Che razza di libro!
Harriet Beecher Stowe scrisse La capanna dello zio Tom, il primo romanzo abolizionista, nel 1852, dopo la promulgazione delle leggi che stabilivano che gli schiavi fuggiti negli stati liberi dovevano essere arrestati e riconsegnati ai proprietari nello stato d'origine. L'orrore del razzismo in America continua anche oggi, è recentissima (del 14 maggio scorso) la notizia della strage in un supermercato di Buffalo, nello stato di New York, dove un ragazzo di diciotto anni, Payton Gendron ha ucciso dieci afroamericani. Sarà per tenere alta l'attenzione verso questo odio ciclico, che non accenna a finire, che il National Book Award 2021 è stato assegnato al romanzo di Jason Mott Che razza di libro! (traduzione di Valentina Daniele, NN Editore, 2022), un testo decisamente militante, con alcune pagine molto belle, che cita, fornendo una pista, il movimento Black Lives Matter: per segnare questi anni venti del XXI secolo con un nuovo racconto, che aggiorni James Baldwin, Richard Wright, Gwendolyn Brooks, tutti quegli scrittori che non si sono mai stancati, nelle varie epoche, di denunciare la bassezza umana dell'apartheid.
Non sembrano passati decenni da quel 1952 quando Ralph Ellison pubblicò Uomo invisibile (recentemente ristampato in Italia da Fandango) che, un anno dopo, vinse, anche lui, il National Book Award. Il protagonista è un giovane uomo senza nome, che passa dal Sud razzista a New York, vivendo una condizione di "invisibilità" perché appartenente a una etnia ritenuta inferiore. Anche in Che razza di libro! siamo in una cittadina razzista ("Ho avuto un'infanzia tutto sommato normale. Sono cresciuto in un paesino di cui nessuno ha mai sentito parlare, nel culo del North Carolina"). Qui un autore nero sta facendo un tour promozionale per promuovere il suo romanzo (che ha lo stesso titolo del libro che stiamo leggendo, si suppone quindi che l'io narrante sia proprio Jason Mott). Durante il viaggio incontra un Ragazzino, un bambino che potrebbe essere frutto della sua immaginazione e che ricorda all'autore la sua infanzia e la sua adolescenza, ma che rappresenta anche la sua cattiva coscienza, che lo prende in giro, spingendolo ad assumersi le sue responsabilità di intellettuale nero.
Ragazzino si sovrappone a Nerofumo, un altro bambino protagonista di un'altra storia, vittima di bullismo, e che si troverà ad assistere all'omicidio senza ragione di suo padre da parte di un poliziotto. La madre di Nerofumo non ha mai smesso di insegnargli a essere "invisibile", l'unico modo per sentirsi al sicuro in un mondo di bianchi; suo nonno gli rivela che suo padre "disegnava solo gente bianca. Mai disegnato negri"; sparire, nascondersi agli occhi della maggioranza, dissolversi, è quindi l'esercizio migliore per sopravvivere, a costo di mandare al diavolo la propria identità, e insieme l'orgoglio di essere nato nero.
Nerofumo cresce fino a diventare un romanziere senza nome, sovrapponendo quindi la sua biografia a quella dell'autore, nell'ipertesto che scombina i piani del racconto, li mischia con le apparizioni di Ragazzino e con la descrizione di un certo ambiente editoriale: nel suo viaggio promozionale l'autore è spesso accompagnato dalla sua agente, Sharon, che gli parla di vendite, di cosa fare e cosa dire per conquistarsi lettori, come farli ridere o piangere, pur di mandarli in libreria.
La storia di questo libro di Jason Mott si intreccia non solo con la trama di Uomo Invisibile di Ellison ma anche con quella di un altro libro del 2001, Erasure di Percival Everett, su come l'industria editoriale degli anni '90 incasellava gli scrittori neri, sfruttandoli, per trasformare la loro arte in merce (e il protagonista, in un rimando rivelatore, che ricicla la stessa storia, come se il razzismo fosse nei secoli sempre lo stesso, in Erasure si chiama Ellison, come l'autore di Uomo Invisibile). Un romanzo nel romanzo è l'artificio letterario usato nel testo da Percival Everett, come l'esperimento di meta-narrativa di Jason Mott, allusivo, ironico, con registri diversi, con le storie di Ragazzino e di Nerofumo che incrociano le sue traversie di autore dedito all'alcol e non perfettamente a suo agio nel mercato editoriale. Mott sembra tuttavia avere qualche difficoltà a maneggiare gli incastri, offrendo al lettore una discontinuità nel racconto – che lascia comunque la sorpresa di alcune pagine commoventi – non riuscendo a padroneggiare fino in fondo l'alternarsi tra realtà e immaginazione, tra cronaca (poliziotti che uccidono un ragazzo proprio nella città natale dell'autore e neri assassinati senza colpa, come George Floyd, a Minneapolis, nel 2020, omicidio che ricorda quello del padre di Nerofumo), e metafore (l'incorporeità di Nerofumo e l'ambiguità di Ragazzino, come se essere invisibili e sognare fossero la stessa cosa).
Che razza di libro! un po' romanzo sperimentale, un po' razzismo spiegato a mio figlio, tra autofiction e denuncia politica, è a volte troppo preoccupato di spiegare al posto di mostrare ("mostra, non dirlo", dice il risaputo principio insegnato dalle scuole di scrittura). Il tema dell'invisibilità potrebbe anche sembrare fuorviante, perché se è vero che nella loro individualità i neri sono spessi nascosti, sono invece molto visibili come movimento e come gruppo, purtroppo frustrati nell'impegno di risolvere ingiustizie che durano da secoli e non accennano a scomparire. Lo stesso autore del resto ha dichiarato "A forza di voler essere invisibili, sarà la nostra voce a sentirsi di più". Resta l'importanza del riconoscimento del National Book Award che, evidentemente, premia in cicli ricorrenti libri che hanno il merito di spingere alla riflessione sul razzismo, assumendosi l'onere e il rischio di segnalare opere in cui sostituire al giudizio sul valore letterario quello sulla capacità di entrare nel dibattito sui temi dell'ideologia woke, dell'inclusione, della lotta radicale per i diritti civili, per conquistarsi (come ironicamente dice Jason Mott nel suo romanzo), almeno un'ospitata nel talk di Oprah Winfrey in prime time.