E la bellezza? - Oltre il Buono pulito giusto
L'adagio di Slow food recita buono pulito giusto. Tre parole per indicare altrettante qualità. Un cibo buono ma anche portatore delle necessarie stigmate legate al rispetto dell'ambiente e del lavoro dell'uomo. Una dichiarazione che rimanda a come le esigenze dei consumatori debbano essere l'altra faccia di una realtà fatta di ecologia, tradizioni, equilibrio economico e sociale in attesa di una di là da venire alleanza tra consumatori e produttori...
Un equilibrio difficile, auspicabile ma ancora troppo spesso perdente, almeno a guardare il contenuto di tanti carrelli alle casse dei supermercati.
Eppure... eppure le contraddizioni hanno la capacità di imporre delle domande.
In un pomeriggio invernale lungo una stretta valle ligure del ponente ero alla ricerca di un frantoio per le poche olive che con improvvisazione avevo raccolto senza prenotarne la frangitura. Trovato il frantoio, entrato nello scagno polveroso attiguo alla sala della macina, qualcosa colpisce l'attenzione. Insieme alla bellezza delle forme e delle proporzioni, è la bellezza di un manufatto integro che, non da un museo o da una chiesa, ma da un’anonima costruzione intonacata arrivava diritto dal Seicento. Due macine di un mulino ad acqua, come ad acqua doveva essere stato un tempo anche il frantoio, due macine con gli ingranaggi di legno e la parte superiore, in castagno, a forma ottagonale, dipinta di bianco, come la farina che per secoli doveva aver versato. Qualunque fossero state poi le caratteristiche, i particolari che la proprietaria avrebbe illustrato su quel mulino, sarebbe rimasta solo l'idea della sua bellezza.
La bellezza associata al cibo può sembrare cosa futile, contraddittoria, quasi provocatoria... Eppure, in pieno edonismo da anni 80, già la nouvelle cuisine fece conoscere agli Italiani la cura nella composizione dei piatti e accostamenti cromatici in porzioni da anacoreti. Un'eredità che senza alcuna etichetta rimane ancora oggi, appena il livello del ristorante aspira a qualcosa di diverso dalla trattoria. È di questi ultimi anni la discutibile moda – ma sempre gusto estetico è – del "cake design": vale a dire peripezie estetiche per la più "inutile" e voluttuaria categoria alimentare: i dolci. E quanto poi dell'odierna diffusione della cucina vegana ha a che fare con una bellezza alimentare fatta di colori, fatta dell'assenza del sangue e del cruento...?
Un abisso di significati si apre infine nel pensare che all'estremo... anche la negazione del cibo è per l'anoressica un'idea di bellezza...
"L'occhio vuole la sua parte" certamente è sempre valso, anche se forse oggi sembra l'emergere di nuove tendenze in materia di cibo...
Ma la bellezza nel cibo è cosa azzardata soprattutto per la bellezza in se. Dire infatti cosa questa sia è come tentare di definire la vita. Impossibile visto che si può solo definire un essere vivente e non un concetto astratto.
La bellezza e il mondo vivente... almeno qui si è cercato la definizione di un legame... ma il tentativo di Policleto – già nel quinto secolo a. C. – e quelli successivi di fissare le regole e le proporzioni armoniche della bellezza del corpo umano sono restati esercizi vani perché la bellezza corporea ė dimensione diversa, associabile all'attrazione fisica e alla sessualità, insomma agli stratagemmi – la bellezza su tutti – che la natura attuerebbe per conservare se stessa.
Il problema della bellezza in generale resta altro... precede quello della conoscenza ed è "dentro" la storia della civiltà, è "il tema" centrale di ogni forma d'arte; persino nella fisica e nella matematica le formule più riuscite sembra siano "belle formule".
La bellezza come qualcosa di necessario e al tempo stesso indefinibile... inevitabile che banalmente, su wikiquote, sia tra i lemmi più citati...
Solo una tra tante : “L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui.”
È un passo di Delitto e Castigo di Fëdor Dostoevskij, in realtà non deve essere una citazione tra tante se scelta da Papa Benedetto XVI nell'incontro con gli artisti alla Cappella Sistina del 21 ottobre 2009. Pochi giorni prima in una sua riflessione sulle cattedrali romaniche e gotiche Papa Ratzinger scriveva: “Che cos'è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne?”
Se forse è questo il senso ultimo della bellezza per il Cristiano, per tutti gli altri resta che quest'ultima è concetto sfuggente, che, come per il tempo di Sant'Agostino (“Che cos'è dunque...Se nessuno mi interroga lo so. Se volessi spiegarlo a chi interroga non lo so”), la bellezza ha a che fare con l'ineffabile... ha a che fare con il sacro e la sacralità.
L'epoca moderna sembra possa essere immaginata solo grazie a tutta la tecnologia che ci accompagna. Eppure, prima di internet, prima dell'informatica, dell'elettronica, prima delle biotecnologie, delle scienze e della medicina, quasi sempre si dimentica che è stato l'avvento di due nuove condizioni a segnare l'ingresso dell'umanità – solo quella più fortunata – nella modernità,.
La prima è quella di essere riusciti a scindere in "mondi diversi" riproduzione e sessualità; la seconda è stata nella analoga cesura tra sopravvivenza e cibo. Due rivoluzioni che hanno "liberato libertà", che ci hanno sottratto dai vincoli naturali ed economici, che hanno aperto nuove possibilità al benessere e in definitiva al piacere della vita...
Oggi in pratica scegliamo il cibo solo su impulsi voluttuari. Che si chiami biologico, eco solidale, vegano, tradizionale, etnico, funzionale, fast food, junk food o qualunque etichetta gli si voglia attribuire, è comunque il piacere non la necessità ciò che regola le nostre scelte...
In questo senso ...la bellezza nel cibo – tutta la bellezza – non potrebbe essere forse la prossima frontiera?
Auguriamoci che vada oltre il cake design... auguriamoci che rispetti il senso di una antica parola greca, kalokagathia, ossia la sintesi, la fusione dei concetti di bellezza/bontà, bellezza/valore.
Una fusione che nel cibo si carica poi di ulteriori sensi, perché il buono deborda oltre il valore etico toccando direttamente il corpo, tocca e "si fa carne" e da questa è rimandato altrove... verso il benessere, le emozioni, il significato delle proprie azioni prima che la natura diventi alimento.
Forse anche per il cibo – e per certi versi soprattutto per il cibo – potrebbe valere quanto scritto nel 1999 nella Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti:
“La bellezza è in un certo senso l'espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza”.