Fra spavento ed estasi
Così come il patrimonio fiabesco, quello delle ninna nanne popolari costituisce, da sempre, un richiamo irresistibile per poeti e musicisti che ne hanno reinterpretato e attualizzato temi e modi: da Schubert a Brahms, da Ravel a Stravinsky, a Gershwin, da Shakespeare a Auden, da Yeats a Pascoli, a Trilussa, a Rebora, per citarne solo alcuni.
Per quel che riguarda l'ambito poetico, Tito Saffioti, curatore di Ninna nanne italiane, nota correttamente che se le creatrici e interpreti delle ninna nanne popolari erano donne, cioè coloro che effettivamente crescevano e accudivano i bambini, letterati e musicisti che si sono occupati di ninna nanne in genere sono uomini.
E scorrendo la gran parte della produzione letteraria di ninna nanne (a cui Saffioti dedica l'ultima parte della sua raccolta), si percepisce immediatamente come l'obiettivo di questi autori non fu tanto quello di rivolgersi a bambini piccoli, quanto quello di nobilitare e codificare il genere, offrendolo all'attenzione di un pubblico adulto, colto e amante della poesia.
Per quanto mi riguarda, il confronto fra la forza, l'immediatezza, l'originalità lessicale e immaginativa delle ninna nanne popolari, di matrice femminile, e la raffinata letterarietà di quelle d'autore, è decisamente a svantaggio di queste ultime.
L'impressione, personale, è che a penalizzare queste liriche sia il distacco dal loro oggetto e scopo primari: l'assenza di un dialogo e di una relazione effettiva con il destinatario, il bambino, impoverisce queste creazioni, le appiattisce, riducendone vistosamente quella complessità bene messa in luce da Federico Garcia Lorca nella sua celebre riflessione Las nanas infantiles. E non deve essere un caso che tali composizioni rimangano minori nella produzione poetica dei loro autori.
Oggi, fra coloro che rivolgono l'attenzione alla ninna nanna e ai suoi tesori, la gran parte sono scrittori e scrittrici di libri per bambini. Per questo, il dialogo e il rapporto con il bambino torna al centro dell'interesse dell'autore che ne fa, attraverso la mediazione della voce materna o paterna, il suo diretto destinatario. E in questo senso, il riferimento non è costituito dalle ninna nanne letterarie, quanto da quelle della tradizione che offrono una messe di spunti, temi, ritmi, unica per freschezza, profondità, forza.
La presenza del bambino come destinatario non si configura, infatti, per chi scrive come elemento accessorio del testo, bensì come centrale e strutturante, secondo la lezione e intuizione rodariana ricavata anche da una visione illuminata della letteratura popolare. E vale forse la pena notare che le ninna nanne popolari rappresentano a tutt'oggi un patrimonio condiviso dalle generazioni, e quindi un'eredità naturale e familiare, come non accade per le ninna nanne d'autore. Per questo nei libri pensati per i bambini che non hanno sonno si rintracciano temi, metri e atmosfere di questa produzione collettiva e arcaica. Valga qualche esempio, fra tanti.
Buonanotte a tutti, uscito nel 2012 per Clavis, testo di Giuseppe Mazza e fotografie di Anna Cairanti, si autodefinisce “un piccolo rito prima di addormentarsi”, e prende corpo in una voce tranquilla e affettuosa che augura la buona notte a tutte le parti del corpo di un piccolissimo, per concludersi con l'evocazione del domani. Un testo e un approccio che si riallacciano a un topos specifico della ninna nanna popolare, in cui le grazie fisiche del bambino (guance, occhi, orecchie, bocca...) sono descritte ed enumerate amorevolmente, a rassicurare l'infante sulla propria integrità, in una conta dei pezzi che è augurio tacito e scaramantico al loro puntuale ritrovamento, il giorno dopo, rigenerati dai misteri notturni.
Nel testo di Eleonora Bellini, con illustrazioni di Massimo Caccia, Ninna nanna per una pecorella, (Topipittori, 2009), ricorrono elementi forti della tradizione popolare. A cominciare dalla scelta del protagonista, l'agnello, figura archetipica di fragilità, purezza, indifesa fiducia, che allude a quella del bambino.
Dalla presenza ovina si genera, per contrasto, quella ferina: il comparire del lupo assicura quell'antica e feconda opposizione la quale, oltre che narrativa, è cromatica, fenomenologica e valoriale. A pecorella risponde lupo; a tranquillità, pericolo; a giorno, notte; a bianco, nero; a pace, violenza.
Un intero filone di ninna nanne, di ogni tempo e paese, suggerisce ai bambini i pericoli di boschi, notti oscure, nemici appostati nel buio. Le madri da sempre utilizzano minacce, soavemente dissimulate in raccomandazioni, e a scarse ubbidienze prefigurano le conseguenze di comportamenti scorretti. Primo fra tutti, quello di restare svegli.
Soavemente anche perché un altro topos tipico della tradizione è la contrapposizione fra paura raggelante dello smarrimento e ritrovato calore di braccia materne e focolare. Come accade in questa storia in versi, che conta, insieme, pagine e tappe dell'avventura, conclusa da un lieto fine e dallo scivolare nel sonno.
In Quasi ninna quasi nanna, della bravissima autrice e illustratrice argentina Mariana Chiesa, edito da Orecchio acerbo nel 2013, torna quella densità poetica, emotiva e affettiva citata da Lorca a proposito della sua ricerca sulle ninna nanne spagnole, alla cui area culturale, non a caso, l'autrice appartiene.
La profondità della parola materna, insieme dolente e vitale, qui, come in numerose canzoni della tradizione, è viatico all'avventura della vita. Una nenia dolce, accorata e visionaria che protegge e avvolge il bambino di benedizioni, e nello stesso momento lo inizia alla crudezza e alla fatica dell'esistenza, ma anche alla bellezza del mistero altissimo delle creature, dell'amore, del vivere cullati fra spavento ed estasi.