Van Gogh lettore e pittore

28 Settembre 2023

È una mostra emozionata ed emozionante, quella che si è aperta il 21 settembre scorso al Mudec - Museo delle Culture di Milano, in collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo. Concepita e curata da Francesco Poli con Mariella Guzzoni e Aurora Canepari, poggia su un intento nitido: sottrarre la figura del pittore olandese morto suicida nel 1890 all’età di trentasette anni a quel fridakahlismo spinto che ha tolto spessore alla sua arte, alla sua visione etica e politica, alla sua ‘cultura’.

Quel titolo, “Pittore colto”, parla – forse in modo non del tutto felice – proprio del desiderio di rimettere a fuoco ciò che sta prima, sotto, a lato delle grandi opere artistiche, di emancipare l’artista non dalla sua biografia, ma dalla gabbia ingannevole del biografismo e relative, accecanti derive mercantili. Ridurre un* artista alla sua drammatica storia di vita, piegandone le opere a sintomo o espressione di altro, non fa giustizia né ai suoi lavori né all’intelligenza di chi li osserva a distanza di tempo. Tanto più se l’artista in questione, come nel caso di Van Gogh, è un finissimo ‘intellettuale organico’, un uomo di lettere che sceglie di mettere il proprio sguardo, la propria mano e la propria passione di ricerca al servizio della ‘realtà’ storica e sociale della propria epoca, inserendosi in una limpida, inequivocabile genealogia pittorica e letteraria, e anticipando in modo vertiginoso ciò che si annuncia attraverso segni impercettibili ai più.

m
Vincent Van Gogh, Tronchi d’albero nell’erba. olio su tela, 1890.

Van Gogh – come documenta Mariella Guzzoni nelle vetrine che punteggiano la mostra, riproponendo passi e immagini del bel volume da lei curato I libri di Vincent. Van Gogh e gli scrittori che lo hanno ispirato (Johan & Levi editore, 2020) – legge e rilegge gli autori che sente affini e maestri (Michelet, Zola, Balzac, Hugo, Dickens, i fratelli Goncourt, Souvestre, Goethe, Sainte-Beuve, Heine, ma anche la Bibbia e Shakespeare), ne annota i testi, ne ricopia alcuni passi, scrive (poesia e lettere), studia, colleziona stampe e illustrazioni, frequenta i luoghi dell’arte, riproduce i dipinti che più gli parlano. 

Non è, quest’ultimo, un esercizio scolastico, bensì un atto di “immedesimazione”. Per vedere ciò che l’amato Jean-François Millet, fratello d’anima, vedeva, bisogna guardare con i suoi occhi, sostare a lungo nel suo spazio pittorico e spirituale, assumerne il ‘tempo’, penetrarne l’atmosfera, condividerne materialmente la visione. Solo capendo in che modo è stato fatto ciò che lui ha fatto è possibile trovare un modo che se ne discosti per simpatia, facendo spazio al proprio pensiero senziente, a un corpo diverso alle prese con modi di vedere e di rappresentare diversi. 

L’Angelus della sera (da J. F. Millet) che Van Gogh realizza nel 1880 a matita, gessetto nero e rosso e lumeggiature bianche su carta vergata, non è né una copia né una replica dell’Angelus di Millet, bensì un gesto interpretativo che ne consente l’intima comprensione, non l’appropriazione e tantomeno il ricalco. Se nella tela di partenza l’orizzonte, spaziale e spirituale (il rapporto tra la terra e il cielo), sfuma all’infinito secondo le leggi della prospettiva classica interferito con creaturale prepotenza dalla presenza umana, nella traduzione che ne fa Van Gogh lo spazio sembra contestare se stesso, ribaltando il vicino nel lontano, il sotto nel sopra, affermando spazialmente il primato della terra e temporalmente una sorta di assolutezza del presente. Le figure umane, benché tuttora accampate al centro della scena, non ne sono più il fulcro. È il punto di vista che è cambiato: rastrello, uomo, cesto, donna, carriola sembrano allinearsi in una catena semantica di pari grado. Adesso, a fare da protagonista, è lo sfondo convertitosi in primo piano. Tra umano e materia non c’è soluzione di continuità. 

,
J. F. Millet, L’Angelus della sera, olio su tela, 1858-59. 

