Sofia Coppola, “L’inganno” / Sei donne in bianco e un diavolo dipinto
«L’ho trovato nel bosco. Miss Harriet mi aveva dato il permesso di andare a cercar funghi a condizione che promettessi di non oltrepassare il vecchio sentiero indiano, che si trova giusto prima che il bosco cominci a scendere verso il torrente».
A parlare è Amelia Dabney, una ragazzina; siamo nel 1864, in Virginia, e da tre anni è in corso la guerra di Secessione, uno degli eventi fondativi della memoria storica americana. Le parole di Amelia danno inizio a un bel romanzo uscito nel 1966, The Beguiled, scritto da Thomas Cullinan (1919-1995) e composto da una struttura corale, in cui si alternano e si combinano, parlando in prima persona, le voci di otto donne: Amelia, Matilda, Marie, Alicia, Emily, Harriet, Edwina, Martha (tre istitutrici, una serva e quattro giovanette). Abitano in un collegio femminile, una villa neoclassica rimasta funzionante malgrado il conflitto; la storia che ci raccontano prende il via dal ritrovamento di un soldato con una brutta ferita a una gamba, il caporale nordista John McBurney, al quale le donne offriranno cure e ricovero, scegliendo di nasconderlo e non consegnarlo all’esercito. Questa nuova presenza maschile, però, scatenerà il caos: perché introduce vita, vale a dire un corpo e un’identità perturbanti dentro lo spazio chiuso uniforme e repressivo del collegio; perché appartiene al fronte nemico; e infine perché esprime le sue esuberanze di conquista dentro un microcosmo già intaccato dalla guerra ma riuscito finora a mantenere un’illusione di equilibrio.
John, ospitato in un salotto trasformato in una nuova camera chiusa a chiave dall’esterno e dove segretamente le giovani cominciano a entrare sempre più spesso, in punta di piedi, emozionate e di nascosto alle altre, per parlare con l’affascinante straniero, John è il diavolo tentatore che provoca confusione, turbando le relazioni, scatenando rivalità e gelosie, affamando l’anima delle fanciulle così piene di curiosità. Il libro di anatomia che Miss Martha chiederà, a un certo punto, certamente serve a uno scopo preciso, e a creare un effetto ironico; ma non si trova lì per caso: è Gray's Anatomy, il manuale uscito nel 1858 che per decenni, con le sue illustrazioni, fu anche la principale occasione di soddisfare le curiosità sul corpo: Becky, la bambina vivace di cui si invaghisce Tom Sawyer, il protagonista del romanzo del 1876, a un certo punto sfoglia e guarda proprio «Professor Somebody's ANATOMY». Tutto questo per dire che la curiosità femminile, nelle finzioni del secondo Ottocento, funziona come una chiave che scardina il mondo.
Martha, Edwina, Alicia, Amy, sono tutti profili di donna diversi, accomunati però da una medesima abitudine a desiderare morbosamente di essere preferite; fino a causare una reazione rabbiosa che provocherà una tragica caduta. Per salvare John, a Miss Martha, infatti, non resterà che decidere di amputargli una gamba, ma le reazioni del caporale, e, soprattutto, la successiva scoperta di certe sue bugie, provocheranno azioni ancora più irreversibili.
The Beguiled di Sofia Coppola, tratto dal romanzo omonimo, è un’opera che non si smetterebbe mai di ammirare, perfino a costo di annoiarsi, non fosse altro che perché questo film raggiunge forse il punto più alto di quella che sembra essere una delle cifre stilistiche più personali dell’opera della regista, vale a dire l’attenzione a usare il linguaggio del cinema per simulare la vita come grande situazione figurativa. Fotografia e regia portano a risultati straordinari il lavoro sull’immagine, con la cura degli arredi, dei costumi, la composizione dei corpi (che fa ripensare a certe tele di John Singer Sargent, o anche a Picnic at Hanging Rock, di Peter Weir), o per la scelta di costruire il senso drammatico della scena modulando gli effetti di una luce naturale: usando fasci luminosi che delineano una specie di corridoio di vapori dentro la boscaglia
oppure riflessi e giochi di controluce che filtrano dalle finestre:
o ancora al contrario, da sfumature di penombra che raccontano attraverso i grigi l’incombenza plumbea della guerra o dal bagliore delle candele in notturna:
Ma forse, ancor più che per la sua volontà di incantarci, il film di Coppola, premiato per la regia a Cannes, è interessante perché riadatta la storia del libro di Cullinan dialogando però, secondo una sofisticata trama intertestuale di riprese e rovesciamenti, anche con il primo film (1971) tratto da The Beguiled, realizzato da Don Siegel e interpretato da Clint Eastwood.
Fu distribuito in Italia con un titolo riduttivo e sguaiato La notte brava del soldato Jonathan, che certo sapeva subito mettere in primo piano la nuova e diversa scelta di focalizzazione sul protagonista, e su un concetto della relazione tra i generi come scambio essenzialmente sessuale tra un maschile euforico predatorio e un femminile bipolare, oscillante tra la variante della sottomissione e la risposta immediata ai piaceri carnali, e il modello opposto di un femminile infuriato e vendicativo. D’altra parte, il titolo italiano non coglieva, per esempio, anche il modo in cui il film di Siegel (riscritto da Albert Maltz) riusciva a mettere in scena, esasperandoli, alcuni grandi fantasmi del maschile: primo tra tutti «the basic desire of women to castrate men», come si legge in Clint: The Life and Legend, di Patrick McGilligan (Harper-Collins, London, 1999).
