Son cento. Son dieci / Il Contro Design di Ettore Sottsass

6 Ottobre 2017

Una storia piccolina

 

In nessuno dei numerosi libri pubblicati negli anni su Ettore Sottsass (Innsbruck, 1917 - Milano, 2007) e neppure nelle migliaia di articoli a lui dedicati, troverete la piccola storia che state per leggere, semplicemente perché non è mai stata scritta, in quanto la conoscono soltanto i diretti protagonisti, insieme a una ristretta cerchia di persone. Il contesto generale in cui si colloca è invece arcifamoso e riguarda un gruppo di designer milanesi (d’adozione), capeggiati dal loro leader carismatico (Ettore Sottsass, appunto) che l'11 dicembre del 1980, aveva dato vita a quel Movimento Culturale battezzato con il nome di Memphis, in omaggio alla canzone “Stuck in a mobile with the Memphis blues again” di Bob Dylan.

 

A forza di camminare nelle zone dell’incerto … a forza di colloquiare con la metafora e l’utopia … a forza di toglierci di mezzo, adesso ci troviamo con una certa esperienza, siamo diventati bravi esploratori … adesso possiamo finalmente procedere con passo leggero, il peggio è passato.”

Così scrive Sottsass, in quello che può essere considerato il certificato di battesimo di Memphis, ovvero nel testo di presentazione della prima mostra di “Memphis, the New International Style”, allestita in Corso Europa 2, a Milano, nello showroom Arc ‘74 di Mauro e Brunella Godani.

All'inaugurazione, quel 18 settembre 1981, c'era un mare di folla, convenuta per essere testimone dell'evento (sull’evento, sulla biografia e sulla poetica di Sottsass si legga qui il bel testo di Marco Belpoliti).

 

Inaugurazione della mostra Memphis, the New International Style, nello showroom Arc ‘74 di Mauro e Brunella Godani, Milano, Corso Europa, 2, 18 settembre 1981.


La piccola storia che ancora si ignora, perché rimasta nascosta tra le pieghe di quella più grande e più nota, concerne il luogo in cui questo manipolo di audaci sperimentatori dell’impossibile, del fantasioso e dell’inconsueto, del finalmente policromo dopo la monocromia razionalista, mise in atto materialmente molte delle proprie creazioni di Contro Design. A spiegare il concetto di Contro Design è lo stesso Sottsass nel catalogo della mostra allestita nel 1983 al Philadelphia Museum of Art, intitolata “Design since 1945”:

Il cosiddetto movimento del Contro Design sostiene l’idea che il design non finisce con l’oggetto messo in produzione dall’industria, ma inizia quando entra nelle nostre case, nelle nostre strade, città, cieli, corpi, anime. Il design inizia quando diventa rappresentazione visiva, fisica, sensoriale della metafora esistenziale sulla quale fondiamo le nostre vite”. 

 

Ebbene, il luogo in cui hanno visto la luce molti pezzi di quella coraggiosa collezione che sfidava il “buon gusto” borghese e che dopo aver stupito il mondo, sarebbero subito diventati dei must del design di tutti i tempi, era la bottega di mio padre. È lì, nel grande e luminoso spazio de “il Ghianda” che Ettore e i suoi li hanno messi a punto. Il passaggio dal modello, al prototipo, fino al numero zero della produzione fino a quando hanno acquistato il loro volume, le loro proporzioni e la loro forma definitiva è avvenuto nei capannoni di Bovisio-Masciago in Via Desio al 53. Dalla libreria Carlton, al tavolo Spider, alle sedie Bridge e Mandarine, progettati da Sottsass, alle sedia Palace di George Sowden, a Mercedes e alle altre sedie-poltrone di Nathalie du Pasquier (di cui lei stessa, con George Sowden, è diventata produttrice di una serie limitata di sei pezzi), alla First di Michele de Lucchi, agli sgabelli di Matteo Thun, al tavolo Brazil di Peter Shire, alla poltrona Lucrezia di Marco Zanini e ad altro ancora, disegnato da Aldo Cibic, da Martine Bedin e dai vari designer che si sono accostati di volta in volta al team (lo studio contava più di trenta collaboratori, tutti molto giovani) hanno compiuto lì la loro mutazione da progetto a oggetto. Ci sono le foto inedite, alcune delle quali si pubblicano qui per la prima volta, a testimoniarlo, anche se purtroppo sono di qualità scadente perché digitalizzate da vecchie Polaroid (molto in voga negli anni ottanta). 

