Architettura, decorazione, scrittura / Carlo Scarpa bizantino

27 Giugno 2018

“Oh! Come balleremo, quel giorno! Oh! Come plaudiremo alle lagune, per incitarle alla distruzione! E che immenso ballo tondo danzeremo in giro all’illustre ruina [di Venezia]!” declamava Filippo Marinetti nel Discorso futurista ai Veneziani improvvisato al Teatro La Fenice nel 1910. 

Se il desiderio dei futuristi si fosse avverato Venezia non avrebbe il problema delle moltitudini che invadono la laguna per ammirare i suoi monumenti architettonici, perché sarebbero stati sacrificati a un “supremo ideale estetico”. “È nella certezza che nella fatale e futura distribuzione del lavoro tra le razze, all’Italia solo sarà dato di rinnovare un supremo ideale estetico in cui potranno riconoscersi gli uomini superiori di razza bianca!”, scriveva Umberto Boccioni in Pittura e scultura futuriste (Dinamismo plastico) del 1914. 

Cosa avrebbero mai edificato al posto di Venezia storica questi uomini di razza superiore? “Ponti metallici” e “opifici chiomati di fumo” annunciavano nei volantini lanciati dalla Torre dell’Orologio sulla folla l’8 luglio 1910. Alcuni ponti metallici in effetti sono stati costruiti e a Marghera anche molti opifici “chiomati di fumo”, ma le macerie dei palazzi storici non hanno colmato “i piccoli canali puzzolenti”, come i futuristi avrebbero voluto.

Venezia storica è ancora al suo posto, anche se con i tornelli posizionati ai piedi del Ponte della Costituzione e del Ponte Degli Scalzi, per monitorare gli ingressi e indirizzare i non residenti a percorsi alternativi nel caso di sovraffollamento. 

 

Varco posto ai piedi del Ponte degli Scalzi. 


Tornelli sì o tornelli no? 

Dalla contesa del 29 aprile scorso tra amministrazione pubblica e giovani dei centri sociali che hanno tentato di rimuovere i tornelli posti ai piedi del Ponte della Costituzione, la questione è ancora aperta. È un problema di ordine pubblico, come sostiene l’amministrazione? D’impoverimento demografico e sociale, come lamentano i giovani dei centri sociali? Molti sostengono che sia un problema da risolvere politicamente. 

E se fosse invece un problema da risolvere geometricamente, mi viene da pensare oltrepassando il varco posto ai piedi del Ponte degli Scalzi? 

Mi torna alla mente un ragionamento che Narciso Silvestrini, studioso del colore e della geometria chiaroscurata, fece in occasione di una cena organizzata a casa di Marco Belpoliti. Mentre Lino Gerosa riposava sul divano e Giuseppe Di Napoli sturava una bottiglia, Silvestrini esponeva alcune sue riflessioni sulla geometria, utili per comprendere la funzione del granello di sabbia nell’architettura in calcestruzzo armato. Ogni dimensione trova il suo limite in quella precedente: il volume nella superficie, la superficie nella linea e la linea nel punto, ma il punto? Il punto non ha dimensione eppure è la condizione di possibilità di ciò che ha dimensione. Silvestrini paragonò il punto al granello di sabbia nel calcestruzzo armato che ha in potenza tutte le dimensioni e le forme possibili, al che mi venne da pensare che doveva essere il punto della geometria intuitiva perché nella geometria razionale è concepito come entità astratta, non certo come granello. 

 

Mi fermo perplesso in Campo San Geremia e telefono a Silver (così viene confidenzialmente chiamato dagli amici) per avere un chiarimento. Gli chiedo se ricordo bene i contenuti della conversazione, ma subito sposta il discorso sugli strumenti di scrittura e disegno appuntiti – anche qui il punto è inteso in modo intuitivo – attraverso i quali il pensiero fluisce e poi sul punto che genera la linea, la linea il volume, il volume un ipervolume, ma siccome la quarta dimensione non è rappresentabile, l’ombra di un volume è la manifestazione di un ipervolume irrappresentabile. Perbacco! Penso tra me e me mentre Silver fila con il suo ragionamento: ma allora il decreto legislativo 507 del 1993, per il quale l’ombra che le insegne dei negozi e dei bar proiettano sui marciapiedi va equiparata all’occupazione di suolo pubblico e perciò tassata, smentisce quanto si dice dei nostri legislatori, che in questo caso avevano intuito con ardita e insospettabile intelligenza l’esistenza di un volume alla quarta che occupa i marciapiedi, ma senza intralciare il passo.