“The beguiled”, nel lavoro del 1971, era senza nessuna ombra di dubbio “l’ingannato”, cioè il soldato tradito dalle donne che lo hanno curato. Al contrario, la parola era stata usata, nel romanzo, alludendo a una condizione di inganno subita soprattutto dalle donne, perché l’ambiguità più letterale riguardava esplicitamente la figura del caporale: « - Do you indeed, - said I. I must admit I was somewhat beguiled by his earnestness of manner, if not his audacity» dice a un certo punto Miss Martha, e nella parte finale il racconto svelerà anche alcune menzogne con cui l’uomo ha ingannato la direttrice. Certamente già la trama del libro insinuava che beguiled, “ingannato”, ma anche “ingannata” o “ingannati/e” potessero essere tutti i personaggi, vittime di un’aspettativa illusoria sul conto dell’altro, o dell’altra; situazione che spiega anche, in sottotraccia, il titolo scelto originariamente da Cullinan: A Painted Devil, che fa pensare a “to fear a painted devil”, aver paura di qualcosa di convenzionale, quando invece il vero diavolo e nemico potrebbe avere un aspetto diverso.
Riprendendo entrambe le versioni di The Beguiled, il film di Coppola elimina dal racconto la serva nera del film di Siegel (sfumando il contesto razzista della guerra) e la sorella di Miss Martha, Harriet, costruendo così un sistema di personaggi composto da Miss Martha (la direttrice: Nicole Kidman), Edwina (l’istitutrice: Kirsten Dunst), Alicia (la collegiale più audace: Elle Fanning) e le altre tre giovani ragazzine: Amy (quella più a contatto con il mondo esterno, colei che va a cerca di funghi e ha come amico una tartaruga: Oona Laurence), Emily (la più signorile: Emma Howard) e Marie (Addison Riecke: quella ancora più bambina, la più cicciottella, e, per ironia del racconto, proprio colei che saprà suggerire alle adulte la soluzione finale più ingegnosa):
Una specie di esagono, complicato dall’arrivo di John, che di nuovo, come nel romanzo, resta l’oggetto magico e misterioso, quello che alla fine sarà estromesso per rimettere in posa il gruppo:
Il trattamento di Coppola elimina anche la scena cruenta dell’amputazione raccontata da Siegel, come il bacio iniziale tra il soldato e la bambina, riavvicinando il racconto alle sue originarie atmosfere di narrazione Southern Gothic, amplificate, per esempio, dalla ripresa della tradizione figurativa, tanto letteraria quanto pittorica (Manet, Stevens, Tissot etc.), delle inquiete donne in bianco, inaugurata, proprio negli stessi anni in cui è ambientato The Beguiled, dal meraviglioso romanzo di Wilkie Collins The Woman in White (1859-60), e dal quadro di James Mc Neill Whistler Symphony in White, No. 1: The White Girl (1862), presentato nel 1863 al Salon des Refusés, a Parigi:
Tutto il cinema di Sofia Coppola, anche in modi ripetitivi o di maniera, racconta storie di giovani donne imprigionate, spesso anche fisicamente, in mondi tra parentesi, in gabbie dorate, che spesso contengono anche giardini, dove di fatto si rischia di rimanere soffocati dalla bellezza. Con The Beguiled forse questo tema raggiunge la sua perfezione espressiva, perché la trama polifonica del libro viene recuperata trasformando però lo sguardo, e non più la parola, in dispositivo drammaturgico che manda avanti la storia.
«Nous sommes des filles!» ci dicono le ragazze al loro primo apparire in scena, durante la lezione di francese: ricamare, preparare marmellate, curare il giardino, studiare la lingua della conversazione elegante e cucire sono le azioni possibili in un mondo dove intanto l’azione che muove la Storia è la guerra. Educate a non lasciar trapelare desideri o emozioni, le protagoniste di The Beguiled ci interpellano e ci trasformano in loro complici guardandoci e scambiandosi occhiate di intesa, con i loro esercizi raffinati di dissimulazione, facendo attenzione a dire senza dire. Il caporale John McBurney, raccolto in un bosco e immesso dentro le trame di questo mondo ai margini della violenza, diventerà, simultaneamente, vittima e artefice del gioco di illusioni e di inganni che si consumano dentro la casa in fondo al bosco. Come in una sorta di attraversamento dello specchio, l’oltrepassamento del cancello – e l’uscita da esso, nel finale – segna il passaggio in un mondo a parte e parallelo dove provvisoriamente si può fingere di riuscire a rispecchiarsi nelle proprie illusioni. E così John riuscirà a conquistare le sue ospiti lusingando ciascuna di loro con argomenti diversi che faranno narcisisticamente da specchio alle loro vulnerabilità: con Miss Martha elogiando la sua forza d’animo, con Edwina facendole credere che la porterà via da lì, con Amy stessa dicendole che è la sua migliore amica (proprio lei che colma i vuoti usando come intermediario con il mondo esterno una tartaruga)
Ma, secondo una specularità perfettamente messa in scena senza essere spiegata, John resterà ingannato dalla sua stessa vanità. Mentre intanto (e solo apparentemente sullo sfondo) arrivano i rimbombi dei cannoni, passano i feriti di una guerra che a prima vista pareva essere rimasta lontana ma invece ha coinvolto tutti, e tutte, con la sua violenza. Quel sacco di tela perfettamente cucito dalle donne, alla fine di The Beguiled, dal quale il film ci chiede, per l’ultima volta, di guardare, prima che si faccia buio, le protagoniste messe in posa al di là del cancello, unisce e divide; rendendo visibile, anche nella sua violenza, la parte di umanità taciuta, ingannevolmente, dalle memorie della guerra.