 


Ettore Sottsass, Francesca Ghianda, Pierluigi Ghianda e Marzo Zanini nel laboratorio di falegnameria di Bovisio-Masciago; Marco Zanini, Ettore Sottsass, Pierluigi Ghianda al lavoro in bottega, 1982-86. (Archivio Ghianda)

 

Francesca Ghianda verifica gli imballi di un prototipo della libreria Carlton di Ettore Sottsass prima della spedizione; Ettore Sottsass “collauda” il prototipo di una poltrona nella bottega di Pierluigi Ghianda a Bovisio-Masciago; 1982-83. (Archivio Ghianda).


Estratto da una nota di Judith du Pasquier, sorella di Nathalie, del gruppo Memphis, 1986. (Archivio Ghianda).


E poi ci sono i prototipi che “il Ghianda” ha gelosamente conservato fino all’ultimo dei suoi giorni (e dopo di lui noi figlie) difendendoli strenuamente dai famelici “avida dollars” (ho preso a prestito come pseudonimo il bell'anagramma del nome di Salvador Dalì, notoriamente avido di denaro, coniato da André Breton), anche a costo di feroci e dissanguanti battaglie legali. Esistono. Son salvi e a breve saranno finalmente a disposizione di chiunque li voglia studiare presso l’Archivio Storico del Politecnico di Milano, della cui collezione stanno per entrare a fare parte. Un pezzo importante della storia del design, un impegnativo lascito morale, oltre che materiale, riemerge dall’ombra in occasione del centenario della nascita del maestro.

 

Nel laboratorio dei Pierluigi Ghianda: prototipo della sedia Mandarina e studio delle gambe del tavolo Spider di Ettore Sottsass. (Archivio Ghianda).


Nel laboratorio dei Pierluigi Ghianda: i primissimi prototipi di una sedia pieghevole di Marco Zanini (mai entrata in produzione); primo prototipo della sedia Bridge di Ettore Sottsass; primissimo prototipo della sedia First di Michele De Lucchi. (Archivio Ghianda).


Nel laboratorio dei Pierluigi Ghianda: secondo e terzo prototipo della sedia Bridge di Ettore Sottsass (si notino le differenti altezze dello schienale) (Archivio Ghianda).


Son cento. Son dieci.

 

Quest’anno, infatti, ricorre il centesimo anniversario dei natali di Ettore Sottsass, per di più, sono già trascorsi dieci anni dalla sua morte e il mondo, giustamente, lo celebra con cinque mostre a lui dedicate in luoghi istituzionali e numerose altre, altrettanto prestigiose, in spazi privati.

 

La prima mostra apertasi in ordine di tempo in un luogo istituzionale è quella di New York, visitabile dal 21 giugno all’8 ottobre, negli spazi del Met Breuer (quelli progettati da Marcel Breuer affacciati sulla Madison Avenue e sulla 75th Street), dal titolo: Ettore Sottsass Design Radical”.

Dal 14 luglio al 21 settembre, presso il Vitra di Weil am Rhein, si è tenuta invece la rassegna intitolata Ettore Sottsass – Rebel and Poet, ospitata nel nuovo edificio dello Schaudepot, progettato dallo studio Herzog & de Meuron e inaugurato appena un anno fa.

Il terzo evento espositivo è finalmente una rassegna italiana, attualmente in corso alla Triennale di Milano, fino all’11 marzo 2018, con il titolo di: There is planet.

L'altra mostra allestita sul nostro territorio nazionale, dal titolo: Ettore Sottsass, Oltre il design, prenderà avvio il 18 novembre e sarà visitabile fino all’8 aprile 2018 presso l’Abbazia cistercense di Valserena. Curata dall’Archivio-Museo CSAC dell’Università di Parma, attinge al vastissimo materiale del fondo Ettore Sottsass Jr in esso conservato che conta quasi 14.000 progetti su carta (tra schizzi, bozzetti e disegni) e 24 sculture.

Il quinto appuntamento, infine, aprirà i battenti nell’aprile 2018 ad Amsterdam allo Stedelijk Museum.

