Verso dove? Metamorfosi del legame sociale

30 Agosto 2022

Possibile che siano due letterine magiche a distinguere l’umana condizione: “No”? La capacità e possibilità di esprimere una negazione e istituire una discontinuità fa di noi quello che siamo? È inutile e perfino sbagliato, aveva ammonito con il solito dolce rigore Edward O. Wilson, continuare a richiamare il formicaio come esempio della buona organizzazione, quando si parla dell’efficienza e dell’efficacia delle organizzazioni umane.

Così nelle ultime pagine di quel grande volume che raccoglie le ricerche di una vita sulle formiche, Superorganismo [Adelphi, Milano 2011], scritto con Bert Hölldobler. La ragione dell’improprietà dell’associazione è, in fondo, molto semplice: è quella di Bartleby lo scrivano di Hermann Melville: quel famoso preferirei di no, che forse è una delle principali distinzioni della specie umana nello scenario dell’evoluzione della vita sulla Terra. Mentre una formica esegue una catena di routine e non può fare altro che quello che fa, un essere umano è capace di dire di no. Anche se non sempre accade e non è facile, nonostante la prevalente tendenza al conformismo rassicurante, noi umani possiamo alzare un dito e dichiarare il nostro disaccordo o, comunque, generare una discontinuità rispetto alla consuetudine.

Siamo in buona misura quello che ci precede, ma nel flusso della continuità e dell’appartenenza creiamo piccole e a volte significative discontinuità. Rispetto agli antecedenti evolutivi che vincolano e definiscono cornici, sappiamo scartare di lato o in avanti e generare l’inedito. Nel superorganismo che ci avvolge e coinvolge e nel legame intersoggettivo con gli altri, da dove traiamo individuazione, senso e significato, riconoscimento e esclusione, solitudine e abbandono, in quel contesto e in quel legame, insomma, si esprime il dramma della nostra umana avventura. Siamo dentro e fuori allo stesso tempo e in quel gioco del dentro e fuori diveniamo quello che di volta in volta riusciamo ad essere, tra vincoli e possibilità.

Il nostro stesso cervello è occupato contemporaneamente con sé stesso e con quello che ci succede intorno e la combinazione tra dinamiche inside-out e outside-in sembra fornire una delle più aggiornate descrizioni dei fondamenti del nostro comportamento [Gÿorgy Buzsáki, Il cervello costruttore del mondo, Le Scienze, agosto 2022; pp. 44-49]: “Questo modello del cervello autorganizzato è paragonabile a un dizionario pieno, inizialmente, di parole senza senso. Le nuove esperienze non cambiano il modo di funzionare di queste reti, per esempio il livello della loro attività complessiva: l’apprendimento avviene, invece, tramite un processo di abbinamento fra le traiettorie neuronali preesistenti e gli eventi del mondo”. Francisco Varela ci aveva parlato a lungo e con evidenze sperimentali di accoppiamento strutturale tra cervello e mondo.

Le origini del legame sociale devono essere state caratterizzate da una drammatica ripetizione di eventi che lentamente hanno dato vita a forme elementari ed essenziali di riconoscimento. Giungere a forme seppur semplici di cooperazione e di elaborazione non distruttiva dell’incontro e del confronto ha sfidato la nostra aggressività, domandola in una direzione almeno in parte vicendevole. Importanti e di grande suggestione sono, in proposito gli studi di René Girard [Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1978], ma ancor prima di Sigmund Freud [Totem e tabù, 1913, Bollati Boringhieri, Torino 2011], o più recentemente di R. Harré e P. F. Secord [La spiegazione del comportamento sociale, Il Mulino, Bologna 1977] e di Eugène Enriquez [Dall’orda allo stato. Alle origini del legame sociale, Il Mulino, Bologna 1986]. In ogni caso emerge il dramma del rapporto tra conflitto e cooperazione, dalla cui elaborazione emergono le diverse forme che le società umane sono venute assumendo nel corso dei secoli.

Per quello che possiamo cogliere essendone coinvolti e immersi, la nostra contemporaneità sta vivendo una trasformazione radicale del legame sociale. In primo luogo, quella trasformazione mette in discussione i paradigmi interpretativi e i criteri di lettura tradizionali, come ha evidenziato Bruno Latour con la sua Actor Network Theory [Riassemblare il sociale, Meltemi, Milano 2022] (cfr. doppiozero, 15 agosto 2022).

Ne viene fuori una sorta di polarizzazione degli eventi o, perlomeno, così sembra dal punto di vista delle analisi che da qualche tempo se ne occupano. Chissà poi se stiamo vedendo e capendo correttamente o se per ora si tratta di sviste dovute alla difficoltà di disporre di un paradigma interpretativo adeguato. Ci consegniamo purtroppo spesso a formule che ci sembrano quelle del secolo per vederle poi liquefarsi abbastanza rapidamente come pare stia accadendo per la pervasiva, abusata e forse inconsistente categoria di società liquida.

