Visti dalle piante

13 Febbraio 2024

In certe tele rinascimentali toscane è possibile riconoscere un’erba chiamata ‘erba della paura’– racconta l’antropologa Arianna Cecconi – “La si compra nei mercati, raggrinzita, a mazzetti, poi la notte la si lascia sul comodino e la mattina le sue foglie sono distese e la paura dell’uomo è svanita”: è proprio così, la botanica permea profondamente le arti, la storia delle lingue e delle culture e recentemente musei importanti come quello di Scienze naturali di Londra e di Padova hanno deciso di assegnarle un ruolo centrale nei loro allestimenti. In questi giorni è lei la protagonista di una mostra imperdibile, “Impronte. Noi e le piante”, disegnata da Renato Bruni, al Palazzo Governatore di Parma (fino al primo aprile, ingresso gratuito, promossa dall’Università e dal Comune di Parma). Il titolo non fa solo riferimento all’‘impronta carbonica’ ovvero agli effetti dell’attività antropica sulla natura, che è pure il fil rouge del percorso, ma anche alle evoluzioni dell’iconografia botanica individuata come percorso indiziario per rileggere gli sviluppi del rapporto d’amore e guerra tra l’uomo e l’elemento biologico predominante sul pianeta.

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Già prima della pandemia, prima dei best sellers di etologia, filosofia e neurologia vegetale, il primo dei tre regni biologici aveva acquisito un ruolo di primo piano nell’attenzione sociale, una centralità tanto più vera nel parmense, se crediamo alla tavola traiana esposta al Museo archeologico locale in cui l’imperatore riconosceva al territorio una cultura agricola di raro pregio. Di questa tradizione è consapevole anche Francesco Petrarca che proprio qui, intento agli innesti sperimentali che praticava nel suo orto, fu raggiunto dalla notizia della morte di Laura, notizia da cui si distolse, scrive nelle Epistole, inventando un nuovo tipo di pera invernale.

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Luigi Gardoni, Erbario.

La mostra, (Catalogo ETS) che nasce dall’Orto botanico locale, è articolata in dieci sezioni che raccontano la rappresentazione del mondo vegetale nell’Europa moderna prima e dopo l'avvento della fotografia. ‘Sense of wonder’, stupore e meraviglia, è la definizione più esatta dell’emozione vissuta dallo spettatore confrontato alle oltre duecento immagini scientifiche tese a contrastare la 'plant blindness' che caratterizza la nostra cultura da secoli: in queste sale possiamo, come Galileo, risvegliarci dalla nostra cecità, girare le lenti del binocolo e osservare ad esempio come reagisce chimicamente all’interno una pianta quando viene attaccata da un bruco. Preziose tavole disegnate in ocra ci mostrano tutto ciò che va oltre l’aspetto fenomenico dell’albero, ovvero il suo poderoso impianto radicale, che costituisce la sua nascosta sostanza. 

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Dagli erbari del Quattrocento, alle impressioni vegetali a base di inchiostro, dalle xilografie alle litografie alle modellizzazioni botaniche in cera, dalle immagini al laser, agli iperspettrali, agli infrarossi, alle immagini satellitari o via drone, dalle microscopie confocali alle termografie e alle xiloteche: questo percorso disegna un pacato ma ben chiaro itinerario storico – per dirla con Benjamin – a 'contropelo' che intende rivoluzionare la nostra prospettiva sulle piante e sull’uomo: per esempio la sezione dedicata agli erbari disegnati da donne ci racconta del lungo monopolio maschile (non solo Elisabeth Blackwell o la Meier ma anche la parmigiana Rosalba Bernini) nelle professioni scientifiche. E ancora: le minuziose tavole ideate da un'azienda di prodotti chimici negli anni Sessanta del secolo scorso vengono esposte con senso contrario al loro intento, come atlante prezioso delle "vagabonde" (vedi su Doppiozero l’articolo di Marco Belpoliti), le erbacce di ferrovia che l'azienda mirava ad eliminare.

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Craig P. Burrows Monarda.

