Americana e/o canadese / Parthenocissus, vite vergine

1 Novembre 2020

Hanno tagliato al piede le grandi tuje oltre il confine, e ho dovuto punire la mia esuberante Armanda (Clematis armandii) colpevole d’aver scalato la cima di quella prossima al cancello. Conto si riprenda dal drastico ridimensionamento e s’accontenti di correre lungo la rete divisoria. Ora, dalla finestra della cucina ammiro la grigia parete dell’acquedotto comunale. Non proprio un bel vedere. 

C’è però chi può fare al caso mio. Se il Partenocisso (Parthenocissus quinquefolia), che m’invade il giardino, fosse così servizievole da allungarsi fin là, troverebbe lo spazio a lui proprio e rimedierebbe, in breve tempo, alla tristezza cementizia che mi affligge. Spero non mi serbi rancore: troppe volte l’ho strappato da alberi e arbusti del giardino. Ancor meglio sarebbe se mi concedesse questo favore il Parthenocissus tricuspidata che, più fitto e composto, allinea sui lunghi piccioli le foglie a testa in giù e ammanta il vetusto muro di cinta del vicino palazzo nobiliare: simpatiche le più giovani e piccole, cuoriformi dai bordi lobati, mandate in avanscoperta. 

 

 


 

Una certa confusione onomastica ha regnato tra i botanici – può ancor oggi capitare di trovare la dismessa classificazione di Ampelopsis – e continua a perdurare nei nomi popolari: vite americana e/o vite del Canadà? In confidenza, meglio “vite vergine” che è poi la traduzione dal greco di Parthenocissus (párthenos = vergine, kissós = edera), poiché i frutti, a differenza della vite da uva (Vitis vinifera), sono succosi solo per gli uccelli. Per i francesi è infatti la Vigne vierge, Virginia creeper per gli anglofoni. 

Come vuole l’aggettivo scientifico, ciò che più li differenzia è la lamina fogliare divisa in cinque segmenti nel P. quinquefolia, indivisa e triloba nel P. tricuspidata. L’una è d’origine nordamericana, l’altra orientale: entrambe decidue, con fiori poco appariscenti ma pruinose e attraenti bacche blu che durano sui graspi rossi anche dopo la caduta delle foglie; ed entrambe si fissano con forza alle superfici tramite le ventose terminali dei cirri arricciati ai nodi dei tralci, abilità che le rende adatte a ricoprire vaste superfici oltre che a nascondere magagne. 

 

 

In due suoi romanzi, Jean Giono coglie puntuale quest’attitudine nella sua duplice e inversa direzione: «Une vigne vierge embroussaille celle [la maison] de Jaume et imite dessus la porte le grand moustache de Gaulois qui pend sur la bouche du propriétaire» («Una vite americana nasconde quella [la casa] di Jaume e sopra la porta imita i mustacchi da Gallo che pendono sulla bocca del proprietario»: Colline, 1929); «J'étais caché derrière la vigne vierge: elle ne pouvait pas me voir, me je la voyais» («Ero nascosto dietro la vite americana: lei non mi poteva vedere, ma io la vedevo»: L'Iris de Suse 1970).

E mi sovviene anche quella che – pietosa forse – rivestiva la cinta manicomiale nelle Libere donne di Magliano di Mario Tobino, un libro da riprendere in mano:

 

 

«L’alto muro che cerchia il manicomio e che dalla portineria di fondo, alla quale mi stavo presentando, comincia a snodarsi e salire, era ricoperto con abbondanza e veemenza, vestendolo di bellezza, da quella pianta, la vite americana, che dà colori ed esuberanza invece che frutti e poi nell’autunno si tappezza uguale a un fresco damasco».

 

Se invece che muri o massi desiderate ricoprire un gazebo o un pergolato, meglio scegliere il Parthenocissus inserta, anch’esso americano ma privo di ventose: i suoi viticci non raggiungono altezze considerevoli e si comportano come quelli di una clematide. 

Ottobre celebra il loro momento di gloria. Tra le piante che ravvivano il paesaggio del mese il Partenocisso non è secondo ad alcuna. Aceri e Liquidambar si accendono verticali come fiaccole, ma non hanno il fascino zingaresco del rampicante che serpeggia sui ruderi, s’inerpica sui pali della luce e si sfrangia giù a capofitto dai fili. Per questa tanto attesa livrea, che dalle note aranciate vira fino al burgundy, le salutiamo all’arrivo dell’autunno. E io dedico loro e alla stagione delle brume illuminate dal foliage, questa poesia di Raymond Radiguet, compresa nella raccolta Les Joues en feu:

 

 

Automne

 

Tu le sais, inimitable fraise des bois
comme un charbon ardent aux doigts de qui te cueille:
leçons et rires buissonniers
ne se commandent pas.

Chez le chasseur qui la met en joue
l'automne pense-t-elle susciter l'émoi
que nous mettent au cœur les plus jeunes mois ?

Blessée à mort, Nature,
et feignant encore
d'une Ève enfantine la joue
que fardent non la pudeur mais les confitures
ta mûre témérité
s'efforce de mériter
la feuille de vigne vierge.

 

Tu lo sai, inimitabile fragolina di bosco,

carbone ardente alle dita di chi ti coglie:

fare lezione e marinare la scuola

non è possibile insieme.  

 

Al cacciatore che lo prende di mira

pensa forse l’autunno di suscitare i fremiti

che ci mettono in cuore i primi mesi?

 

Ferita a morte, Natura:

e ancora finge 

la gota di un’Eva infantile, soffusa

non di pudore ma di confetture.

La tua matura temerità

di meritare si sforza 

la foglia di vite del Canadà. 

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