Una delle tendenze abbastanza diffuse e non per questo certamente più attendibile è una polarizzazione in corso delle analisi della contemporaneità: da un lato si insiste sulla crisi identitaria, sull’alienazione del legame sociale, sull’interiorità smarrita e sulla solitudine individualistica; dall’altro si presta attenzione ad evidenziare forme emergenti di cooperazione, solidarietà, vita comune e tendenze ipersociali o supersociali nell’esperienza di una specie che è divenuta pervasiva e dominatrice sul pianeta.

Secondo Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, tra i più assidui investigatori delle frontiere del presente, bisogna guardare dalle parti della sostenibilità e della digitalizzazione per comprendere cosa è in gioco nella costituzione di quella che chiamano supersocietà e, soprattutto, è necessario indagare sul rapporto fra i processi in corso e la libertà [Supersocietà. Ha ancora senso scommettere sulla libertà?, Il Mulino, Bologna 2022]. In nove capitoli, un prologo e un epilogo, gli autori affrontano due importanti nuclei problematici. Il primo si propone di indagare le vie per andare oltre la società liquida, verso la supersocietà. Il secondo si interroga, appunto, se abbia ancora senso scommettere sulla libertà. L’intero contributo è attraversato da una tensione etica che non lo limita alla descrizione dei fenomeni ma lo spinge continuamente verso la possibile generatività di organizzazioni e di forme di vita sociali desiderabili e in grado di essere caratterizzate da un equilibrio tra giustizia e libertà. 

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La scelta di civiltà che abbiamo davanti, secondo gli autori, dipenderà dal rapporto che si riuscirà a stabilire tra soggettività e organizzazione sociale o, come loro sostengono, dalla scelta tra società intelligente e stupidità di massa. Giaccardi e Magatti prendono posizione fin dalle prime pagine del libro, ritenendo che la tecnologia da sola non potrà salvarci. Pur riconoscendola quanto mai necessaria, la tecnologia non è però sufficiente per realizzare i cambiamenti che ci servono. E tantomeno per costituire un orizzonte di senso condiviso che li renda possibili. Secondo gli autori, accanto ai superpoteri dell'intelligenza artificiale serve potenziare il sapere concreto dell'intelligenza umana diffusa. Quell'intelligenza è fatta di errori e fallimenti ma anche di comprensione dei problemi, di condivisione delle prospettive e di concretezza delle soluzioni. Un'intelligenza vivente, insomma, dialogante. Un'intelligenza libera e cioè in relazione. Ma è la relazione che concorre a fare l'intelligenza, verrebbe da aggiungere, così come a proposito del monito di essere io, con cui il libro si apre, sembra di particolare importanza riconoscere che ogni individuazione avviene nell'intersoggettività e nelle relazioni. La critica all'enfasi sull'io e la libertà propria della dottrina neoliberista, quella che porta alla cosiddetta società del godimento, produce di fatto un'implosione del desiderio e lo smarrimento dell'interiorità come sostiene Fabio Merlini nel suo libro: Ritornare in sé. L’interiorità smarrita e l’infinita distrazione [Aragno, Torino 2022]. 

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È come se fossimo trascinati fuori da noi stessi in questo tempo, secondo Merlini. I processi di esteriorizzazione cui siamo soggetti oggi hanno la forma di un richiamo irresistibile. La nostra attenzione è costantemente catturata da molteplicità ridondanti di fenomeni, eventi e situazioni che ne interrompono la continuità e la deviano incessantemente su richiami ogni volta diversi. Il risultato è un perenne essere fuori di sé. Ma che esistenza è quella dove il mondo interno proprio di ognuno di noi risulta risucchiato in modo così insistente dal mondo esterno, quasi a farne l’unica preoccupazione della vita?

Merlini descrive un’esistenza in cui l’esperienza di sé collassa in una esteriorizzazione che aggiorna ulteriormente, dopo Feuerbach e Marx, il concetto hegeliano dell’estraniazione. Viviamo mancando continuamente l’appuntamento con noi stessi. Merlini convoca autori molteplici che sono in grado di segnalare la via per un riequilibrio tra interiorità e esteriorità. Da Socrate a Goethe, da Dostoevskij, a Buber, fino a Proust e all’arte pianistica di Glenn Gould, l’autore cerca di evidenziare le condizioni per lo sviluppo di un sentimento dell’interiorità capace di proteggere l’io dalla normatività del mondo e di proteggere il mondo dal narcisismo dell’io.

Pare particolarmente importante, però, cercare di comporre l’oscillazione vertiginosa che deriva dal considerare una volta l’interiorità e una volta il contesto. Un orientamento epistemologico complesso si sforza di combinare l’analisi in modo che sia l’interazione tra i fattori a produrre una descrizione attendibile del mondo in cui viviamo e delle nostre esperienze individuali e sociali. Giaccardi e Magatti in tal senso insistono nel cercare di pensare la libertà come relazione, e lo fanno considerando l'organizzazione sociale come laboratorio di conoscenza, sia nella dimensione molecolare delle singole unità organizzative, sia nella dimensione molare delle società complesse in cui viviamo.

