Una sinfonia per una capitale

13 Novembre 2014

L’aria unica, favolosa di Roma negli anni cinquanta e sessanta, quando esplodevano il cinema, la vita dolce e quella intellettuale, secondo Franca Valeri. Perché Roma, l’eterna, non sarà mai un capitale, come sostiene Corrado Augias. Le periferie di Giancarlo De Cataldo e di altri, il dolore degli ospedali narrati da Valerio Magrelli e da Christian Raimo, storie di margini, storie di nuovi italiani, storie di morte o di sogni. Le memorie di San Lorenzo (Eleonora Danco), del ghetto (Anna Foa), di una gioventù a Borgo Pio (Giuseppe Manfridi), il ricordo di quel poeta del teatro che fu Victor Cavallo (Elena Stancanelli).

 

La generosità, il desiderio di cambiare le cose, nonostante tutto. Si svolgono in ventiquattro luoghi diversi di Roma, dal “Sacro Gra” al Trastevere di Lidia Ravera, da incroci anonimi dove è facile fare crash dopo uno sballo (come racconta Fausto Paravidino), alla lotta per la dignità, per il diritto alla vita e all’immaginazione di una donna immigrata tra la movida del Pigneto in uno squarcio poetico di Igiaba Scego, alle rive del Tevere di un espressionistico brano di Francesco Suriano, ai palazzi dove si commercia in lusso e minorenni narrati da Ascanio Celestini. Ventiquattr’ore della vita della città non più eterna, che spira malessere dai suoi sampietrini o che costituisce ancora una speranza per nuovi poveri. Ritratto di una capitale è un progetto del nuovo direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi, che ha chiesto a ventiquattro scrittori e drammaturghi di raccontare in brevi scene un aspetto della città, con due prologhi affidati a Corrado Augias e alla umoristica, ferocemente elegante penna di Franca Valeri.

 

Roma, inoltre, in questo progetto l’hanno ritratta con toni realistici e espressionisti o con accensioni fantastiche anche Eraldo Affinati, Lorenzo Pavolini, Tommaso Pincio, Paola Ponti, Ricci/Forte, Andrea Rivera, Letizia Russo, Roberto Scarpetti, Claudio Strinati, Daniele Timpano/Elvira Frosini, Emanuele Trevi, Mariolina Venezia. Sono penetrati, tutti, nelle sue pene, nei suoi quotidiani segreti, nelle sue vene. I testi saranno montati in spettacolo con la regia di Fabrizio Arcuri e si potranno vedere sul palcoscenico del Teatro Argentina prima in due tranche separate, poi in due maratone di molte ore.

Ci racconta il progetto e i nuovi indirizzi dello stabile capitolino il direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi. Calbi si è formato nell’editoria. È stato l’inventore delle fortunate rassegne dedicate ai Teatri ’90; poi direttore artistico del teatro Eliseo a Roma e infine responsabile delle attività teatrali dell’assessorato alla cultura di Milano.

 

 

Cos’è questo Ritratto di una capitale? Un biglietto da visita?

È un manifesto politico e di poetica di quello che ritengo il teatro debba essere nei prossimi anni. Questa capitale soffre l’assenza di un’istituzione pubblica teatrale in cui la città si identifichi. Vengo da Milano conosco e bene la relazione forte tra quella città e il suo teatro pubblico. Appena arrivato qui, ho pensato che la prima stagione dovesse essere dedicata a Roma come città speciale e alla sua creatività, non solo teatrale. Vogliamo un teatro aperto a diverse tipologie di creatività e di spettatore. Il nostro slogan è “Il teatro riparte da Roma. Roma riparte dal suo teatro”.

 

Oggi la situazione degli spazi di spettacolo dal vivo nella capitale non è felicissima…

Sì, oggi ci sono numerose smagliature, a partire dalle incertezze dell’Eliseo e da altre sofferenze. Confido che rimettendo in sesto lo Stabile, dandogli nuova linfa, possa beneficiarne l’intero sistema della città. Abbiamo riaperto, sia pur parzialmente, il teatro India, dove accogliamo compagnie indipendenti. Abbiamo presentato il nuovo spettacolo di Lucia Calamaro, una personale di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, porteremo Fabrizio Parenti, Alice Forte, Patrizia Zappa Mulas, ma anche Leo Gullotta e Giuliana Lojodice. Vogliamo farne un cantiere aperto alla città, archiviando le etichette, facendo dialogare le generazioni. Il teatro non è novelle vague o vecchia guardia: è buono o cattivo, parla oppure è afono.

 

Foto di Giuseppe ScrugliFoto di Giuseppe Scrugli

 

Ci racconta come è nato Ritratto di una capitale?

Mi sono chiesto, riprendendo un’idea che avevo realizzato a Milano una quindicina di anni fa con Oliviero Ponte di Pino, se il teatro fosse capace di raccontare la città. Ne è venuto fuori questo kolossal in ventiquattro scene e due prologhi. Abbiamo chiesto un brano, o meglio un pensiero, a scrittori differenti, una lettera d’amore o di critica. Gli autori rispecchiano generazioni, poetiche, indoli, stili diversi Alcuni narrano, altri presentano scene teatrali. Al regista Fabrizio Arcuri ho affidato il compito di rendere i diversi sguardi un’opera unica, un unico flusso, aiutato dai paesaggi sonori di Mokadelic (quello del Gomorra Sky) e da quelli visivi, virtuali, di alcuni videoartisti, Luca Brinchi, Roberta Zanardo / Santasangre, Daniele Spanò.

