William Morris nostro contemporaneo

5 Febbraio 2023

“Di sicuro non esiste un miglio quadrato della superficie abitabile della terra che non sia bello a suo modo, se solo noi uomini ci asterremo dal distruggere deliberatamente quella bellezza.” 

E ancora: “Ciascuno di noi è impegnato a sorvegliare e custodire il giusto ordinamento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suo spirito e le sue mani, nella porzione che gli spetta, per evitare di tramandare ai nostri figli un tesoro minore di quello lasciatoci dai nostri padri. […] Nessuno deve abbattere alberi che alterino il paesaggio e nessuno deve impunemente oscurare la luce con l'emissione di vapori, inquinare i fiumi, degradare i terreni coprendoli con cumuli di rifiuti e sconquassandoli brutalmente.”

Sembrano concetti espressi oggi, invece risalgono all’ottocento e ad enunciarli è stato William Morris (1834 – 1896). Ambientalista ante litteram, gli allarmi da lui lanciati, purtroppo inascoltati, sono ora divenuti una drammatica emergenza, a cui invitano a provvedere in molti, soprattutto Greta Thunberg e suoi giovani accoliti, impegnati in una vera battaglia per la salvezza del pianeta.

Figura poliedrica, William Morris è stato anche scrittore e poeta, imprenditore, attivista politico, promotore della tutela dei beni culturali, pittore e disegnatore, decoratore di vetrate e di edifici ecclesiastici, designer di mobili, di piastrelle, di vasellame, di carta da parati, di tessuti, grafico, calligrafo, editore, arredatore e, in un certo senso, architetto. Nel suo anelito verso un ritorno al medioevo egli reincarna, a tutti gli effetti, se pure in chiave moderna, l’intellettuale rinascimentale, scevro da quella divisione tra i saperi che era stata introdotta dall’illuminismo e che egli, ovviamente, avversava.

Il suo amore per il Medioevo non si fondava esclusivamente su ragioni storico-letterarie (il suo interesse per le saghe e per gli antichi testi delle varie culture del mondo) e artistiche (il suo apprezzamento per la semplicità costruttiva medievale e per quella sua tipica, rude bellezza, insieme alle dimensioni ridotte e più umane delle sue città), esso fu soprattutto alimentato da motivazioni sociali. Di quell’epoca, infatti, Morris vagheggiava le doti artigianali (delle quali fu uno strenuo difensore, il che lo portò a promuovere, con John Ruskin, il Movimento Arts and Crafts), il lavoro cooperativo-corporativo, l’associazionismo, insomma, nel quale intravedeva un embrione del socialismo divenuto nel 1883 la sua fede politica, che lo indusse anche a fondare, insieme al suo mentore Philip Webb (1831 – 1915), il movimento di conservazione dei beni culturali e, nel 1887, la Society for the Protection of Ancient Buildings per difendere gli edifici storici dalle pratiche di restauro sconsiderate. Questi ultimi, infatti, “depositari della storia e custodi dell’anima” (MacCarthy) erano troppo preziosi per essere abbandonati ai capricci dei loro proprietari o per soggiacere agli arbìtri creativi degli architetti. Il pensiero di Morris sulla loro tutela, che al suo apparire aveva generato scandalo tanto da essere tacciato di ledere i diritti della proprietà privata, per fortuna oggi è ampiamente accettato e la tutela del patrimonio è sancita dalla legge, non soltanto in Inghilterra.

Sebbene, dunque Morris, si ispirasse al medioevo, in realtà, il suo occhio vedeva lontano: egli fu, infatti, in pieno ottocento, un sostenitore di idee e di princìpi che ancora oggi, nel XXI secolo, rappresentano un avamposto del pensiero più progressista ed evoluto sulla tutela dell’ambiente naturale e di quello costruito. L’aver poi pensato a reti di piccole città di campagna, produttive e quasi autosufficienti, fa di lui un antesignano dei progetti delle città giardino che avrebbero caratterizzato l’urbanistica inglese del primo novecento.

