Un anno dopo / L’inquietante segreto di Camilleri

17 Luglio 2020

In decine di interviste e in libri dettati ad altri autori, Camilleri ha raccontato la sua vita non risparmiando alcun particolare, ma forse ci ha nascosto qualcosa. Qualcosa successa sette mesi prima della morte che però in realtà egli ha in qualche modo adombrato o presagito nelle pieghe del suo libro più misterioso, quello emotivamente più denso di sentimenti forti e che, per sua volontà, hanno letto solo i pochi amici ai quali nel settembre del 2017, mancando quasi due anni alla scomparsa, lo fece recapitare accompagnato da una lettera scritta a mano e contenuta in una busta: “Ho il piacere di farti avere questo libro che vorrei leggessero solo i miei amici”: come se soltanto a loro fosse riservato non tanto un piacere quanto un segreto o meglio ancora un proposito o un retropensiero. Sapendo bene che gran parte dei suoi amici era costituita da critici e letterati, non proibì tuttavia loro di parlarne e scriverne, magari per scoprire cosa in quel romanzo avesse lasciato a fermentare. 

 

Pubblicato dalla Henry Beyle di Milano in circa trecento copie numerate e intonse, il libro intitolato Parla, ti ascolto riporta nel colophon la data del 6 settembre 2017, giorno del 92esimo compleanno dell’autore. Un regalo dunque che Camilleri pensò di fare a quanti amavano la sua opera? I pochi che se ne sono occupati si sono addetti a rilevare nel romanzo l’angoscia dell’uomo ormai anziano giunto di fronte al mistero della morte e al cospetto del suo angelo, colto da un dubbio che è ricorrente in ogni ateo, sotteso a un trasalimento sciolto nell’interrogativo del soprannaturale. Già il siciliano Bufalino, l’ateo che per epitaffio aveva voluto un lapidario “Hic situs, luce finita”, negli ultimi mesi aveva scritto a un amico una lettera riservata in cui si dichiarava pronto ad accogliere il divino. E Camilleri, che nella sua intera opera, sia saggistica che narrativa, da La bolla di componenda a Le pecore e il pastore, da La mossa del cavallo a La setta degli angeli, si è accostato al tema della fede per demistificare gli eccessi della Chiesa, irridere a preti crapuloni e beffeggiarne i riti, superati i novant’anni si è misurato in uno spirito del tutto nuovo e sorprendente con quella che per eufemismo chiamava “eternità” intendendo l’immortalità e dunque Dio. Restando però a schiena dritta e guadagnando così la via verso il cimitero acattolico dove è sepolto con il passo della più ferma coerenza. 

 

 

In Parla, ti ascolto, espressione canonica rivolta dal confessore al penitente, Camilleri indica infatti nella propensione alla disponibilità e all’immedesimazione un precetto cardine del sacerdote, sicché nella ritrosia iniziale di padre Giacomo, poi nella sua perplessità e infine nella massima partecipazione al destino altrui spinta fino al peccato mortale, commesso per scongiurare un reato, vede il fondamento della sua idea di Chiesa sociale e umanitaria capace di pagare un prezzo altissimo non in gloria di Dio ma per il bene dell’uomo. Padre Giacomo ha un solo modo per impedire che Giuseppe Barreca, che si rivolge a lui per avere ascolto ed essere fermato, uccida una bambina di quattro anni: ucciderlo prima lui. Barreca è posseduto da un demone: la forte attrazione sessuale per una bambina coinquilina e compagna del figlio che sulla spiaggia gli si stringe al petto dopo una leggera ferita e lui ne sente il sangue congiungersi al proprio. È lei la “farfalla azzurra”, retaggio di un episodio traumatico vissuto da bambino quando aveva catturato una farfalla e l’aveva stritolata rimanendo con la mano colorata di azzurro. In nome dell’efferato rapporto tra eros e thanatos, Barreca deve perciò possedere la bambina oppure ucciderla. 

 

Ma che daymon è quello di cui egli è preda? Chi ha letto Camilleri lo ha già incontrato in Un sabato, con gli amici, il romanzo borghese e nosologico del 2009 che costituisce l’immediato antecedente girato però dalla parte laica e non religiosa: Anna e Andrea, avendo visto da bambini il sangue (sperimentando entrambi un vero orgasmo alla vista di una pensionata maciullata da un autobus), hanno vissuto un battesimo di morte che ha rovesciato sulla loro psiche i germi di una depravazione estrema destinata a farne degli adulti malati cui non spetta, vedendo in un Dvd una donna fatta a pezzi e scatenandosi dunque in un furioso amplesso, che non incontrarsi più per non arrivare all’omicidio. È lo stesso dramma che vive Barreca, che però trova in un sacerdote il mezzo per fermarsi. Parla, ti ascolto è però ben altro che un rifacimento in altra cotta di Un sabato, con gli amici (non casuale qui e là una virgola a creare una apostrofe). Ha che fare sì con la morte, ma quella di Camilleri. 