 

Nel frattempo si sta rannuvolando. Saluto Silver e mi avvio lungo Rio Terà Lista di Spagna facendomi strada tra la folla. Venezia è dimensionata e perciò ha dei limiti di cui si dovrebbe tener conto, ma all’estremo delle sue dimensioni troviamo il punto che non ha estensione. Siamo rimasti impigliati in un paradosso, pare a causa di Euclide che ha tentato di conciliare la geometria intuitiva con quella razionale formulando una definizione di punto geometrico poco chiara se non addirittura nulla. In Storia della matematica (Mondadori, 1980, p.124) Carl Boyer scrive: “La debolezza di questa parte [degli Elementi] sta nel fatto che alcune definizioni non definiscono nulla”.

In conclusione: Venezia è dimensionata e perciò ha dei limiti di cui si dovrebbe tener conto, ma all’estremo delle sue dimensioni troviamo il punto che non ha estensione e perciò non riusciamo a venirne a capo. Che sia questa l’incertezza che alimenta la polemica tornelli sì VS tornelli no? Se così fosse, per dirimere la contesa ci vorrebbe un amministratore o un legislatore esperto di geometria, come quello che ha tassato l’ombra dei volumi quadridimensionali. 

 

Giunto al Ponte delle Guglie penso alla geometria chiaroscurata di Silver che potrebbe benissimo riempire il vuoto lasciato dal crollo dei grandi sistemi di analisi (storici, filosofici, semiologici, psicanalitici) aiutandoci a leggere e interpretare il nostro tempo e le sue contraddizioni. 

Con queste idee che ronzano in testa in modo piuttosto confuso mi inoltro in un dedalo di calli intricato quanto il problema posto dalla collocazione dei varchi, finché sbuco in piazza San Marco. Sul lato nord-ovest della piazza si trova il negozio Olivetti progettato da Carlo Scarpa, un grande e sapiente artefice dei punti della geometria intuitiva pronti ad assumere svariate forme nella tecnica di costruzione che impiega il calcestruzzo armato. Le sue architetture presentano una varietà di utilizzo del calcestruzzo armato a vista con soluzioni che valorizzano il ruolo espressivo della superficie. Le opere dell’architetto veneziano hanno fatto scuola e il negozio Olivetti in piazza San Marco è quotidianamente visitato da architetti e studenti, ma ignorato dal vasto pubblico, nonostante si affacci su una delle piazze più famose e visitate al mondo e sia incluso tra i beni FAI.

Alla collaborazione tra Scarpa e Adriano Olivetti Elena Tinacci ha dedicato un saggio dal titolo Mia memore et devota gratitudine. Carlo Scarpa e Olivetti, 1956-1978 (Edizioni di Comunità, 2018). Lo studio porta l’attenzione sulla responsabilità sociale dell’impresa e sull’etica del lavoro che, secondo Olivetti, si esprime compiutamente attraverso la bellezza dei luoghi di produzione e vendita dei prodotti. Al rapporto tra l’architetto e l’imprenditore è dedicata anche la mostra Scarpa e Olivetti: sinergie tra parole e progetti allestita presso il Centro Carlo Scarpa di Treviso (fino al 13 gennaio 2019).

 

Carlo Scarpa, negozio Olivetti, 1957-58. Venezia, piazza San Marco. Ingresso laterale.


L’architettura del negozio, nel quale sono entrato dall’incredibile e bellissimo ingresso laterale, ha due centri di generazione dello spazio. Il primo è la scala che mette geometricamente in moto un sistema di piani e volumi, il secondo è la scultura Nudo al sole di Alberto Viani che “galleggia” sullo specchio d’acqua raccolta in una vasca di marmo nero. Lo storico dell’arte Ludovico Ragghianti ricorda che “Tra le poche cose che Scarpa mi ha detto nel presentarmi la sua architettura del negozio Olivetti è questa: che egli l’ha fatto come ambiente per la statua di Viani” (La Crosera de piazza di Carlo Scarpa, in Zodiac, n°4, 1959, pp.134-137). In realtà, osserva Ragghianti, la scultura era una componente necessaria alla soluzione architettonica proposta da Scarpa. 

 

Carlo Scarpa, negozio Olivetti, 1957-58. Venezia, piazza San Marco. Vedute dell’interno.


In questo saper cogliere il rapporto tra architettura e opera d’arte pesa sicuramente l’attività museografica dell’architetto: gli allestimenti di mostre e biennali e la sistemazione di gallerie, alla quale Philippe Duboÿ ha dedicato il saggio Carlo Scarpa. L’arte di esporre (Johan & Levi, 2016), mettendo in evidenza l’amore di Scarpa per la memoria storico-artistica. A differenza dei futuristi che la detestavano, che avrebbero voluto radere al suolo Venezia storica, Scarpa l’amava, la sentiva sua, tanto da portare dentro il nuovo linguaggio dell’architettura razionalista “i modi, le misure del vivere della città” (da una conversazione trasmessa dalla RAI nel 1972, nel corso di un programma televisivo realizzato da Maurizio Cascavilla e Gastone Favero).

