Vincenzo Monti / Dopo la battaglia di Marengo
La cattiva retorica è stata una delle cause dell’insofferenza di molti italiani verso la nozione stessa di patria. Questa poesia di Vincenzo Monti ne è forse il paradigma esemplare; a suo disdoro la conclamata scarsa propensione dell’autore, in anni di sommovimenti politici e militari, alla coerenza e al coraggio civile (attitudine invero molto italiana) e la scelta sciagurata del metro: quelle quartine di ottonari, quei versi tronchi alternati risuonano come una cantilena e più che infondere amor patrio sembrano anticipare le gesta del Signor Bonaventura (i meno giovani se ne ricorderanno...).
Va detto tuttavia che Monti, dopo la temporanea riconquista ad opera degli austriaci della Lombardia, era stato costretto a riparare a Parigi, come molti intellettuali italiani legati alla Repubblica Cisalpina. La lirica è nota anche con il titolo Per la liberazione d’Italia, sebbene per molte generazioni di scolari sia stata, semplicemente, “la Bella Italia del Monti”.
Bella Italia, amate sponde,
pur vi torno a riveder!
Trema in petto, e si confonde
l'alma oppressa dal piacer.
Tua bellezza, che di pianti
fonte amara ognor ti fu,
di stranieri e crudi amanti
t’avea posta in servitù.
Ma bugiarda e mal sicura
la speranza fia de’ re.
Il giardino di natura
no, pei barbari non è.
Bonaparte al tuo periglio
dal mar libico volò,
vide il pianto del tuo ciglio,
e il suo fulmine impugnò.
Tremâr l’Alpi, e stupefatte
suoni umani replicâr,
e l’eterne nevi intatte
d’armi e armati fiammeggiâr.
Del baleno al par veloce
scese il forte, e non s’udì:
ché men ratto il vol, la voce
della Fama lo seguì.
D’ostil sangue i vasti campi
di Marengo intiepidîr,
e de’ bronzi ai tuoni ai lampi
l’onde attonite fuggîr.
Di Marengo la pianura
al nemico tomba diè.
Il giardino di natura,
no, pei barbari non è.
Bella Italia, amate sponde,
pur vi torno a riveder!
Trema in petto, e si confonde
L’alma oppressa dal piacer.
Volgi l’onda al mar spedita,
o de’ fiumi algoso re;
dinne all’Adria che finita
la gran lite ancor non è;
di’ che l’asta il franco Marte
ancor fissa al suol non ha;
di’ che dove è Bonaparte
sta vittoria e libertà.
Libertà, principio e fonte
del coraggio e dell’onor,
che il piè in terra, in ciel la fronte,
sei del mondo il primo amor;
questo lauro al crin circonda:
virtù patria lo nutrì,
e Desaix la sacra fronda
del suo sangue colorì.
Su quel lauro in chiome sparte
pianse Francia, e palpitò.
Non lo pianse Bonaparte,
ma invidiollo e sospirò.
Ombra illustre, ti conforti
Quell’invidia, e quel sospir:
visse assai chi ‘l duol de’ forti
meritò nel suo morir.
Ve’ sull’Alpi doloroso
della patria il santo amor,
alle membra dar riposo
che fur velo al tuo gran cor.
L’ali il Tempo riverenti
al tuo piede abbasserà;
fremeran procelle e venti,
e la tomba tua starà.
Per la cozia orrenda valle
usa i nembi a calpestar,
torva l’ombra d’Anniballe
verrà teco a ragionar:
chiederà di quell’ardito,
che secondo l’Alpe aprì.
Tu gli mostra il varco a dito,
e rispondi al fier così:
- Di prontezza e di coraggio
te quel grande superò:
Afro, cedi al suo paraggio;
tu scendesti, ed ei volò.
Tu dell’itale contrade
abborrito destruttor:
ei le torna in libertade,
e ne porta seco il cor.
Di civili eterne risse
tu a Cartago rea cagion:
ei placolle, e le sconfisse
col sorriso e col perdon.
Che più chiedi? Tu ruina,
ei salvezza al patrio suol.
Afro, cedi e il ciglio inchina;
muore ogni astro in faccia al sol.
Edizione di riferimento: Vincenzo Monti, Opere, a cura di M. Valgimigli e C. Muscetta, Ricciardi, Milano – Napoli, 1953.