 

 

È il 18 giugno 2019. Chi, tra i destinatari di Parla, ti ascolto, legge sul quotidiano “Leggo” e poi su alcuni siti web la notizia di un oscuro episodio capitato a Camilleri sei mesi prima, non può non rimanere colpito dal resoconto: un’ambulanza viene fatta accorrere dal 112 in casa di Camilleri, nella zona Prati di Roma, perché lo scrittore perde sangue dal polso sinistro per una ferita che i medici del 118 stabiliscono che sia stata provocata da una lametta incisa in profondità. Di fronte al rifiuto dell’autore di essere trasferito in ospedale, benché la chiamata di soccorso sia necessariamente partita dalla famiglia, l’equipaggio dell’ambulanza presta le cure del caso e non può che limitarsi a refertare l’intervento. L’ipotesi del tentato suicidio è stata avanzata da più parti in questi mesi, ma non si sono avuti elementi per sostenerla, né la cerchia familiare e quella più vicina all’autore hanno offerto chiarimenti. Ma perché, volendo prenderla in considerazione, Camilleri avrebbe voluto togliersi la vita? La cecità divenuta pressoché totale può essere stato un plausibile motivo, ma è pur vero che nello stesso periodo la sua attività pubblica e televisiva non ha cessato di essere costante e ingente. E allora?

L’episodio di cui scrive “Leggo” è del 4 dicembre 2018. Per il giorno dopo è fissato l’abbattimento nelle campagne di Porto Empedocle della casa dei nonni materni dove Camilleri ha trascorso i felici anni dell’infanzia e fatto scoperte che segneranno l’intera sua opera fondata sui terreni paralleli del doppio e dell’ambivalenza: a cominciare dal fantastico “mirmicoleone”, metà leone e metà formica, noto anche a Borges, l’animale che, quantomeno nella fantasia e sicuramente in quella casa, gli ha fatto conoscere nonna Elvira che parlava con gli oggetti e morirà il giorno in cui visiterà la villa di Adriano, vinta – dice Camilleri – dalla sua “bellezza insopportabile”. Il pensiero di una perdita imminente e così grave non può certo averlo aiutato quel 4 dicembre, epperò non basta a spiegare un gesto che nei supposti modi di attuazione avrebbe avuto dello stoico. È nondimeno un fatto che, proprio dopo questa data, Camilleri scrive un libro che uscirà a giugno 2019 intitolato La casina di campagna e che è lo scrigno dei suoi ricordi infantili in casa dei nonni Fragapane.

 

 

Quale che sia la verità, chi ha letto Parla, ti ascolto e poi appreso delle circostanze relative a quel giorno di fine anno non può non essere stato colto (il giorno dopo il suo ricovero e tre giorni prima dell’uscita di La casina di campagna) da un senso di déjà lu, come se avesse già incontrato in Camilleri una ferita al polso e un’incisione quali segni di un tentativo di suicidio. In realtà sono presenti proprio in quel libro così dissonante e scritto sibi et paucis: a pagina 118 è descritta infatti la scena del suicidio tentato da Barreca, che vede in esso l’unica via d’uscita dalla sua condizione di ignominia. Vale il caso di riportarla:

“Si alza, va alla scrivania, apre la valigetta e che vi sta sopra, prende il bisturi, esce dallo studio, va in bagno. Si spoglia completamente nudo, riempie la vasca d’acqua calda, tenendo sempre il bisturi in mano, si infila dentro. Poi si scalfisce appena la vena del polso con un rapido colpo. Tanto basta perché il sangue fuoriesca immediato, gli scorra lungo il braccio, goccioli dentro l’acqua. D’istinto afferra la mano ferita e si porta il polso tagliato alle labbra e così comincia a suggere il suo stesso sangue. Solo che il sapore sulla sua lingua si trasforma di colpo. Non è più il suo sangue ma quello della farfalla azzurra che comincia a inghiottire avidamente. No, non può suicidarsi. Salta fuori dalla vasca stringendosi forte il polso ferito, apre l’armadietto di pronto soccorso, si tampona la ferita, ci mette un cerotto. Poi tenta di fare un po’ di pulizia”. 

 

 

Camilleri può avere messo in atto quindici mesi dopo lo stesso proposito del suo personaggio, replicandone i gesti e persino i movimenti in ambienti domestici pressoché analoghi e sortendo la stessa desistenza? Può essersi pirandellianamente fatto personaggio e autore, ideando dunque di suicidarsi col lasciarci a futura memoria immaginare che lo avrebbe fatto immergendosi nella vasca da bagno e recidendosi il polso? Benché la scena in casa Barreca sia probabilmente in rapporto di totale coincidenza e fortuità con quella in casa Camilleri, il fatto che un libro come Parla, ti ascolto (ben degno di essere pubblicato, non sfigurando affatto accanto agli altri romanzi borghesi fra cui, oltre a Un sabato, con gli amici, Il tailleur grigio, La rizzagliata, L’intermittenza) sia stato reso samizdat depone a favore di un progetto mentale, della fissazione di un segreto da scoprire o mantenere, il cui oggetto fosse proprio un cespite di posterità che evoca per certi versi il deliberato rinvio post-mortem dell’ultimo episodio del ciclo di Montalbano. 

 

In Parla, ti ascolto a un certo punto Giuseppe Barreca dice a padre Giacomo: “La morte non esiste al di fuori della vita, è nella vita stessa. (…) Quando la vita finisce noi abbiamo deciso di chiamare questa fine col nome di morte. Ma la morte è solo un nome dato per definire il termine della vita. Ogni vita è individuale e ogni morte è individuale”. L’autore più amato e rimpianto dagli italiani ha dunque voluto che pochi amici sapessero che avrebbe scelto di morire da solo? Nondimeno il destino si sarebbe compiuto dopo ancora sei mesi, a seguito di un infarto forse conseguenza di una lunga macerazione interiore, e quel che è certo è che Camilleri ha preteso funerali privati.

 

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