Cartolina da La Morra
Al confine tra Barolo e La Morra c’è un Arlecchino sospeso in una tela di colori autunnali. È la cappella delle Brunate, ricoperta di quadri rossi, gialli, verdi, viola e blu, incastonata tra una vecchia casa in mattoni senza tetto, ma protetta da teloni, e una costruzione che è poco più di un cantiere. «Un ufo, un grande Lego, un quadro, un oggetto colorato caduto nel paesaggio», per dirla con le parole dello scrittore Andrea Bajani. In origine un vecchio capanno, costruito nel 1914 e probabilmente mai consacrato, che grazie al tocco di due maestri dell’arte mondiale è diventato simbolo della rinascita culturale ed economica delle Langhe, dopo secoli di brigantaggio e di malora fenogliana. Si deve all’intuizione della famiglia Ceretto, proprietaria dal 1970 dei sei ettari di vigneto delle Brunate su cui sorge il piccolo edificio, la nuova vita di uno di quei vecchi ciabòt che i contadini piemontesi da secoli usano per riporre gli attrezzi, trovare ristoro dopo la fatica del lavoro in campagna o ripararsi quando il temporale li coglie impreparati nelle vigne. E proprio con il frutto di queste terre furono pagati gli artisti, Sol LeWitt e David Tremlett, chiamati nel 1997 a ricolorare le Langhe: una bottiglia di Barolo a settimana per tutta la vita. Un’operazione di mecenatismo culturale ha così trasformato una struttura fatiscente in una meta di pellegrinaggio che richiama 60mila turisti l’anno, il cui obiettivo primario rimane scattarsi selfie e fotografie da mettere come foto profilo.
La sua posizione rialzata permette un affaccio privilegiato sulla valle che idealmente unisce Alba, Roddi, Verduno, La Morra e Cherasco. Lungo i bordi si stagliano quelle colline che sembrano mammelle, una definizione rubata al Cesare Pavese di Paesi tuoi ma che trova conferma dal vivo: alcune sono sode, altre più dolci, altre ancora bitorzolute, quasi grottesche. Anche loro testimoniano la forza dell’ingegno umano, che nei secoli ha saputo ammansire la natura per produrre vino, nocciole e frutta: uno sforzo riconosciuto nel 2014 con il titolo “Patrimonio dell’umanità” a tutti quei paesaggi vitivinicoli che si dispiegano non solo nella Langa del Barolo, ma attraversano quasi tutto il Basso Piemonte, compresi il Roero e il Monferrato. Proprio attorno alla cappella ruotano vigne a perdifiato in una danza di foglie verdi, gialle e brune che formano un reticolo di pali artificiali e piante addomesticate disteso fino all'orizzonte. Qualche macchia qua e là di strade, case e auto che l’occhio vede sfilare al pari di formiche, come una nota dissonante in un panorama che suggerisce la piccolezza del visitatore al cospetto dello spettacolo.
Tornando alla macchina, dopo aver incontrato famiglie, coppiette e ciclisti in bici elettrica, per raggiungere il borgo storico di La Morra si scende dalla borgata Cerequio ̶ teatro nel 1944 di un crudele eccidio in cui persero la vita diciotto partigiani per mano di milizie fasciste ̶ e ci si rimette in viaggio. La direzione da prendere è frazione Annunziata, sede dei primi insediamenti nel Medioevo da parte di alcuni benedettini giunti da Alba Pompeia, prima che si arroccassero sulla cima della collina, dove sorge l’attuale paese langarolo. Furono i monaci a battezzarla «Murra», perché qui lavoravano la terra e custodivano il bestiame: un compito faticoso e spesso mandato in fumo da pestilenze, guerre e calamità naturali (come il terremoto del 1222). Si stupirebbero di certo se vedessero quanti agriturismi e cantine oggi innervano il giaciglio della tortuosa strada che porta a La Morra, con forme e tonalità che richiamano la tavolozza dei colori autunnali e il rubino dei vini che producono i vigneti. La costruzione più eccentrica è certamente quella della cantina L’Astemia pentita, un edificio formato da due parallelepipedi sovrapposti a mimare un paio di casse di vino impilate. Un chiaro divertissement di design in mezzo a sorì, i vigneti più impervi, che per secoli hanno messo a dura prova le forze umane, mentre oggi producono litri di nettare pronto a soddisfare i palati di clienti da tutti i continenti. A colpire l’occhio nella salita è anche il cedro del Libano, un arbusto che non fa parte della vegetazione locale, ma ricorda il pegno d’amore di due giovani di buona famiglia, Costanzo Falletti di Rodello ed Eulalia Della Chiesa di Cervignasco, che nel 1856 sancirono la loro unione con un albero di buon auspicio per la nascitura vita di sposi.
