27-28 aprile 2018 (Monte Verità-Ascona) / I meccanismi dell'eresia
Eresia e verità
Qual è il meccanismo specifico dell'eresia? E la specificità di tale nozione? Per quanto riguarda la seconda domanda, si potrebbe pensare a una contrapposizione all'ortodossia (la risposta alla prima si verrà precisando nel corso dell'esposizione). L'ortodossia è retta credenza, conformità ai principi di una determinata dottrina, specificamente di una religione. L'opposto di ortodossia è però eterodossia, che è dottrina o opinione diversa da quella definita come vera. Invece eresia si oppone a dottrina rivelata come vera.
Scelta di verità
Eresia sta per «scelta». In greco αἳρεσις, derivato dal verbo ἁιρέω, scegliere, significava originariamente «scelta, elezione, inclinazione, proposta». Indicava una presa di posizione in termini filosofici o politico-religiosi, senza sentore di riprovazione. La riprovazione si impone invece subito nel nuovo assetto religioso cristiano, trovandosi già annessa nel Nuovo Testamento per intervento di Paolo (Tito 2,1; 2 Timoteo 1, 13; Galati 1, 8, passi che qui solo segnaliamo e che più avanti citeremo). Poiché il concetto nasce in ambito religioso e si precisa in seno alla chiesa, sono stata in qualche modo costretta a compiere delle incursioni nel terreno della teologia e persino del diritto canonico, che poco o nulla hanno a spartire con la filosofia (e così dicendo ho già espresso un'opinione che alcuni riterranno eretica, ma non è questo l'argomento della mia relazione). Devo dire che l'incursione si è rivelata alquanto fruttuosa e mi ha permesso di precisare meglio i contorni del fenomeno, soprattutto per quanto riguarda le forme di esclusione e repressione. L'antico eretico (che era in genere un seguace) o l'eresiarca (che è invece l'iniziatore di un movimento ereticale) rischiavano ben altro che esclusione e repressione: il diritto ecclesiastico li scomunica ipso facto, li priva, se ecclesiastici, di ogni beneficio, dignità, incarico o pensione, nega loro la sepoltura ecclesiastica e li dichiara infami. Quando andava bene. Altrimenti li condannava alla pena di morte sul rogo, per non versare sangue, che non sta bene. Nella definizione dei teologi l'eresia dottrinale si oppone insomma, immediatamente, direttamente e contraddittoriamente, a una verità rivelata e proposta come tale dalla chiesa cattolica (così la voce Eresia del DEI, p. 15). La verità rivelata è una delle verità più forti che ci siano, ed è da credersi in quanto fede. Per quanto riguarda la chiesa cristiana delle origini il principio dell'ortodossia è formulato chiaramente da Paolo nella Lettera agli Efesini (4,5): «Un Signore, una fede, un battesimo».
L'eresia e Tertulliano
Inquadreremo in particolare un grande persecutore di eretici e teorico dell'ortodossia vissuto nei secoli II e III, tra il 155 e il 230 circa, tanto più accanito quanto di recente conversione, il cartaginese Tertulliano, e la sua posizione protorealista, allo scopo di definire l'eresia in generale. Le vecchie forme di esclusione e repressione risulteranno illuminanti per comprendere le nuove; ne emergerà infatti la constatazione che i meccanismi dell'eresia alla fine sono sempre quelli: escludere e reprimere in nome della verità dichiarata dall'ortodossia. Quella verità che non smette di appassionarci e cui sarà dedicata l'edizione 2018 del Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo. Quella verità che oggi viene discussa nel dibattito sulle fake news, la verità virtuale, la postverità e tutto quel materiale propalato dai social media tramite internet.
Ripetiamo che eresia, nella comune definizione dei teologi, è una dottrina la quale si opponga in modo contraddittorio, diretto e immediato a una verità rivelata e come tale proposta a credersi dalla chiesa. Lo individua precocemente Paolo nel suo epistolario, in cui è presente già il concetto di dottrina sana e salutare cui fa riscontro la dottrina falsa («Tu però insegna quello che è conforme alla sana dottrina», Tito, 2, I). La dottrina vera è così vera che continuerebbe ad esserlo anche se un angelo annunciasse qualcosa di diverso: «Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema!» Galati, 1, 8-9).
