Antica

17 Marzo 2011

Non è casuale se una riflessione non retorica su cosa sia ancor oggi “la patria” ci possa arrivare da un ebreo, da un ebreo italiano quale era Primo Levi. Almeno in parte ebreo per cultura, italiano per nascita da generazioni; uno di quei ragazzi e di quegli uomini – e come lui milioni di uomini – letteralmente travolti dalle conseguenze delle idee di nazione, patria, destino, razza, negli anni trenta ancora spettatori increduli di tutto ciò che sotto i loro occhi si stava adempiendo. Cosa è, sembra chiedersi Levi , che rende un luogo degno di essere vissuto fino alla fine? Cosa rende un luogo diverso da un punto su una cartina geografica, da un nome segnato da confini, semplicemente da una nazione? In un luogo ci si può vivere, lavorare, fare figli ma può essere ancora poco per riconoscerla come casa, come focolare comune di un’intera comunità, tanto meno patria… Manca una dimensione, che Levi non nomina ma che sembra aver ben guardato in quell’Europa ancora contadina, abbracciata saldamente alle tradizioni e alla terra più che ai moti vorticosi di una modernità ancora da venire. Manca la tradizione intesa come tempo condiviso e dissolto attraverso le generazioni, tempo che attraverso il sangue cementa i luoghi alla loro storia, alla vita delle persone. Non sono forse questi i confini entro i quali si riconosce una patria? Anche Levi visse la contraddizione e la cifra che fa di ogni ebreo un’eccezione e al tempo stesso un campione di umanità (è George Steiner a ricordarci che poiché “l’ebreo fu sempre un profugo, poiché in nessun luogo fu di casa…èsuo dovere indicare che anche altri uomini, nonostante sembrino profondamente radicati, sono ospiti gli uni degli altri e ospiti della vita”). Per gli Ebrei, storicamente, la geografia, la storia e la cultura collimano solo parzialmente e mai in un unico luogo. Troppe del resto sono state le diaspore degli ebrei e mille i luoghi vissuti: ingrediente invisibile impastato ad ogni cosa, il tempo è stato l’eredità di una tradizione millenaria, dispersa in ogni dove ma anche in ogni come possa dirsi ebreo, nella lingua, nei libri, soprattutto in una storia che più che per ogni altro popolo è diventata memoria vivente.E non è forse la patria la memoria vivente entro la quale una comunità piccola o grande si riconosce?
È anche per la storia cui Primo Levi apparteneva, che la parola patria può suonarci “antica” ma ancora vera, almeno quando è memoria vivente, memoria dai confini talvolta incerti ma entro cui si è vissuto e nei quali ci si riconosce.

 

In copertina, Primo Levi al Colle della Tournette, 31 luglio 1983, foto di Alberto Papuzzi.

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