 

New York, Met Breuer, Ettore Sottsass: Design Radical

 

Con la curatela di Christian Larsen, la mostra di New York illustra la carriera del maestro nell'arco dei sei decenni in cui è durata, esponendone le opere chiave, nella poliedricità della sua produzione, dai disegni architettonici, ai progetti d'arredo; dai mobili, alle macchine; dagli oggetti in ceramica e in vetro, ai gioielli; dai tessuti, ai dipinti, alle fotografie. Vi si possono ammirare: il calcolatore elettronico Elea 9003, per Olivetti, del 1957 (Compasso d'oro 1959); la mitica Valentina, la macchina per scrivere, anch’essa della Olivetti, progettata nel 1968 insieme a Perry A. King (Compasso d'oro nel 1970); una cospicua selezione di mobili Memphis, proveniente dalla collezione permanente del Metropolitan stesso; i cinque totem in ceramica: Menhir, ZigGurat, Stupas, Hydrants Gas Pumps (esposti per la prima volta alla Galleria Sperone di Milano, nell’aprile del 1967; vedi qui sotto il manifesto e la foto di quello storico allestimento); il sistema di armadi modulari (che venne presentato a New York nel 1972 in occasione della mitica mostra Italy, the new domestic landscape, ospitata dal MoMA, curata da Emilio Ambasz) e molto, molto altro ancora. In alcune sezioni, gli oggetti creati da Sottsass sono messi in relazione con opere d'arte del passato, da quello egizio, a quello greco, ed anche con manufatti della cultura indiana, di quella del sud est asiatico e di quella dei nativi americani, dai quali Sottsass potrebbe aver tratto ispirazione o molto più semplicemente per una sorprendente analogia formale. Il connubio risulta essere molto seducente, anche perché il dialogo avviene con autentici capolavori, quali solo un museo ricco di dovizie come il Metropolitan poteva mettere a disposizione. Altrove il colloquio con le creazioni di Sottsass tocca alle opere dei maestri della Secessione Viennese (che forse attengono di più ai suoi trascorsi familiari), da quelle di Koloman Moser e Josef Hoffman, a quelle di Otto Prutscher. E ancora, ai lavori di Donald Judd, di Roy Lichtenstein e di Frank Lloyd Wright (qui la liaison appare un poco forzata), di Paul Klee e di Wassily Kandinskij e di altri. Chiudono infine la rassegna i pezzi meno noti al grande pubblico, messi a raffronto con quelli di quattro importanti artisti e designer del XX secolo: Piet Mondrian, Jean Michel Frank, Gio Ponti e Shiro Kuramata.

 

Larsen, quale titolo della rassegna, ha scelto il termine radical, di mendiniana memoria, da lui inteso però in senso lato: 

Sottsass è stato un radicale, qualcuno che ha rotto le regole e ha proposto delle alternative; e poi mi piaceva il termine radical perché significa anche radice, dunque andare alle origini. (…) Credo che sia importante celebrare questo autore poco riconosciuto negli Stati Uniti, anche alla luce del momento politico che stiamo attraversando. Si respira tra i giovani una voglia di cambiamento, di cambiare il mondo e Sottsass incarnava questa idea. La sua estetica sta tornando. C’è una relazione diretta tra i nostri valori e le cose che creiamo”.

 

Ettore Sottsass: Design Radical, New York, Met Breuer.


Weil am Rhein, Vitra Design Museum, Ettore Sottsass – Rebel and Poet

 

Del maestro, ribelle e poeta, nella mostra del Vitra Design Museum si potevano ammirare una trentina di opere tra cui: il sofa Califfo (1964), il comò Cubirolo (1966-67), alcuni pezzi dalla serie Mobili Grigi (1970) per Poltronova, ed altre rarità come la sedia Tappeto Volante (1974), la Sedia Seggiolina da pranzo (1979-80) per Alchimia, oltre ai più famosi pezzi siglati Memphis, come la libreria Carlton (1981), le lampade Ashoka (1981) e Tahiti (1981) e la scrivania Tartar (1985).

