Diario americano / Destinazione Gilead

19 Ottobre 2020

Ci siamo. Lo sguardo gelido della giudice Amy Coney Barrett ci ha appena mostrato dove siamo diretti. Non è un bel posto, non per le donne, ma non si prevedono stazioni intermedie. Tutt’al più si salta in corsa e si sgattaiola in Canada, fra le braccia di Margaret Atwood. Lei lo sapeva che finiva così. Avevamo catalogato la sua repubblica di Gilead alla voce distopia invece è la meta. L’America promette di diventare un immenso Racconto dell’ancella, una teocrazia retta da signore come Amy – iper conservatrice, cattolica praticante, moglie devota e madre di sette figli.

È un cerchio che si chiude. Abbiamo inaugurato la settimana con le audizioni della giudice nominata da Trump al posto di Ruth Bader Ginsburg per spostare la Corte suprema verso una schiacciante maggioranza conservatrice e l’abbiamo conclusa con lo slancio della Women’s march che ha lanciato un accorato appello al voto in difesa dei diritti delle donne e di Lgbtq. Nello spazio di pochi giorni – mentre le file ai seggi del voto anticipato si facevano chilometriche - due Americhe si sono specchiate l’una nell’altra, solo per ritrovarsi più lontane di prima.

 

 

Se suona familiare è perché era già successo. Tre anni fa – un’eternità nelle accelerazioni folli degli ultimi mesi - l’insediamento di Trump veniva accolto dalla prima trionfale Women’s march, milioni di persone in piazza nel giorno di protesta più imponente che la storia americana ricordi. Il Presidente si era già segnalato per le posizioni ferocemente anti-aborto e il garbo di afferrare le donne per la pussy, ma erano tutto sommato tempi più innocenti. Covid 19 non aveva ancora devastato le nostre vite, l’economia tirava e l’idea che un fiume in marcia potesse deviare il corso della politica non sembrava un’assurdità. Non era andata così per i diritti civili? 

A marciare sul serio sono stati però i pro-life che da allora, uno stato dopo l’altro, hanno eroso il diritto delle donne all’aborto fino a sfiorare il bando. Alcuni stati hanno approvato le heartbeat bills che vietano l'aborto dopo sei-otto settimane, quando i medici iniziano a individuare il battito fetale. Altri hanno limitato i tempi in cui è praticabile, qualcuno l’ha vietato perfino in caso di incesto o stupro. A fare da baluardo alla montante marea pro-life sono rimasti gli stati democratici, ma la strategia repubblicana minaccia di travolgere alla svelta anche loro. 

L’obiettivo era stato finora collezionare ricorsi e bocciature fino a raggiungere la Corte suprema e lì rovesciare Roe v. Wade, sentenza caposaldo del diritto all’aborto. Non importa che l’opinione pubblica americana, pur con certi distinguo, sia a favore del diritto. Non importa che i tentativi legislativi siano falliti a ripetizione. Il no all’aborto è la promessa di Trump al potente blocco pro-life che ha propiziato la sua elezione e Coney Barrett incarna quella promessa. 

 

Le audizioni della signora, ogni giudice della Corte d’appello, sono un capolavoro di compostezza, se comparate al circo che ha accompagnato quelle dell’ormai giudice supremo Brett Kavanaugh fra sbevazzi giovanili, tentativi di stupro e altre amenità. Non che ci si aspetti altro da una conservatrice di provata fede cattolica con sette figli, di cui due adottivi, che in un abbagliante dispiego di devozione l’accompagnano alle audizioni dove si immagina si comportino con suprema educazione. 

Ascoltarla e andare in bestia è però tutt’uno. Non perché eviti le domande scottanti o dichiari la sua imparzialità, quello è scontato. Il fatto che ci rassicuri non aver preso impegni con nessuno (“né al Senato né alla Casa bianca”) o spieghi che i “giudici non sono politici e devono mettere da parte qualsiasi veduta politica”, lascia il tempo che trova. Il punto è che ormai lo sanno tutti come la pensa sul matrimonio gay, su Obamacare nonché sull’aborto e soprattutto su Roe v. Wade - anche se rifiuta di esprimersi perché “sarebbe scorretto”. 