 

Come realizzerete questa impegnativa impresa?

In troppo poco tempo e con un budget molto risicato, purtroppo. Credo che lo spettacolo maturerà all’ultimo momento. Sarà possibile grazie alla militanza di chi vi partecipa. Tra gli altri, attori come Leo Gullotta, Anna Bonaiuto, Francesca Ciocchetti, Maddalena Crippa, Eleonora Danco, Filippo Dini Roberto Latini, Danilo Nigrelli, Timpano/Frosini, Milena Vukotic.

 

Foto di Giuseppe ScrugliFoto di Giuseppe Scrugli

 

Qual è la cifra espressiva?

Ci sono momenti di poesia, di amarezza, di calore; temperature diverse, un po’ come quelle che avverti in questa città. Non vedrete né la Roma del neorealismo né quella di Fellini: sarà quella di questi nostri tempi, disorientata come l’Italia. Ci sono momenti di divertimento, di rabbia, di delusione, di bellezza.

 

È un tentativo di teatro civile?

È una sfida a interrogarsi se il teatro può parlare di noi. Se possiamo far rivivere lo spirito di Atene, dove la comunità si riversava, con i suoi problemi, nel teatro di Dioniso. La domanda è: può l’arte della scena tornare a essere quell’esperienza di cui l’uomo si è dotato per parlare di sé?

 

 

Si legge che nei prossimi anni, se lo spettacolo funziona, lo vuole estendere a altre città.

Mi piacerebbe chiedere delle cartoline a scrittori, magari under 40, dalle ventotto capitali di Europa. Verrebbe fuori una sinfonia d’Europa. E l’anno dopo vorrei coinvolgere di nuovo ventiquattro città del mondo, anche non capitali, Shangai invece di Pechino per esempio, in una sinfonia del mondo piena di nuove nazioni, magari con un’elaborazione multimediale, tecnologica, che permetta ibridazioni e contemporanee. Ogni lavoro potrebbe essere testato nelle singole città, in un politttttttico con tante t, come scriveva Marco Martinelli, che si componga in affresco a Roma. Roma può essere teatro del mondo? È una città scena? Ma, prima ancora: esiste? È una grande bellezza, è poesia, o è un sogno mancato, una voragine? Mi chiedo cosa avrebbe pensato Pasolini di questo momento. Io torno, dopo l’esperienza dell’Eliseo, in un momento difficile. Roma è spesso criticata, detestata: ci sono persone che non le vogliono bene, che desiderano abbandonarla, fuggirne. Credo che il suo futuro debba ripartire dalla cultura, dal teatro, mettendo al centro una scelta civica forte. Milano si stringe intorno al suo Piccolo Teatro. Roma è la città del cinema, della televisione, dell’intrattenimento. Proviamo a porre al centro una volta il teatro, quello più puro, come esperienza, come parlamento sociale - luogo dello scambio, del parlarsi dei componenti della società - come luogo in cui specchiarsi.

 

La sua direzione punterà sui progetti e sulla produzione?

Sono arrivato e hanno subito tagliato un milione duecentomila euro. Nonostante tutto, però, questo è un teatro dalle grandi potenzialità. Abbiamo fatto ripartire la ristrutturazione dell’India, abbiamo acquisito il Valle riportandolo alla legalità. Nel 2015 contiamo di avere due sale antiche (Argentina e Valle) e una moderna (India), bellissime. Aspiriamo al rango di teatro nazionale: Roma lo merita. Con produzioni e progetti vogliamo conquistare un pubblico ampio, nuovo, differenziato, e diventare il punto di riferimento per il teatro di qualità ma anche per forme espressive nuove, non autoreferenziali però. Non faremo stagioni affastellate. Abbiamo in programma un progetto su Pasolini e uno su Eduardo De Filippo, il teatro del sacro e quello dello sport, e dodici Shakespeare, con il Sogno riscritto da Botho Strauss con la regia di Peter Stein, per esempio, e una Grande magia (di Eduardo) per bambini. Faremo molti incontri di approfondimento culturale e testi che rovistano nella memoria della città, anche archeologica (in fondo siamo sul teatro di Pompeo, non lontani dal luogo dove fu ucciso Cesare). Recupereremo Esposizione universale di Luigi Squarzina, sull’esposizione del 42 saltata per la guerra.

 

FotoCastorpFotoCastorp

 

E il Valle?

Aspettiamo un progetto dagli ex occupanti e dalla Fondazione Valle bene comune, che dovrebbe riempire una parte di stagione. Il teatro riaprirà verosimilmente nel 2015: sarà il luogo della parola, dell’attore, dell’autore. Stiamo commissionando e ricevendo progetti in tal senso. Vi faremo la drammaturgia degli ultimi trent’anni, in collaborazione con festival come Short Theatre e RomaEuropa, premi come il Riccione, con persone che sul territorio lavorano in queste direzioni come l’associazione Pav, Gioia Costa e Monica Capuani.

 

Ritratto di un capitale va in scena al teatro Argentina in due tranche il 18 e il 19 novembre dalle 18 alle 24 (replica delle due parti rispettivamente il 20 e il 21; maratona con tutte le scene sabato 22 e domenica 23 dalle 15 alle 03)

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