Speciale
Donna dietro le persiane
Un quadro di Silvestro Lega, piuttosto noto, rappresenta una donna vista di traverso ma con la testa rivolta alla finestra, che sta sbirciando tra le stecche di una persiana chiusa. Si trova all’interno di una stanza e di fronte a un’ampia finestra con le ante aperte, una bassa ringhiera e, appunto, le persiane chiuse. Il titolo di questo quadro è Curiosità (1866 circa).
È diverso da dipinti come quello Caspar David Friedrich (1822)
o di Salvator Dalì (1925),
che rappresentano una donna o una ragazza che guarda il mondo esterno da una finestra. In questi quadri non vi è curiosità, ma contemplazione di uno spazio che nel primo si intuisce e nel secondo si vede chiaramente. Si intuisce che la donna di Friedrich ha di fronte a sé, al di là della finestra, l’Elba, il fiume di Dresda, mentre la ragazza di Dalì sta guardando il mare. Se si vuole qui parlare di curiosità, allora la dobbiamo associare all’ammirazione per un paesaggio. Del resto la curiosità ha a che fare con l’ammirazione che, a sua volta, è connessa a quella meraviglia che costituisce, ci dicono Platone e Aristotele, l’origine della filosofia e della conoscenza. Ma la meraviglia dipende da una mancanza, dal sapere di non sapere. È una disposizione emotiva che ti fa considerare anche i fenomeni regolari della natura e della società come insoliti, sorprendenti, stranianti. Anche la curiosità dipende da una mancanza.
Scrive Aristotele in un famoso passo del I libro della Metafisica (cito dalla trad. di C.A. Viano):
“…gli uomini, sia dapprincipio sia ora, hanno cominciato a esercitare la filosofia attraverso la meraviglia. Da principio esercitarono la meraviglia sulle difficoltà che avevano a portata di mano; poi, progredendo così poco alla volta, arrivarono a porsi questioni intorno a cose più grandi, per esempio su ciò che accade alla luna, al sole e agli astri e sulla nascita del tutto. Chi si pone problemi e si meraviglia crede di non sapere; perciò anche colui che ama i miti è in certa misura filosofo, perché il mito è costituito da cose che destano meraviglia”.
Da questo passo possiamo ricavare i seguenti punti:
a) gli uomini hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia;
b) la meraviglia provata riguardava dapprima le stranezze di fenomeni più semplici, poi quelle di fenomeni irregolari della natura quali le anomalie della luna e del sole;
c) la meraviglia infine giunge alla domanda delle domande: l’origine dell’universo;
d) per giungere a questa domanda bisogna che i fenomeni regolari della natura vengano osservati come se fossero insoliti, desueti, strani; la meraviglia esprime dunque una condizione di incertezza che porta alla consapevolezza di essere ignoranti;
e) anche colui che ama il mito, cioè il racconto, è filosofo, perché il mito è fatto di cose meravigliose.
La meraviglia indica uno stato emotivo, passionale, psicologico.
Già Platone, come è noto, aveva definito l’inizio della filosofia come originato dalla meraviglia:
“Amico mio, dice Socrate, non mi pare che Teodoro abbia giudicato male della tua natura. Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo; e chi disse che Iride fu generata da Taumante, non sbagliò, mi sembra, nella genealogia”. Platone parla del “provare meraviglia” (pathos) e Aristotele riprende questo tema.
Mentre infatti la sophia “concerne le prime cause e i principi”, la philo-sophia è appunto amore per la sapienza, ovvero non la conoscenza acquisita delle prime cause e dei principi, bensì un tendere verso la conoscenza e la sapienza, un cercare, un domandarsi, una sorta di raddoppiamento di un sapere che indaga se stesso. La conoscenza si intreccia con l’eros e l’eros esprime la mancanza e il bisogno di colmarla. Anche la curiosità implica un desiderio di sapere, dunque una mancanza. Ma si tratta di una mancanza che comporta, oltre al desiderio, anche la sollecitudine e la preoccupazione. Il latino curiositas viene infatti da cura, una preoccupazione motivata dall’interesse per l’altro e per l’alterità.
Dato il rapporto che viene a instaurarsi tra amore e sapere, la filosofia indica più la posizione e la condizione dell’osservatore nei confronti dei fenomeni e dei misteri del mondo che non le risposte a tali fenomeni e a tali misteri.
Il provare meraviglia di cui parlano Platone e Aristotele è una condizione emotiva che precede e, nello stesso tempo, accompagna la conoscenza e il sapere. Meravigliarsi delle stranezze del mondo e meravigliarsene in modo progressivo e sistematico, prima delle più semplici, poi delle più complesse, fino a giungere alla domanda delle domande, l’origine dell’universo, provoca una sistematica condizione di incertezza e di dubbio. Ma l’incertezza e il dubbio sono ciò che, insieme alla curiosità, accompagnano la ricerca. Quest’ultima diventa metodo nella consapevolezza di essere ignoranti.
Ma nel quadro di Silvestro Lega vi è qualcosa in più. La donna sbircia dalla persiana perché vuole vedere ma non intende essere vista, desidera osservare ma non essere osservata. Si nasconde. Se si affacciasse, si mostrerebbe e mostrandosi sarebbe costretta a entrare in una relazione di reciprocità degli sguardi. Le donne di Aristofane si affacciano per mostrarsi, ma appunto lo devono fare per lavoro e per mestiere. La donna di Silvestro Lega nasconde la sua curiosità perché la curiosità ama nascondersi. Noi spettatori la cogliamo di nascosto mentre furtivamente allarga le stecche della persiana per guardare senza essere vista e soddisfare la sua curiosità.
Tuttavia il suo sguardo furtivo è l’opposto di quello del pittore che Dürer disegna in una delle incisioni che rappresentano la prospettiva.
Qui quel pittore sta scansionando, diremmo oggi, una donna attraverso una finestra prospettica fatta da un reticolo che divide geometricamente le sue parti del corpo. Il suo sguardo connette la conoscenza con il possesso e il dominio organizzati matematicamente, mentre nel quadro di Silvestro Lega la curiosità è solo discreta… indiscrezione. Non ogni sguardo che si nasconde, tuttavia, è così. Vi è anche lo sguardo nascosto dei carcerieri del Panopticon di Bentham, di cui ci ha parlato Michel Foucault. Ma in questo caso non vi è curiosità, perché la cura qui si trasforma in controllo e dominio.
Se per cura intendiamo la sollecitudine e lo sforzo di comprensione dell’altro mantenendo quello scarto necessario che permette il rispetto dell’alterità, allora essa deve basarsi sulla separazione della curiosità, che è desiderio di conoscenza, dal controllo, che è desiderio di dominio. La cura comporta la discrezione, la curiosità invece un’indiscrezione, ma se riportiamo la curiosità alla sua origine che sta nella cura, l’elemento comune in entrambe è il rispetto per ciò che, altro da noi, può solo arricchirci grazie alla sua alterità.