Arrivati a 300 metri dal paese, quando mancano solo un paio di tornanti alla meta, si viene accolti da orde di macchine posteggiate lungo tutto il bordo della carreggiata. È l’inizio di un girone infernale dove nessuno spazio può esser lasciato libero, nemmeno davanti ai garage con divieto di sosta. Se questi luoghi fino a cinquant’anni fa ospitavano appena un po’ di bestiame, qualche aratro e, nei casi migliori, un trattore, oggi sono presi d’assalto da Porsche nuove di pacca e auto di lusso in doppia fila, lasciate davanti ai portoni con le quattro frecce lampeggianti. Più si raggiunge il borgo più la situazione peggiora, con greggi di turisti che attraversano la strada senza degnare del minimo sguardo chi sta passando, mentre chi si trova alla guida, magari incolonnato, verrà sovrastato da decine di automobilisti che si immettono nel traffico strombazzando. Chi vince alla ruota della fortuna e trova uno stallo non occupato nel piazzale Monera, si guadagna la possibilità di fare un giro a La Morra, visitando i variopinti ristoranti e le enoteche che affollano il piccolo centro abitato. Sono i primi accenni dell’overtourism langarolo ̶ fenomeno ancora limitato ai pochi mesi autunnali ̶ che se non viene ripensato nell’ottica di preservare il patrimonio paesaggistico e ambientale, rischia di rovinare il lavoro di secoli di contadini, lasciando indietro proprio chi ha plasmato quelle colline. L’enorme afflusso di visitatori non è solo un problema di parcheggi, ma anche d’impoverimento e omologazione culturale (aumentano i locali con offerte turistiche e scompaiono botteghe e servizi per i cittadini), oltre ad aumenti di costo della vita e degli immobili a sfavore di molte fasce della popolazione, che si dirigono sempre più verso altre aree della provincia Granda o dell’Astigiano.
Locali e attività turistiche convergono verso il cuore del borgo lamorrese, piazza Castello, sede della torre campanaria costruita sulle ceneri del maniero dell’importante famiglia Falletti dopo la guerra franco-spagnola: un’ampia piazza che si affaccia sulla visuale aperta di colline e campi, in cui l’occhio può spaziare fino a perdersi all’orizzonte. Per arrivarci bisogna salire dall’irta via Umberto I – il passato sabaudo è sempre presente nella toponomastica piemontese – dove ristoranti, enoteche e botteghe sono incastonati in edifici dai colori autunnali, giallo, arancione e beige, in mezzo a mattoni vermigli. Anche se oggi omologata a boutique di prodotti tipici, un tempo resisteva in questa ascesa al belvedere una piccola libreria chiamata Paesi tuoi, dove si potevano trovare i libri dei grandi scrittori langaroli e scambiare quattro chiacchiere con Maurizio Cossa, figlio di Maria Luisa Sini, adorata nipotina di Cesare Pavese che visse con lui nell’appartamento torinese di via Lamarmora. Sembra quasi strano parlare dell’intellettuale nato a Santo Stefano Belbo passeggiando per La Morra, un luogo in cui si respira ancora l’atmosfera fenogliana delle battaglie partigiane, ma è suggestivo pensare che proprio qui, forse, sia nato un contatto tra queste due personalità così schive. Un episodio raccontato da Franco Ferrarotti sembra far convergere Pavese e Fenoglio verso questo borgo. Il sociologo, qualche anno fa, ha infatti confessato di esser venuto nel 1948 in un’osteria «alla Mora» (con un lapsus geografico e letterario), per conoscere Beppe Fenoglio su segnalazione di Cesare Pavese, suo stimato collega alla neonata casa editrice Einaudi. Un incontro ammantato di fascino, ma improbabile: Ferrarotti deve aver cenato con l’autore del Partigiano Johnny una decina d’anni dopo e non per raccomandazione di Pavese, come hanno sostenuto diverse voci, tra cui Lorenzo Mondo e Valter Boggione. Rimane il dubbio dell’incontro mancato tra due voci opposte: una vocata alla coscienza politica e alla resistenza, l’altra al disimpegno e al richiamo ancestrale della terra.
Arrivati in cima, superati gli ultimi scalini, si raggiunge finalmente la piazza presa d’assalto dai visitatori: ci sono coppiette sorridenti, famiglie che fanno due passi per smaltire il pasto appena consumato, bambini che scorrazzano con grandi schiamazzi e musicisti che suonano qualche cover, sperando nei pochi spicci dei turisti. Qualcuno improvvisa una canzone di De André, magari senza sapere che proprio in una cascina di La Morra nel 1954 il genovese strimpellò per la prima volta una chitarra, in villeggiatura con i genitori, mentre si avvicinava alla poesia dei trovatori. L’enorme distesa di grigia pietra, attorniata soltanto dal campanile e da qualche edificio signorile dalle tonalità calde, si conclude con un balcone da cui si scorgono chilometri di verde che sfociano nel lucore dell’azzurro, appena intervallato dai monti lontani. Il panorama che fa capolino dal belvedere sovrasta tutto, dalle colline percorse in precedenza fino al cedro del Libano, alla cappella delle Brunate e ancora alle cantine sparse, ora punti lontani nell’immensità di un paesaggio dominato dai vigneti. Non un monito alla caducità umana, ma uno sprone a preservare quella bellezza da cui i contadini piemontesi hanno saputo trarre i frutti migliori e il benessere economico, affinché tutti possano goderne senza lasciare indietro nessuno.
Bibliografia
Andrea Bajani, La Cappella del Barolo di Sol LeWitt & David Tremlett, Corraini, Mantova, 2019
Cesare Pavese, Paesi tuoi, Einaudi, Torino, 2020
Franco Ferrarrotti, “A cena con Beppe Fenoglio, alla Mora, parlando della Resistenza e della «malora», all’ombra di Cesare Pavese” in Antonio Catalfamo (a cura di), Pavese, Fenoglio e «la dialettica dei tre presenti», I quaderni del CE.PA.M., Santo Stefano Belbo, 2014
Mario Baudino, “La Morra, autunno 1948. Quella cena con Fenoglio promossa da Pavese…” in La Stampa, Torino, domenica 29 giugno 2014
1954: De André incontra la chitarra e la poesia, Altervista
Valter Boggione, From C to C. Le poesie di Pavese tradotte da Fenoglio, lezione al Pavese festival 2022 su Youtube
Tutte le fotografie sono di Lorenzo Germano
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