A proposito dei suoi oggetti d’arredo, così scrive lo stesso Sottsass: 

Ho provato a disegnare oggetti, cose, mobili e farli costruire. Li ho fatti grandi e pesanti con zoccoli e basamenti per sottrarli al kitsch dell’arredamento borghese e piccolo borghese. Non stanno quasi da nessuna parte e comunque non legano, non possono neppure produrre coordinati. Stanno soltanto da soli, come i monumenti nelle piazze, e non riescono neanche a fare stile. Sono anche decorati perché così riesco a comunicare stati culturali (in senso antropologico) diversi, a seconda dei casi e a seconda di reali necessità funzionali”.

 

Altrove aggiunge:

Certamente chi mi lascia fare qualcosa è sempre gente molto ricca, perché i poveri non vengono da me, ma non vanno da nessuno, i poveri ricevono quello che il potere gli dà come abitazione, come distacco dal centro delle città. Ho anche questo problema: parlo di case per la gente, però poi queste persone sono miliardari.”

Accanto agli oggetti di design, nella mostra svizzera, figuravano anche alcuni estratti del vasto repertorio di testi critici e poetici di cui Sottsass è stato autore, insieme a numerosi suoi disegni realizzati per Olivetti, per Alchimia e per Memphis. Concludeva il percorso una serie di fotografie tratte dalla raccolta Metafore (1972-1978), composta da cinquanta scatti in bianco e nero realizzati durante un suo lungo viaggio intorno al mondo. Suddivisa in: Disegni per i destini dell’uomo, Disegni per i diritti dell’uomoDisegni per le necessità degli animaliFidanzatiDecorazioni, si incentra sulla ricerca della spiritualità e in particolare sul rapporto tra uomo e cosmo che Sottsass ha sempre perseguito.

 

Manifesto della mostra Menhir, ZigGurat, Stupas, Hydrants Gas Pumps, alla Galleria Sperone, Milano, 1967, alcuni disegni di progetto, una foto dello storico allestimento. A fianco: riscrittura del testo del manifesto.


Milano, Triennale, Ettore Sottsass: There is a planet

 

Curata da Barbara Radice, con la direzione di Silvana Annichiarico, la mostra allestita alla Triennale da Michele De Lucchi e da Christoph Radl è suddivisa in nove stanze tematiche e cronologiche: Per qualcuno può essere lo spazio (fino al 1955 circa), Il disegno magico (anni ’50 e ‘60), Memorie di panna montata (anni ‘60), Il disegno politico (anni ‘70), Le strutture tremano (anni’ 70 inizio ‘80), Barbaric design (anni ’80), Rovine (anni ’90), Lo spazio reale (anni ’80 e ‘90) e Vorrei sapere perché... (fino al 2007).

Il titolo della rassegna è quello di un progetto elaborato da Sottsass per l’editore tedesco Wasmuth negli anni Novanta ma mai realizzato che oggi viene pubblicato da Electa.

Alla conferenza stampa, Barbara Radice, compagna di vita e di lavoro di Sottsass, ha dichiarato:

 “Il suo lavoro è stato vasto, abbiamo selezionato l’irrinunciabile, sperando di aver scelto bene, per far apparire la sua curiosità, ma anche la sua malinconia e le sue nostalgie, per festeggiare bene la sua bella vita.”.

 

Confidenziale, anzi “sentimentale” a detta dei curatori, la rassegna milanese ha un tono volutamente sommesso e non celebrativo. “Una mostra molto particolare”, scrive Silvana Annichiarico. “Intima, più che monumentale. Piena di echi segreti, di suggestioni sotterranee, di fili nascosti. Poco accademica, forse, ma con l’ambizione di far emergere anche quegli aspetti dell’opera di Sottsass che uno sguardo più ‘scientifico’ avrebbe disdegnatoo. La poesia, le tenebre, il magico...

Prelude alle nove stanze la Galleria della Architettura, dove sono mostrate opere del maestro attinenti ai temi che le stanze presentano, insieme a fotografie scattate da lui stesso, tra cui una raccolta inedita dei primi anni ’60 intitolata Le ragazze di Antibes.