 

Women's march

 

Si sa che in passato ha firmato una dichiarazione contro “gli aborti a richiesta” e a favore del “diritto alla vita dalla fecondazione alla morte naturale”, sostenuta da quella che con orgoglio si autodefinisce una delle più vecchie organizzazioni pro-life della nazione. Si sa che ha insegnato nella più grande organizzazione anti Lgbtq e ha fatto parte del gruppo cattolico People of Praise, contrario all’aborto, in cui si predica alle donne la sottomissione al capofamiglia. Fino a qualche anno fa le leader, come Coney Barrett è stata, si chiamavano handmaid ovvero – guarda l’ironia - ancella. (People of praise non sembra comunque essere la diretta ispirazione del Racconto dell’ancella).

A sfatare l’ipotesi che si tratti di impulsi di gioventù è lei stessa quando chiarisce che non considera Roe v. Wade un “super-precedent”. In altre parole, è una decisione che potrebbe essere ribaltata. Il suo mentore - il giudice Antonin Scalia, scomparso nel 2016 - aveva scritto che la Costituzione americana non ha niente a dire sull’aborto e che gli stati dovrebbero dunque avere la possibilità di decidere da sé. Amy Coney Barrett, un’originalista che ritiene che la Costituzione vada interpretata alla lettera, potrebbe imboccare questa strada. In caso la sua nomina sia confermata (ormai praticamente una certezza), la battaglia si sposterebbe dunque a livello statale dove – come si è visto – in gran parte è già perduta. E a meno di rivedere gli assetti della Corte suprema, la vittoria alle elezioni dei democratici non modificherebbe la situazione.

 

L’impatto di questa disfatta sulla vita delle donne - soprattutto le più povere e le afroamericane, che hanno un tasso di aborti più elevato delle bianche e delle ispaniche - è devastante. Dal punto di vista del Presidente, è invece un succoso incasso elettorale. L’aveva promesso a caratteri cubitali, due anni fa, alla March for Life, di lottare per “i bellissimi bambini non nati” e di togliere i finanziamenti alla “grande industria dell’aborto”. In parallelo, i tagli alla ricerca scientifica su tessuti fetali sono stati serrati. E che alla sua guarigione da Covid 19 abbia contribuito un siero frutto della ricerca su cellule embrionali non ha modificato di una virgola le sue opinioni.

Fermo restando che ognuno è libero di pensarla come crede, mi sono chiesta spesso come si formino le sue convinzioni – basta seguirlo su Twitter per domandarselo almeno dieci volte al giorno. E se ancora coltivavo qualche illusione, l’ho messa da parte leggendo uno dei best seller di questa stagione elettorale Inganno – Donald Trump, Fox News e la pericolosa distorsione della realtà (NR edizioni, 312 pp., traduzione di Marilisa Palumbo e Paola Peduzzi). 

 

Scritto da Brian Stelter, capo della redazione media di CNN, il libro analizza il perverso rapporto fra Trump e l’ecosistema mediatico di Foxnews che ha contribuito in modo così determinante al suo successo. Il ritratto che ne esce è surreale e a suo modo esilarante. Non è solo che il Presidente passa sei ore al giorno davanti alla tivù, come milioni di sfaccendati in tutto il mondo. E’ che tiene ai suoi ascolti più che al Nobel per la pace, che comunque si immagina gli avrebbe fatto piacere. E’ che fra la Casa bianca e la rete televisiva di Murdoch la porta è sempre aperta e più dei pareri degli esperti – Anthony Fauci, per dirne uno  - contano quelle degli opinionisti Fox, in primis Sean Hannity (stipendio annuo, 30 milioni). E’ che in questo gioco vince chi le spara più grosse e le conclusioni sono sotto gli occhi di tutti.

 

E’ da ingenui dunque chiedersi perché in piena pandemia, mentre ci si avvia all’inverno più cupo che si possa immaginare, divampi l’ennesima guerra sul corpo delle donne e in prospettiva sul sistema sanitario. It is what it is, per citare Michelle Obama. Le donne sono solo uno dei tanti bersaglio di queste elezioni e la giudice Amy è la loro fredda esecutrice.

Intanto, in questi giorni intorno a noi trionfano gli scheletri di Halloween. Ogni cortile ha il suo minuscolo cimitero di lapidi e teschi. Un vicino ha seppellito una fila di bambole, dall’erba spuntano solo le teste coronate da ciocche di nylon che brillano al sole. Ogni volta che ci passo davanti mi torna il cimitero dove a Roma hanno sepolto i feti.

 

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