In mostra, accanto a I mangiatori di patate, una litografia su carta realizzata da Van Gogh nel 1885, figura un brano illuminante tratto da una lettera al fratello Theo: «Vedi, ho cercato di fare in modo che sia possibile farsi un’idea di questa gente che mangia patate alla luce di una piccola lampada, che ha zappato la terra con quelle stesse mani che ora tende verso il piatto». L’opera, prosegue l’artista, «parla dunque di lavoro manuale e di come quei contadini si siano guadagnati onestamente il loro cibo. Ho voluto dare l’idea di un modo di vivere completamente diverso dal nostro, da quello della gente “civile”. Quindi non vorrei che tutti si limitassero a trovarlo bello e pregevole senza nemmeno capire il perché».

m
Lettera di Vincent Van Gogh al fratello Theo, aprile 1885.

Capire il perché. Delle cose. Delle opere. Dei sentimenti. Delle stagioni. Delle forze che muovono nuvole, stelle e pianeti. Del fluire dell’acqua. Del seme che matura in grano. Del fiore che appassisce. Del vento che squassa gli alberi. Del filo d’erba. Del cuoio che si fa scarpa. Del legno che si fa sedia. Di noi umani dentro questo vortice incessante, accasati nello spaesamento, timorosi di osservarlo riconoscendocene osservati. 

È lì che si compie il miracolo figurativo o l’invenzione di Van Gogh. L’artista non impone il suo sguardo alle cose ponendosi davanti ad esse da un’angolatura mutevole e tuttavia privilegiata. Se ne lascia avviluppare, ‘danza tra’. Tecnicamente, come mostrano in modo nitidissimo le opere dell’ultimo periodo in mostra al Mudec, significa sbaragliare tutte le categorie spaziali su cui è andata definendosi l’arte occidentale a partire dal Rinascimento. Là dove il lontano è vicino, dove il davanti si confonde con il dietro e le chiome degli alberi si rispecchiano nelle proprie radici, la prospettiva cede a una visione che potremmo definire quantistica. 

Materia, manualità, zolle che si attorcigliano come serpi, corpi umani che non si piegano al volere divino, ma alla fatica di quel combattimento incessante per la vita che è il lavoro. Il cielo dell’Angelus di Van Gogh è basso come il soffitto della stanza/grotta dei mangiatori di patate: non rimanda a nessun altrove. E il terreno somiglia a un labirinto: porta esattamente dove sei sempre stato e invita a guardare meglio, a chiedersi che cosa si muova sotto la sua superficie. Le gerarchie che in Millet sono ancora chiare e che pongono gli esseri umani dolorosamente al di sopra della natura in Van Gogh cominciano a scardinarsi. 

Ed è qui, con un colpo di genio curatoriale, che la mostra ci proietta nella Parigi ‘innamorata di Giappone’, cui Van Gogh approda il 19 febbraio 1886, scoprendo la semplificazione del colore e gli sfondi piatti dei grandi maestri nipponici: Hiroshige, Hokusai, Utamaro. I loro paesaggi e le loro figure mettono radicalmente in discussione l’ottica occidentale, creando un diverso sistema spaziale. Il fuori campo ne è uno degli elementi portanti e così la s/proporzione tra figure umane e ambiente. La natura è una sola e gli esseri umani ne fanno parte allo stesso titolo delle formiche, delle onde, di un ramo d’albero, di un filo di fumo, di un ciliegio in fiore. È un’istigazione che sembra rispondere a qualcosa che Van Gogh ha maturato in proprio, «guardando le cose a lungo e da vicino», e che trova piena espressione nei tronchi e nei rami che in quegli anni egli scarnifica con un ‘colorismo arbitrario’, «con la libertà che ha l’artista di esagerare». «Il talento», come scrive al fratello, citando Flaubert a proposito di Guy de Maupassant e del suo romanzo Pierre e Jean, pubblicato nel 1887, «è una lunga pazienza e l’originalità uno sforzo di volontà e di osservazione intensa». 

Per il ‘colto’ Van Gogh, lo scambio costante con le opere, le immagini, le parole di altri artisti produce quella pressione osmotica da cui scaturisce ogni gesto creativo inedito e tuttavia ‘necessario’. Dipingere e scrivere sono atti dialogici, danno piacere e consolano.

m
Vincent Van Gogh, Ritratto di Père Tanguy, olio su tela, 1887.

Mi piace concludere queste mie note con la poesia dedicata a Vincent Van Gogh dalla poeta statunitense Robin Morgan. Chi andrà a vedere la mostra milanese, aperta fino al 28 gennaio del 2024, capirà perché. Si intitola “Ai margini del campo di grano”.

