“Ho la mia età” mi fa (più) vecchio / Il fantasma dell'età riflessiva

5 Novembre 2016

Di acciacchi, ognuno ha i suoi e lo stesso di età. Ognuno ha strettamente la sua, di età. C'è bisogno di dirlo? Sì, è vero. Si può anche avere l'età di un altro. Nel senso ovvio che si può avere un'età pari a quella di un altro. “E tu, di che anno sei?” “Ho più o meno la tua età.” “Se hai la mia età, Lucio Battisti non ti può essere indifferente...”. 

Stesse in questi termini, la faccenda dell'età sarebbe abbastanza semplice. Ma l'età, purtroppo, non sta solo in questi termini linguistici. Non ci credete? Provate a mettere alla stessa persona grammaticale soggetto e aggettivo possessivo. Invece di dire “Ho la tua età”, affermazione completamente neutra e che non dice affatto che età avete, provate a dire “Ho la mia età”. Non vi sentite già più vecchi? Anche se vecchi non vi sentite, vecchi vi siete ipso facto dichiarati.

Proprio così. Ciascuno ha la sua età, in modo inalienabile. Nessuno può togliergliela. Ma deve fare attenzione a dichiararlo, di avere la propria età. A dire “Ho la mia età” non si passa infatti per una sorta di Monsieur de La Palice (o di Max Catalano: chi fu il compianto Max Catalano? Tra chi legge, lo sa forse chi ha la sua età; gli altri si rivolgano a Wikipedia). Al contrario, si sta dando al mondo una non ovvia informazione su se stessi e su come ci si sente con se stessi. 

 

Ph Robert Doisneau.

 

Chi dice “Ho la mia età”, con più o meno ironia, dice 'ho un'età (ormai) avanzata, sono vecchio (o quasi)': “Continua con questo passo e scordati che io ti tenga dietro: diavolo, ho la mia età. Non ci pensi?”.

Il fenomeno è bizzarro, come si intuisce. Lessicografi e grammatici pare non ci abbiano mai fatto caso. I primi c'è da capirli: poverini, hanno veramente tante cose da fare: il lessico è foresta varia e sterminata. I secondi un po' meno. Ma si lasci correre. Anche perché, visto che è forse ancora terra incognita, si può provare a battezzarlo, il fenomeno. Si tratta in effetti di una sorta di strana apparizione: cosa ne dicono, lettori e lettrici, di una designazione come “il fantasma dell'età riflessiva”? 

 

C'è quasi un destino, in una designazione del genere. “Ho la mia età”: c'è della riflessività grammaticale, nella forma. Sono io a dire mia una cosa che è ovviamente mia: l'età. Ma l'effetto di senso porta appunto verso una età che è così definita come matura (o più che matura). Proprio l'età in cui capita di avere cominciato a riflettere, sull'età. Non sempre allegramente. Parlando dell'età, infatti, si possono dir tante cose. Ma quando si dichiara come propria l'età che si ha, invece di trovarsi a dire un'ovvietà, ecco apparire il fantasma della “età riflessiva”: si sta dichiarando d'essere vecchi.

 

Il fantasma dell'età riflessiva non appare solo alla prima persona. Per esempio, “Hai la tua età” è da evitare rigorosamente rivolgendosi a una signora (ma non è carino, chiunque ne sia il destinatario). Come è meglio non dire a nessuno, assertivamente, “Hai un'età”. Si rischierebbe di offenderlo. Perché, di nuovo, tutti hanno un'età, anche appena nati ed anche quando son giovani. Ma la differenza consiste proprio nel fatto che solo di alcuni, e a partire da una certa età, si dice che “hanno un'età”. E, così, senza nemmeno dire l'età, li si è dichiarati vecchi, con un semplice aggettivo possessivo o con un ancor più semplice articolo indeterminativo. 

La lingua è certo una ben strana faccenda. 

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