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Alcuni esempi della produzione di William Morris. In alto: Piastrella Swan (Cigno) e piastrella Daisy (Margherita), in terracotta smaltata dipinta a mano, disegnate da Morris, circa 1882 - 1890; vetro colorato e dipinto Penelope, disegnato da Edward Burne-Jones per la Morris, Marshall, Faulkner & Co., 1864; Pagina del catalogo della Morris & Co. con sedie impagliate della serie Sussex; sedie Sussex, legno ebanizzato con seduta in vimini, primi anni sessanta dell’ottocento; poltrona Saville, disegnata da Morris nel 1890. In basso: disegno di Morris per il cotone stampato Bluebell (Campanula), 1876, V&A Museum; particolare del ricamo Peacock and Vine (Pavone e rampicante) disegnato da Morris e da Webb per la mostra di Filadelfia del 1876; cotone stampato Brother Rabbit, disegno di Morris, giugno 1881, V&A Museum.

Così si espresse a proposito di quello che intendeva per Arte nella famosa conferenza del 1883, da lui tenuta presso l’Università di Oxford, la medesima in cui aveva studiato:

“Per prima cosa devo chiedervi di estendere la parola arte al di là di quegli oggetti che sono ritenuti opere d'arte, per considerare non solo la scultura, la pittura e l'architettura, ma le forme ed i colori di tutti gli oggetti casalinghi, anzi le stesse sistemazioni dei campi per la coltivazione ed il pascolo, l'amministrazione delle città e della nostra rete stradale; in una parola di estenderla all'aspetto di tutto ciò che ci circonda nella vita.” 

Committente infaticabile e, allo stesso tempo, progettista di oggetti d’arte decorativa, Morris fu anche uno dei più innovativi produttori del suo tempo. Nel corso della sua vita fondò e diresse manifatture divenute famose, come la Morris, Marshall, Faulkner & Co. (1861), poi Morris & Co. (1875), in cui venivano realizzati i mobili, le stoviglie, i vetri, le carte da parati e gli articoli tessili da lui disegnati e poi esposti e venduti negli spazi espositivi di sempre più vaste dimensioni, che egli aprì via via a Londra. Ma la fama dei suoi oggetti travalicò ben presto i confini inglesi diffondendosi in tutta Europa, in America e persino in Australia, per merito della rete di agenti che egli seppe creare. Fu proprio grazie ad essi che le richieste alla ditta si fecero sempre più numerose, decretandone il successo commerciale in tutto il mondo.

Nella conferenza Working Folk and the Future of Art del 1879 si ritrova per la prima volta il suo motto ormai divenuto famoso: “Non avere nella tua casa nulla che tu non sappia utile o che tu non creda bello.” 

Già, perché gli arredi e gli oggetti da lui concepiti, sebbene avessero come principale obiettivo la bellezza “furono tutti creati per essere adatti al loro uso. Questo pragmatismo è la caratteristica più lampante del suo lavoro ed è una qualità che in passato è stata riconosciuta di rado pur essendo una delle ragioni principali per cui i suoi arredi sono tanto popolari al giorno d'oggi.” (Parry)

La sua ultima creatura fu la Kelmscott Press, una stamperia-casa editrice, fondata nel 1891, che ebbe sede in un cottage ad Hammersmith, vicino alla Kelmscott House, la sua casa londinese, sulle rive del Tamigi, dove presero vita volumi di rara eleganza, tirati in pochi esemplari, illustrati da Morris stesso e dal pittore preraffaellita Edward Burne-Jones (1833 – 1898), suo intimo amico e suo sodale. Durante la vita di Morris, alla Kelmscott Press furono prodotte 53 opere tra testi medievali e contemporanei (23 a sua firma), per un totale di 18.234 copie stampate. Il livello qualitativo dei libri era così elevato da meritargli un posto di rilievo nella storia della tipografia: il capolavoro fu The Works of Geoffrey Chaucer, che richiese ben 5 anni di lavoro per essere completato.

Sebbene tutte le ‘cose’ prodotte da William Morris, manufatte ed eseguite a regola d’arte con materiali pregiati, fossero rivolte ad una fascia medio alta di mercato, quella che si poteva permettere di sostenerne i costi inevitabilmente elevati, avevano però in sé anche un anelito didattico, di educazione alla bellezza, e una forte vis polemica nei confronti della produzione industriale, anzi “dello spreco del capitalismo industriale che produceva beni scadenti e di qualità inferiore a un costo insostenibile per la vita delle persone e per l’ambiente.” (Mason)