Cosa è costante, al mondo?
Fritillarie in un vaso di rame. Due logori
scarponi, segnati da piedi deformi. Un iris solitario.
Farfalle. Erbe indolenti.
Quattro anni ancora, ignaro della data
finché vorticose sbanderanno le stelle
dentro il cielo notturno, 
i corvi tempesteranno il tuorlo
del mezzogiorno, tutto si altererà, avanzerà, traboccherà…

Per ora cerca di comportarti normalmente.
Cerca di guadagnare, sii fermo, indipendente.
Le stampe giapponesi sono in gran voga.
Imitale: le loro quiete, rigide
ombre pastello, il loro formale, piatto
– qualcosa intorbida il fondo, rotola in onde
più vicino, qualcosa dentro, qualcosa sotto
quattro anni ancora –

Sottobosco, allora. Tornato di moda
ma in stile tradizionale. Esercita
il tuo mestiere, l’arte di disegnare, la disciplina,
trattieni il timore per quanto intorbida e si torce turbinando
al fondo
. Sottobosco. Sì. Però domato, ordinato.
No, la tua tavolozza-coltello sfregia il sensibile.
Il tuo imbrattare percola una forza che si inarca,
si attorciglia, tre anni ancora 

preme ogni lama d’erba e la piega
a un vento senza uguale.
Il sottobosco dilaga dal basso
da ciò che non può essere visto là dove
le radici degli alberi avvitano le nocche ad afferrare –

Gli alberi, oggi, fanno tendenza. I viali. Imponenti, solenni,
maestosi. Truppe in formazione.
Cerca di comportarti normalmente, dipingi alberi.

Ma questi rami e tronchi si annodano e deformano,
li aggroviglia una forza che sconvolge
le linee rette, nel lavorio, sotto la spinta
del crescere. Non è normale? Forse,
ma non è popolare. Oppressa
la gente non vuole vivere con queste storpie
tenebre alle linde pareti. Cerca
di comportarti normalmente. Non c’è sicurezza, non indipendenza

possibile, soltanto questo andare ai margini di un campo di –
Guarda! Guarda che cosa irrompe! Grano radioso, spighe
languide gru giallo limone dal lungo arco del collo tuffato in uno stagno.

Nature morte, allora. Sempre affidabili. Frutta in una coppa. Fiori
pastello amabili. Ma guarda! Volgari, sfrontati girasoli, spigolosi
comuni
– un’offesa, per chi colleziona. Due anni ancora.
Pere, allora. Pesche, una mela. E quiete
finalmente. La coppa posa immobile. Qualcosa da comprare, appendere

conservare… ma l’aria, guarda, e lo spazio
che accerchia la frutta, che assedia la coppa:
sfregi di tavolozza-coltello a centinaia, fitti segni pulsanti
che fanno crepitare la bufera soffiando da vicino. Un anno ancora.

La norma non si trova, la retta in natura
non esiste, la natura non è morta, la tela non è piatta,
perché qualcosa avanza a ondate, percolando
da sotto.
Muoverà le stelle a stravolgere il cielo notturno,

i neri uccelli a tempestare il mezzogiorno, a denudarsi l’aria.
Quando una sola fucilata spaventerà i corvi
non ci sarà più attesa, non resterà più tempo. È ora
di entrare nel campo di grano, nei gialli fulgenti
ai cui bagliori ancora trasaliamo, nei blu bui come bruma
nei bianchi grigi di sfinimento. Entra nell’energia
che si srotola nella tua mente, osserva più dimensioni
arcuarsi nella prospettiva, entra nel grido

del colore, nel momento di torsione che diranno follia
ma che tu saprai essere salute, entra dentro il vigore
che darà centinaia di opere in quelle ultime
settimane: per ciascun giorno, un capolavoro.
Accogli il turbine del vento
lascia che la bufera ti rompa
nella testa, ti rompa
dentro il cuore
e lascia andare il resto, così che
la pioggia
una pallida cortina che altera
teneri verdi fradici di blu fantasma
possa slavare il dolore in una grazia
oltre la pace o l’abbandono
infine
vinto.

(Traduzione di Cristina Alziati e Maria Nadotti)

Leggi anche

Mariella Guzzoni, Gli uliveti di Van Gogh
Mariella Guzzoni, Van Gogh a Auvers: ultime visioni di un genio
Mariella Guzzoni, I libri di Vincent
Mariella Guzzoni, Le più belle lettere di Vincent van Gogh
Mariella Guzzoni, Van Gogh. La verità dei fatti
Riga, Le scarpe di Van Gogh

Vincent Van Gogh, Campi di grano con mietitore, Auvers, olio su tela,1890

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO

Bollo blu Dona (Mobile)