La società imprevista
I grandi eventi politici ed economici degli ultimi anni hanno un minimo comun denominatore: la mancanza di previsione. Non si è previsto, fra servizi segreti, studiosi, politici e analisti, ambasciate, diplomatici, professori e giornalisti, che l’intero nordafrica si rivoltasse in tre mesi come un calzino. Come nessuno aveva previsto – politici, economisti, banchieri e mercanti – che due anni fa ci cascasse addosso la più grande catastrofe economica dopo il 1929. Come non è stato previsto che un giorno qualsiasi due aerei si schiantassero nel cuore di Manhattan. Come non sono state previste la vittoria di un nero alla casa bianca (veniva data per scontata la vittoria della Clinton fino a due settimane prima e quella di McCain alcuni mesi dopo), o, per dire, solo tre mesi fa non era stato previsto il crollo di esportazioni della Cina per il 2011 (e l’inspiegabile aumento di importazioni), ma allo stesso tempo viene previsto ogni anno – imminente da 15 anni (ogni domenica nell’editoriale di Scalfari) – il crollo del Berlusconismo.
Le previsioni del meteo, a confronto, sono una certezza.
Ci si chiede, inevitabilmente, cosa stia combinando la classe dirigente mentre fuori, nel mondo, le cose sembrano accadere ogni giorno in modo ineluttabile e imprevedibile. Sembra che tutti stiano guardando il tombino mentre, nel negozio lì dietro, c’è una rapina.
Raramente nella storia le classi dirigenti, il giorno successivo a grandi virate, si sono ritrovate stupite e inebetite come dei passanti, costrette ad analisi postume e inadeguate, come sta avvenendo in questi ultimi dieci anni. Durante 50 anni di guerra fredda (un esempio su tutti) i movimenti tettonici erano avvertiti dal grande sismografo dei servizi segreti, e i contraccolpi (il terrorismo, il Vietnam, il muro di Berlino) erano scosse assorbite e spesso guidate puntualmente dai governi mondiali.
Ma oggi (anche qui un esempio su tutti), la più grande rivoluzione del Mediterraneo dopo il Medioevo sembra sia venuta fuori dal niente, come un herpes, all’insaputa delle intelligence, con un’America inerme che blatera improbabili strategie e l’Europa intenta a discutere della sua più grande passione: le norme (in questo caso per l’immigrazione).
Si potrebbe dedurre con un giudizio tranchant che la classe dirigente contemporanea soffre di un’endemica incompetenza, e una generale miopia. Ma è un giudizio qualunquista, e quindi stupido.
Le risposte sono complicate ma è più probabile pensare che, invece, la classe dirigente osservi basita logiche che non è più in grado di guidare (e quindi analizzare), e che invece le dinamiche con cui la contemporaneità stravolge o imbocca indirizzi non passino più per i punti alti della società, ma si dileguino sulla superficie lunga e piatta del reale. La cosiddetta mass intelligence è il luogo in cui oggi vive il corpo della nostra società. Non più sopra, né sotto, non più dirigenti o popolo, ma un vasto, globale e indefinito stormo di umani.