Doppia negazione
Una nazione moderna, cui corrisponda una comunità di cittadini consapevoli, non dovrebbe avere paura della menzogna. Una democrazia che cerca di difendersi per legge dalla menzogna non è una democrazia forte. E’ una democrazia che ha paura.
Senza dire che facendo del negazionismo un reato, una democrazia dimostra la sua fragilità: una legge che prevedesse il carcere offrirebbe ai negazionisti la possibilità di ergersi a difensori della libertà di espressione. Sul piano dei principi una vera liberaldemocrazia si deve reggere sulla categoria della separazione. La Chiesa va separata dallo Stato, la magistratura dalla politica.
La Storia non può essere oggetto di leggi, accade così solo nei sistemi totalitari. Come lo Stato non dovrebbe interferire nella vita religiosa dei cittadini, così dovrebbe astenersi dall’affermare una verità di Stato in fatto di passato storico. Da tempo in Italia s’è diffusa invece la tendenza a votare leggi emergenziali su temi delicati che dovrebbero già avere dalla legge corrente la possibilità di essere sanzionati.
Per l’incitazione alla violenza contro gli ebrei, le donne e gli omosessuali, per l’apologia di reati ripugnanti e offensivi esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo o su altri terreni ad alta tensione ideologica. Non sono un segno di maturità le legislazioni emergenziali, anche a prescindere dal discorso estremo per antonomasia sulla Shoah.
La sanzione penale contro i negazionisti, non a caso, riemerge ciclicamente nella nostra pubblica discussione, sull’onda emotiva, per poi fatalmente riprecipitare nell’oblio, anche questo un segnale di immaturità. Strano paese l’Italia dove le leggi ci sono, ma fatichiamo ad applicarle o non le applichiamo per nulla, preferendo imboccare la scorciatoia di una nuova norma, senza che dietro vi sia una battaglia culturale, etica e politica, che potrebbe creare gli anticorpi capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Una maggiore sorveglianza se mai sarebbe auspicabile nelle università, nei dipartimenti di storia, chiamati per loro natura a ragionare sul passato e dunque, in teoria, ma talvolta non in pratica dovrebbero essere più attenti a non lasciarsi contagiare dal virus della menzogna.
Le cose stanno in questi termini in una democrazia forte, ma l’Italia è una democrazia forte? Non mi sembra proprio, le cose che si sono viste e lette in questi giorni non incoraggiano per nulla. La vicenda Priebke dimostra quanto debole, prigioniera di sofismi perché impaurita sia l’Italia di oggi: questo dato dovrebbe preoccupare coloro che veramente vogliono respingere gli attacchi degli assassini della memoria. La fragilità deriva in primo luogo dall’eterno ritorno dell’eguale. Se un nostro concittadino si fosse allontanato da Roma nei giorni della fuga vergognosa di Kappler e fosse rientrato in tempo per vedere la scena di Albano dell’altra sera, non mostrerebbe alcuna sorpresa.
E’ come se il tempo si fosse fermato: la maturazione non c’è stata, siamo più deboli di prima. Purtroppo l’Italia non è una democrazia forte, per ragioni intrinseche alla sua storia, non ultimo il fascismo che ha troncato una democrazia che s’era messa con fatica in cammino. Questa fragilità rende umanamente comprensibile, ma non giustificabile, la scorciatoia di una legge contro i negazionisti che in ultima analisi potrebbe diventare addirittura controproducente.
C’è infine un’aggravante che non c’era ai tempi di Kappler. Viviamo da molti anni sommersi nel grigio, il colore della paura, non della forza. Della Resistenza e dell’antifascismo nessuno più si cura, interessa solo la zona grigia. I segnali non grigi, colorati, che si sono visti negli ultimi giorni mi sembrano soltanto due: il rifiuto della Chiesa e del vicariato romano e soprattutto la sgargiante reazione dei cittadini di Albano Laziale.
Questi cittadini hanno smentito con i fatti l’idea che l’Italia sia la patria grigia delle sfumature di grigio, del male che si confonde con il bene, un luogo comune ormai insopportabile, che con toni retorici e magniloquenti abbiamo ritrovato, e dispiace, in Barbara Spinelli su Repubblica del 16 ottobre scorso, fautrice dell’idea che “nell'umano abit[i] con tutta naturalezza il disumano delle Erinni”.
Se così fosse una legge contro i negazionisti potrebbe pure servire, ammesso e non concesso che esista un tribunale capace di scavare nelle nostri grigie coscienze. Va respinta l’idea di una legge contro i negazionisti, ma va respinta al mittente anche l’idea che Priebke ci rappresenti e sia, come nel racconto di Borges, il simbolo di una detestata zona della nostra anima.