L’aspetto orientale e bizantino di Venezia ha influenzato la sua poetica architettonica innestando nel razionalismo quella componente decorativa che fa l’originalità della sua opera. In una conferenza tenuta all’Akademie der bildenden Künste di Vienna il 16 novembre 1976, Scarpa dichiarò: “In fondo io sono un bizantino”. Bellissimo il logo Olivetti con il fondo oro nel quale sembrano essere migrati i bagliori musivi della basilica di San Marco e le aureole quadrangolari rappresentate negli affreschi e dei mosaici di derivazione bizantina. Tra queste quelle dei donatori nella cappella di San Teodoro in Santa Maria Antiqua e nel catino absidale in Santa Prassede a Roma.

 

Carlo Scarpa, negozio Olivetti, 1957-58. Venezia, piazza San Marco. Logo Olivetti posto all’ingresso principale.


Insieme alla decorazione, Scarpa porta dentro il nuovo linguaggio dell’architettura razionalista anche la memoria storica con una complessa e ben articolata geometria delle forme. Architettura, decorazione e talvolta anche scrittura (Ilaria Abbondandolo, Francesca Palladini, Carlo Scarpa e la forma delle parole, Marsilio, 2011) si integrano geometricamente tra loro. 

Volumi che si scompongono e ricompongono geometricamente attraverso piani, idealmente mobili, generati dalle linee che egli traccia sul foglio da disegno, forse con l’idea, come suggerisce Silver, che nel disegno architettonico il pensiero (visivo) fluisce attraverso il punto rappresentato dal segno lasciato sul foglio dalla punta di una matita. “Voglio vedere, e per questo disegno. Posso vedere un’immagine solo se la disegno” (Edorado Gellner, Franco Manuso, Carlo Scarpa e Edoardo Gellner. La chiesa di Corte di Cadore, Mondadori Electa, 2000, p. 38).

 

Carlo Scarpa, ampliamento della Gipsoteca Canoviana, 1955-57. Possagno, piazza Canova. Finestra ad angolo.


Scarpa è un sapiente artefice del passaggio da una dimensione all’altra con la consapevolezza del complesso e problematico ruolo svolto dal punto geometrico, come risulta dalla sistemazione della Gipsoteca Canoviana a Possagno, che nel frattempo ho raggiunto passando da San Vito d’Altivole. Qui la finestra d’angolo smaterializza le superfici, gli spigoli e il punto dove questi convergono con un moto implosivo, trasformando in luce la porzione cubica sottratta all’edificio. Magnifica invenzione. Ah! Silver, qui l’ipervolume non si manifesta attraverso l’ombra ma attraverso la luce. Scarpa buca l’involucro edilizio con dei triedri trasparenti per “ritagliare l’azzurro del cielo”, in largo anticipo sullo Skyspace realizzato a Villa Panza da James Turrell nel 1974.

 

Carlo Scarpa, ampliamento della Gipsoteca Canoviana, 1955-57. Possagno, piazza Canova. Finestra ad angolo – James Turrell, Skyspace, 1974. Villa Panza, Varese.


Quanto avrà pesato sulla sua poetica la celebre frase: “l’architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico delle forme assemblate nella luce” pronunciata da Le Corbusier a Palazzo Ducale il 25 luglio 1934, in occasione del convegno internazionale Arti contemporanee e la realtà, l’arte e lo stato? Non lo sappiamo, ma possiamo invece dire con certezza che quella di Scarpa è la luce della pittura e dell’architettura veneta. Nell’Idea dell’Architettura universale, pubblicata nel 1615, l’architetto e scenografo vicentino Vincenzo Scamozzi descrive sei tipologie di luce e la loro incidenza nell’architettura: 1 il lume amplissimo o celeste, 2 il lume vivo perpendicolare, 3 il lume vivo orizzontale, 4 il lume terminato, 5 il lume di lume, 6 il lume minimo. La finestra d’angolo di Scarpa combina il lume vivo perpendicolare, che “viene à cielo aperto, e riceuiamo nelle corti, ò dalle apriture delle cupole” con il lume vivo orizzontale, che “prendiamo di fronte, ò diagonalmente dal puro cielo”. Scarpa reinterpreta con intelligenza visiva la finestra ad angolo e a nastro dell’architettura razionalista, forse pensando a Scamozzi e alla luce dei Veneti, che è anche la sua. 

 

Ci vorrebbe qualcuno in grado di trovare soluzioni altrettanto intelligenti per risolvere il problema del sovraffollamento a Venezia. Purtroppo abbiamo perso Scarpa nel 1978 e inoltre, in questa difficile fase politica, non possiamo neppure confidare di trovare amministratori esperti di geometria, in grado cioè di comprendere la natura problematica e contradditoria dei punti, compresi quelli del nuovo programma di governo.

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