O allora: le nuove tecniche di rappresentazione botanica, prese in prestito alla diagnostica medica, ci rivelano i colori delle piante percepiti dagli impollinatori facendo decadere lo spettro coloristico antropocentrico: lasciano senza parole le incredibili fotografie di Craig Burrows che ritraggono i fiori visti dalle api. Si tratta insomma di stravolgere il nostro punto di vista e “fare un passo – come scrive Kohn in Come pensano le piante (Nottetempo, 2021) – oltre l’umano”. Il progetto alla Georges Perec di John Willis, di fotografare ad ogni capodanno i suoi narcisi tra il 1913 e il 1942 testimonia l'influenza dei cambiamenti climatici sul mondo naturale in modo penetrante ed efficace oltre che esteticamente piacevole. Questo viaggio nell’iconografia botanica – molti materiali vengono dagli archivi locali ma anche da Merano, Firenze, Padova, Madrid – porta il visitatore fin dentro a vicende di spionaggio internazionale, come quella che coinvolge il figlio dell'editore di Dickens e i rapporti angloaustriaci, e il visitatore è invitato a scoprire, in un periplo tra antiche teche e armadi settecenteschi, le meravigliose capsule del tempo create dal parmigiano Luigi Gardoni, scatole che contengono piante, ritagli di giornali, libri, prodotti farmaceutici d'antan. “Un album di famiglia”, chiosa Bruni.

Sappiamo che molti conflitti contemporanei si giocano attorno alle piante: pensiamo alle conseguenze della deforestazione, al ruolo che le foreste giocano nel conflitto ucraino, alle manifestazioni francesi contro l’abbattimento di boschi storici; ci ricorda Jack Goody nel suo meraviglioso La cultura dei fiori (1993) che spesso le piante sono state al centro di guerre e di trasformazioni epistemologiche profonde e che forse il mondo vegetale ci aiuta – ne è un esempio imperdibile La botanica parallela di Leo Lionni (1976), a prevedere il futuro: un’installazione dello studio grafico fuse* e un concorso di disegno legato al percorso espositivo ci invitano del resto a immaginare nuove piante ovvero nuovi modi di abitare il pianeta. La mostra ci dice, insomma, qualcosa che forse solo il sapere postpandemico può restituire: che il sapere scientifico è bellissimo, un'arte che insegna a guardare oltre e a pensare le relazioni. 

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Anthony Van der Ent Neptunia.

Un consiglio di lettura per accompagnare la visita: è appena uscito (Hors Limite, a cura di Muriel Pic, in franc.) l’Herbier de prison di Rosa Luxemburg: l’esistenza di questo testo è nota dai primi anni Duemila quando un medico dichiarò la sua intenzione di prelevare il DNA da un quaderno dell’archivio polacco della militante socialista per poter identificare il suo cadavere. Il procedimento non fu mai autorizzato ma si venne così a sapere che il quaderno in questione era uno dei diciotto che la rivoluzionaria aveva destinato ad erbario tra il 1915 e 1918, costituendo questo materiali grazie alle sue passeggiate attorno alla prigione dove era reclusa ma soprattutto grazie ad amiche e sostenitrici della causa socialista. Un erbario collettivo, dunque, di donne militanti, che passa attraverso le sbarre. Per Luxemburg non è questa solo l’occasione per far riemergere i suoi studi scientifici, né solo la prova della bellezza ostinata della natura e del lessico botanico: gli studiosi si sono chiesti a lungo se i fiori nascondessero un codice, ma a tutt’oggi questa lingua segreta non è stata decifrata. Più verisimilmente per Luxemburg la redazione dell’erbario costituisce una vera e propria scrittura politica, come testimoniano le lettere che intervallano le 133 tavole botaniche.

“Impronte”, disegnata da Renato Bruni, al Palazzo Governatore di Parma (fino al primo aprile, ingresso gratuito, promossa dall’Università e dal Comune di Parma).

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Marco Belpoliti | La rivincita delle piante
Pino Donghi | Erbari meravigliosi

In copertina, Craig P. Burrows, Coreopsis Tinctoria.

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