L'osservazione delle organizzazioni che cercano di muoversi in una direzione innovativa e attuale consente agli autori di identificare tre dimensioni strutturali che, entro equilibri aperti e dinamici, possono essere ritenute distintive e capaci di promettere percorsi evolutivi efficaci. La prima dimensione di quelle che loro chiamano le organizzazioni noetiche è relativa al fatto che esse coltivano la capacità dei propri membri, ne favoriscono l'espressione e la partecipazione e pongono l'emancipazione delle persone tra gli obiettivi stessi dell'organizzazione. In secondo luogo, quelle organizzazioni optano per il superamento di una logica meramente strumentale tramite scelte strategiche di lungo periodo che includono la valutazione dell'impatto sui contesti sociali e ambientali circostanti.

La propensione a mediare tra strumentalità e senso è la terza dimensione di quelle organizzazioni, che finisce per rafforzare la loro capacità di rimanere aperte e in dialogo con i propri collaboratori e con l'ambiente, mantenendo alta la tensione fra istituente e istituito. L'attenzione ai processi di riproduzione sociale porta Giaccardi e Magatti a dedicare particolare attenzione ai processi di educazione, individuazione e coindividuazione. Secondo loro il nucleo vitale che anima la vita sociale è, in ultima istanza, la ricchezza delle persone che la abitano. Una ricchezza che si coltiva nei percorsi di educazione-formazione, anello su cui si costruisce il legame tra le generazioni, essenziale per ogni forma di vita sociale.

Secondo gli autori non c'è nessuna possibilità di procedere sensatamente nella direzione indicata dal nuovo ambiente tecnologico basato sulla digitalizzazione, e dalla nuova consapevolezza planetaria derivante dal grande problema della sostenibilità, senza una revisione profonda dei processi educativi e formativi. Essi, riprendendo il dialogo con Bernard Stiegler, valorizzano l'assonanza tra penser (pensare) e panser (medicare, curare). Compito del pensiero è la cura. Il suo obiettivo non è tanto quello dell'addestramento al sistema così com'è, per renderlo più efficiente; piuttosto, è quello di consentire un'esperienza entusiasmante che permetta di immaginare diversamente, mettere in discussione, porre domande, ideare soluzioni, trovare nuove connessioni.

Insomma, si può essere differentemente?

Un processo di liberazione per ritornare in sé, secondo l'analisi di Merlini, ha a che fare con l'elaborazione e lo sviluppo della capacità di sostare presso di sé. Il mondo interno senza il mondo esterno non è niente, sostiene Merlini. Ma senza il suo lavoro liberatorio, quest'ultimo sarebbe solo uno spazio di ripetute sovraimpressioni, un carosello di immagini ed emozioni vissute più o meno intensamente, che si sovrappongono le une alle altre, le une sostituendosi alle altre, in una sorta di tempo inconsistente dove ogni nuovo istante decreta l'oblio di quello precedente. Perché il mondo interno non abbia come unico assillo quello di commisurarsi al mondo esterno, non sia cioè determinato solo da questa preoccupazione di accomodamento, Merlini ritiene che sia necessario che quel mondo interno avverta un'eccedenza, uno scarto, un resto rispetto al mondo esterno. Quei buoni motivi per non risolversi nell’esterno che solo la socialità e la valorizzazione della relazionalità umana possono probabilmente rendere possibili. Per questo appare indispensabile considerare le radici, le forme e le trappole della vita in comune, come cerca di fare Vittorio Pelligra in tutto il suo percorso di ricerca che ora giunge ad un altro esito con il libro Ipersociali [Ecra, 2022]. 

Secondo Pelligra, mentre l'evoluzione biologica, quella culturale, l'apprendimento diretto e la condivisione delle tradizioni ci hanno messo nelle condizioni di risolvere in modo interessante i dilemmi della vita in comune e ci hanno reso esseri immensamente cooperativi, appaiono numerose difficoltà e inedite sfide al nostro orizzonte che oggi mettono a dura prova il nostro antico senso di socialità. Pelligra non si nasconde che il concetto di comunità presenta non poche criticità, in quanto le comunità, piccole o grandi, possono essere luoghi di genuina fioritura umana, così come di assoluta infelicità.

Per degli esseri eusociali quali noi siamo il tema della cooperazione, affrontato considerandone le origini, le forme, le trappole, si propone come una via per affrontare l’alienazione e abitare la supersocietà. La prima parte del libro, infatti, è dedicata alle origini evolutive, psicologiche e culturali dei meccanismi che rendono possibile l'azione cooperativa. Nella seconda, attraverso l'applicazione della teoria dei giochi, viene documentato come differenti comportamenti sociali possano ostacolare o facilitare risultati cooperativi. Nella terza, grazie anche all'uso di esempi pratici, sono analizzate quelle "trappole", cioè quegli atteggiamenti individualistici, che fanno parte della vita di tutti i giorni e che possono essere di ostacolo alla cooperazione fra persone. Il risultato è quella che l’autore definisce una "sfida colossale", da affrontare superando ostacoli a volte enormi ma che, se vinta, può portare grandi vantaggi a beneficio dell'intera comunità.

Come appare evidente, abbiamo di fronte una necessità di un colpo d’ala per divenire ancora una volta e diversamente umani all’altezza delle nostre possibilità in una socialità iperconnessa. Una metamorfosi necessaria. 

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