E fu con lo stesso generoso intento propedeutico che nel corso della sua vita egli tenne numerose conferenze rivolte soprattutto agli studenti delle scuole di Arti Decorative e a coloro che lavoravano in quel campo. Convinto assertore dell’interdipendenza tra società umana e ambiente naturale, egli sosteneva che “Qualunque cosa fatta dalle mani dell’uomo ha una forma, che sarà bella o brutta: bella se è in armonia con la natura e l’asseconda; brutta se è in conflitto con la natura e l’avversa; indifferente non può essere mai”. (The Lesser Arts, lezione sulle Arti Decorative tenuta da Morris il 21 Gennaio 1882 al Birmingham & Midlands Institute)

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In alto a sinistra: William Morris, New from Nowhere, edizione Kelmscott Press, pubblicato il 24 marzo 1893, ora al V&A Museum. A destra: The work of Geoffrey Chaucer, Kelmscott Press, 1896. In basso: frontespizio e pagine dell’opera di Geoffrey Chaucer (1343 – 1440), stampata da William Morris presso la Kelmscott Press. Terminata l'8 maggio 1896 è il più ambizioso dei lavori della stamperia ed è considerato uno dei volumi più belli dell'intera storia delle arti del libro.

Fra i tanti edifici in cui Morris visse ed operò, certamente il più rappresentativo del suo pensiero fu il primo, la Red House, a Bexleyhearth, progettata da lui stesso nel 1859 insieme all'amico architetto e collega di studio Philip Webb, con l’apporto cooperativo di tutti gli amici artisti della sua cerchia. Considerato un manifesto delle Arts and Crafts è realizzato in mattoni rossi, dal cui colore prende il nome, senza che alcun intonaco lo ricopra, per rispettare i “criteri di verità costruttiva” auspicati dalla dottrina di Ruskin, di cui Morris era un fedele seguace. Pensato per interagire con il paesaggio del Ken, nel quale è immerso, colloquia con esso attraverso le sue molte finestre di ogni foggia e dimensione. Sebbene tragga ispirazione dai modelli dell'architettura medievale, soprattutto gotica, tanto amata dal maestro, ha tratti di sorprendente modernità nella pianta libera, con grande anticipo su quella che verrà inclusa tra i 5 punti dell'architettura moderna da Le Corbusier nel 1925. Un altro dei motivi che ascrivono questa architettura alle precorritrici del Movimento Moderno è l’essenzialità quasi minimalista delle sue forme. Il medesimo concetto di ‘stanza’ vi è addirittura messo in discussione dal concentrarsi degli spazi funzionali negli angoli.

Per tutte queste ragioni, Nikolaus Pevsner l’ha inclusa nel suo “I Pionieri del Movimento Moderno” (1936) tra gli edifici che rappresentano i prodromi dell'architettura moderna.

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William Morris, alcune vedute della Red House. In basso a destra: disegno di progetto di Philipp Webb, 1859, matita, penna e acquarello, prospetti nord e sud.

Nel 2021, in occasione del 125° anniversario della sua morte, la sua patria gli ha dedicato il libro illustrato (con 660 illustrazioni) più ampio e completo che sia mai stato scritto su di lui, sul suo pensiero e sulle sue opere. Curato da Anna Mason, è uscito in Italia nel 2022, con il titolo William Morris, (Einaudi, pp. 432, € 80). In realtà, si tratta della versione riveduta ed ampliata del catalogo della fondamentale mostra, intitolata William Morris 1834 - 1896, con la quale il Victoria and Albert Museum gli aveva reso omaggio nel centenario della sua morte. Esso contiene una raccolta di testi, scritti dai 16 massimi esperti di ciascuna disciplina da lui affrontata, autori di contributi imprescindibili per chi vuole conoscerne e studiarne l’opera, la poetica e la profonda influenza culturale da esse generate sull’arte occidentale a cavallo tra l'ottocento e il novecento, e persino più oltre.

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William Morris, Pimpernel (primula) carta da parati, 1876.

C’è una casa sulla Baia Piccola di Sestri Levante, rossa, che a me, fin da quand’ero una studentessa di architettura e assidua frequentatrice di quel lido, ha sempre richiamato alla mente, per la sua forma medievaleggiante, per la sua tipologia, per la libertà compositiva che la presiede e per le sue finestre tutte diverse una dall’altra, la Red House di Morris, in miniatura, ovviamente, giusto una porzione di quella, catapultata lì, sulla sabbia assolata lambita dal Mediterraneo – a colloquiare con i gabbiani, con il cielo e con il mare – da un capriccio della geografia o, forse, da uno della storia, complice la mia fantasia. 

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