 

Michele De Lucchi, come sua abitudine, in conferenza stampa ha parlato poco, però per l’allestimento ha fatto molto e lo ha fatto in modo eccelso. Da profondo e rispettoso conoscitore dell’opera di Sottsass, con il quale ha condiviso una stagione importante della sua carriera professionale, quella di Memphis, senza interferire con le opere che doveva presentare, ha saputo creare loro attorno quell’aura di magia che le sospende nello spazio e nel tempo, rafforzando la loro carica poetica. La mostra di sviluppa su un percorso planimetrico a forma grande U, lungo il quale si aprono le nove stanze tematiche. De Lucchi ha creato all’inizio e alla fine del percorso due camere di decantazione quasi rituali, l’una che preannuncia il sacro/mostra, l’altra che aiuta il visitatore ad allontanarsi da esso, cioè dal mondo onirico-giocoso di Ettore Sottsass, tuttavia talmente profondo da essere denso di afflati etici, Unheimliches insomma. La prima camera, quella che immette nella mostra, ha quasi la stessa funzione che aveva il quadriportico nelle basiliche paleocristiane: uno spazio in cui spogliarsi metaforicamente dei gravami del mondo sensibile, dei suoi rumori, dei suoi colori, dei suoi odori, prima di entrare nel luogo sacro. Analogamente il primo ambiente della mostra milanese è una stanza quasi vuota, in cui galleggiano sulle pareti solo pochi riferimenti a ciò che ci aspetta, che ci annunciano la meraviglia a cui stiamo per assistere, ma lo fanno a bassa voce, appena con qualche sussurro. L’ultima camera, quella che conduce all’uscita, è invece la stanza del silenzio più assoluto e del vuoto più totale. Nulla è appeso alle pareti, niente ingombra il pavimento, non immagini, non oggetti, affinché allontanandosi dalla mostra, il visitatore possa portare con sé l’incantamento che hanno prodotto su di lui le idee e le cose che ha appena finito di ammirare.

 

Amsterdam, Stedelijk Museum, Retrospective van Sottsass in Nederland

 

Quella di Amsterdam sarà la prima retrospettiva olandese dedicata a Sottsass, promossa, oltre che per celebrare il suo centenario, anche per mostrare al pubblico le recenti acquisizioni del museo, consistenti in un corpus di sue opere datate agli anni sessanta, tra cui il gigantesco Superbox (1966; rimesso in produzione nel 2005) e l'altrettanto voluminoso Cabinet n. 70 (2006). La mostra consterà di circa ottanta pezzi che ripercorreranno in serie cronologica la sua carriera artistica, evidenziando le influenze esercitate su di lui dalle diverse culture con cui è entrato in contatto durante i suoi viaggi o nel corso dei suoi studi. 

Nell'intenzione dei curatori, al centro della mostra, sarà soprattutto il suo audace sperimentalismo, la sua continua ricerca di nuovi materiali e di nuove forme, con un occhio particolare rivolto alla sua filosofia di vita e di lavoro a quella sua malinconia, così in contrasto con la gaiezza delle sue creazioni. Una “malinconia dissolutoria”, come ebbe a definirla Aldo Rossi, perché Sottsass, con i suoi piani raramente ortogonali al suolo, i suoi montanti diagonali, l’inversione gravitazionale, quasi magrittiana, del pesante e del leggero, posto in alto il primo e in basso il secondo, ha distrutto per sempre i solidi presupposti su cui da sempre si fondava “un'architettura stabile” andando invece “alla ricerca di un superiore livello di ricomposizione”.

 

Dulcis in fundo: al primo piano della Triennale è in corso una mostra assolutamente da non perdere: Intrecci del Novecento. Arazzi e tappeti di artisti e manifatture italiane.

Qui, tra le magnifiche opere esposte, che vanno dal futurismo ai giorni nostri, vi è un piccolo gioiello: si tratta di un dipinto di Ettore Sottsass del 1947 (Senza titolo, tecnica mista su cartoncino). Se osservato attentamente, il dipinto rivela la sua parentela con lirismo di Paul Klee e con il suo Realismo Magico. In essa, in più, si possono già ravvisare in nuce alcuni degli elementi che ritorneranno nella poetica di Sottsass degli anni a venire, dall’acceso cromatismo, all’estrema libertà formale, alla estrosità compositiva. Chi visitasse la sua mostra al piano di sotto, ci guadagnerebbe ad andarlo a vedere.

N.B. Si tratta del progetto per un tappeto, presentato al Concorso di disegni per tappeti Premio MITA (Manifattura Italiana Tappeti Artistici). VIII Triennale di Milano, 1947. Genova Nervi, Archivio MITA. 

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