dupin di mettersi nei panni dell’altro, la certezza di ripercorrere senza alcuna fallacia, il suo pensiero. Invece Edmund Husserl (1859-1938) insegna che l’Einfühlung (immedesimazione o empatia) è sempre presuntiva.

 

Come sostiene Cristhopher Bollas: “Mentre l’analizzando, producendo associazioni libere [...] presenta un tappeto sonoro, l’analista riceve (per lo più inconsciamente) una trama complessa di collegamenti possibili” (Bollas, Il mondo dell’oggetto evocativo, p. 21). La seduta è una comunicazione tra due parti inconsce, quella della persona in terapia e quella del terapeuta. La coppia freudiana, come la chiama Bollas, sta nella presuntività di cui parla Husserl, nello scarto tra il medesimo e il presunto. Finché c’è fallacia, c’è relazione, differenza. I problemi sorgono quando la fallacia è satura. Dupin non sarà mai psicoanalista perché conosce troppo gli altri; li cura, ma interdice la cura di sé. Per farsi pagare espone l’esempio del medico. La curiosità di Dupin è satura, nessuna parola vuota, solo pienezza di senso.

 

 

Sincronicità

 

Il problema della telepatia fu affrontato da Jung in un saggio sulla sincronicità del 1952, pubblicato insieme a uno scritto del fisico Wolfgang Pauli (1900-1958). Jung si riferisce all’opera di Myers e si domanda se il concetto di sincronicità possa colmare

 

      

una lacuna nella concezione del mondo elaborata dalla scienza; in particolare come un contrappeso al principio di causalità. Una caratteristica specifica della sincronicità, però, è che comprende sia i fenomeni non fisici che quelli fisici, e che li percepisce in un rapporto reciproco non causale ma significativo (Ira Progoff, Le dimensioni non causali dell’esperienza umana, p.9).      

 

Invero l’ipotesi di Myers pone la domanda darwiniana: se alla degenerazione attribuissimo evoluzione, se i nostri degenerati fossero tipi umani particolarmente strani, se possedessero capacità affettive a noi estranee, che mostrano sensibilità sconosciute, non potrebbero essere persone rare del corso evolutivo? Bateson le chiama forme di apprendimento a scarsa probabilità negli individui umani adulti. Casi rari, che osservano eventi a noi incomprensibili, indiscernibili, imperscrutabili; come ammise Ippocrate al cospetto di Democrito. Come renderne conto, come spiegarli? Bateson soleva rispondere: “Questo mi ricorda una storia”.

 

 

Comunicazione inconscia

 

La persona mi racconta un episodio accadutogli di recente: l’apprendimento della morte della suocera mentre viaggia in tram con la moglie, Claudia. I due, scossi, rimangono muti in fondo al tram semivuoto, non fanno il biglietto, prendono la multa. La Cosa che lo inquieta è un sogno di dieci anni prima, alcuni giorni prima del matrimonio con Claudia.

 

Sta in fondo al tram con la madre della fidanzata, i due si rendono conto improvvisamente della morte di Claudia. Rimangono attoniti a piangere appoggiati all’obliteratrice. Sogno caduto nell’oblio fino a quel momento.

 

Evoca in me episodi di trama differente, con ripetizione, la scomparsa da Milano del tredici (el trèdes), che prendevo quotidianamente – mi portava a scuola, in centro, a trovare gli amici, alla Statale. Sogno quel tram vagare per Milano, per Bergamo, venne a prendermi fino in Massachusetts, dove ho trascorso alcuni periodi viaggiando su Peter Pan Bus.

 

Forse è questo che Bollas intende quando si riferisce alla comunicazione inconscia. Ho scelto l’esempio in cui il tram è l’oggetto evocativo. Tramsfert è traslazione che accade tra due persone che hanno vissuto in una grande città, come Milano.

 

Tram non è oggetto qualunque, ha una propria quiddità. Si viaggia insieme: odori, suoni, panche di legno, nel traffico. Va scomparendo dall’invenzione del jumbo-tram, ma non è del tutto eliminato, dalla città e dal ricordo. Regno della presuntività. Persone sconosciute si parlano, lente, immerse nel rumore, durata indecidibile, quando non c’erano le segnalazioni del tempo di arrivo, false e mutevoli. Quando si tratta di aspettare.

 

 

Telepatia onirica

 

Capita di fare sogni che contengono episodi che si manifestano dopo il sogno. Elvio Fachinelli (1928-1989) scrive al proposito:

 

Formalmente, si tratta di episodi di telepatia onirica o di precognizione onirica, che si accompagnano, alcune volte, a lapsus della vita vigile, nei quali si riconosce un movimento parallelo (Fachinelli, Claustrofilia, p.168).

 

Ci sono almeno due modi d’intendere la telepatia. L’uno è cosmico, spiritualistico, credulone.

L’altro epifanico.

 

 

Epifanie/telestesie.

 

Nel 1905 James Joyce gettò alle fiamme Stephen Hero, romanzo salvato e riscritto a Trieste.

 

Queste volgarità lo indussero a pensare di mettere insieme molti di quei momenti in un libro di epifanie. Epifania era per lui manifestazione spirituale, repentina. Così nella volgarità del discorso, del gesto, come in una fase memorabile dello spirito. Credeva che registrare con estrema cura queste epifanie fosse compito del letterato, che le osserva in sé come momenti, i più delicati ed evanescenti. Disse a Cranly che l’orologio della Torre di Ballast era capace di un’epifania. Cranly interrogò il quadrante imperscrutabile della Torre con espressione non meno imperscrutabile:

-        Stephen disse, sì. Ci passo davanti in ogni momento, alludo alla Torre, mi riferisco a lei, l’afferro con un’occhiata. È solo un elemento del mobilio stradale di Dublino. Poi immediatamente la vedo e subito capisco cos’è: epifania.

-        Che cosa?

-        Immagina le mie occhiate all’orologio come tentativi di un occhio spirituale che cerca di adattare la sua visione a un focus preciso. Nel momento in cui il focus è raggiunto, l’oggetto è epifanizzato. Proprio in quest’epifania trovo il terzo, la qualità suprema della bellezza. (Joyce, Stephen Hero, p. 211, trad. mia).

 

L’esperienza estatica è telestesia, più desueto di telepatia e con un senso diverso. Potremmo accontentarci di ciò, forse la telepatia è uno sviluppo troppo avanzato della telestesia. Come quando Francis Bacon distrugge i quadri perché andato troppo in là, quando Lacan distingue tra sublimazione e la Cosa, quando Bateson mostra la differenza tra arte e Sacro. Forse la psicoanalisi non può permettersi di andare troppo al di là della telestesia, si deve fermare prima della telepatia. In questo spazio interstiziale tra le parole e la Cosa vale la pena sondare la soglia, rischiando di attraversarla di tanto in tanto, così come hanno fatto Joyce, Bacon, Bateson, Fachinelli e altri. Sporcarsi un po’ le mani, essere un po’ imperfetti.

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