Dunque Tertulliano, nativo di Cartagine (il quale, sia detto en passant, prende una posizione positiva nei confronti della regina Didone difendendone l'atteggiamento di vedova fedele al cener di Sicheo, per quanto suicida, in quanto l'apologeta conosceva la versione fenicia della storia, in cui la regina si suicida per non divenire sposa di Iarba, non quella virgiliana nel quale la regina tradisce il cener di Sicheo con il corpo vivo di Enea). Tertulliano dunque, nel suo Liber de praescriptione haereticorum, scritto tra il 200 e il 205, poco dopo la conversione al cristianesimo avvenuta nel 197, enuclea con esemplare chiarezza il concetto di eresia (Tertulliano, Contro gli eretici, 17, p. 8, 42). Eresia è una dottrina che non rispecchia la verità della chiesa e la verità di Cristo perché di questa si trova in possesso soltanto la chiesa, la quale la possiede, spiega Tertulliano, per tradizione, cioè per trasferimento della verità delle origini ai suoi attuali depositari. Come? Tertulliano lo illustra trasformando la tradizione in un concetto legale in cui la tradizione (traditio) viene a coincidere con la prescrizione (praescriptio). In ambito giuridico le praescriptiones erano delle clausole sul processo, la più frequente delle quali era la longi temporis praescriptio, dovuta alla lunghezza del tempo trascorso. A chi spetta infatti legittimamente il possesso delle Scritture, la loro verità? Agli ortodossi o agli eretici? A coloro che la gestiscono da più tempo ovvero ai primi occupanti (che è anche il criterio che giustifica il «primanostrismo» elvetico, «America first» e molti analoghi principi). Il criterio di Tertulliano non è soltanto cronologico però, ma anche giuridico: la vera dottrina che rende veri cristiani è esclusivamente quella tramandata 1. da Cristo; 2. per mezzo degli apostoli; 3. dopo la sua resurrezione; 4. alle chiese apostoliche. Gli eretici invece, pur accettando i punti 1 e 3, esprimevano dubbi sui punti 2 e 4. Prova della veracitas della dottrina così circoscritta è a detta di Tertulliano la sua anteriorità temporale: «la nostra dottrina non è posteriore ad alcuna, anzi è anteriore a tutte. Questa sarà la prova della sua veracità» («Posterior nostra res non est, immo omnibus prior est. Hoc erit testimonium veritatis». [XXXV,13 p.78]. «Mio è il possesso» della verità, continua l'apologeta, «già da tempo lo esercito, per primo lo esercito; le mie origini, nel possesso di questi beni, sono ben precise, sono derivate dagli autori stessi ai quali appartennero questi [beni] che ora posseggo» (Mea est possessio, olim possideo, prior possideo, habeo origines firmas ab ipsis auctoribus quorum fuit res). [XXXVII, 4, p.81].
Interessante è che la giustificazione del possesso della verità si fonda sugli stessi motivi del principio giuridico del cosiddetto «titolo valido» cui fa riferimento, nell'ambito della filosofia politica, Robert Nozick. In polemica con Rawls e la sua teoria della giustizia diretta a beneficiare gli svantaggiati, Nozick afferma che una distribuzione dei beni è giusta quando scaturisce da una giusta posizione di partenza, anche se da tale processo emergono grandi disuguaglianze. Un individuo, precisa ulteriormente Nozick, ha diritto al possesso di un bene quando il processo storico che lo ha portato a esserne proprietario (i significati di possesso e proprietà vengono qui sovrapposti) è storicamente giustificato secondo tre fasi: è legittimo il momento del primo acquisto (acquisizione); è legittima ogni forma di scambio avvenuta tra proprietà diverse (trasferimento) e, in caso di infrazione del possesso, si è ristabilita la proprietà legittima (rettificazione). Se ora prendiamo questi tre principi della teoria del titolo valido (acquisizione, trasferimento e rettificazione) e contemporaneamente sostituiamo a «beni» «verità», otteniamo una teoria completa della verità ortodossa che prevede un principio di acquisizione della verità, un principio di trasferimento della verità e un principio di rettificazione quando la verità è acquisita o trasferita in violazione dei primi due principi (con molte grazie a Corrado Del Bo che ha approvato l'accostamento non proprio ortodosso tra Tertulliano e Nozick).
Il realismo tertullianeo
«Sulla base di che cosa, Marcione, tagli quel bosco che è mio?» esemplifica e metaforeggia Tertulliano; «chi ti autorizza, Valentino, a deviare la mia acqua?» (quo denique, Marcion, iure silvam meam caedis? qua licentia, Valentine, fontes meos transvertis?) [XXXVII, 3, p.80]. Il mio possesso della verità è legittimo, tuona l'apologeta, perché io lo esercito per primo e perché esso mi è stato tramandato legittimamente dalla parola vera di Cristo e degli apostoli che la hanno legittimamente consegnata alla chiesa. Che cosa affermano coloro che «hanno fatto violenza con stupro eretico a lei, alla Vergine [la chiesa] affidataci da Cristo?» (Quid ergo dicent, qui illam stupraverint adulterio haeretico virginem traditam a Christo?) [XLIV,2, p. 91]. Con l'eretico violentatore della verità, assevera Tertulliano, non si deve parlare né discutere: «il motivo di rivolgerci a lui deve essere solo quello di correggerlo: l'eretico deve essere castigato» «Haereticus sit castigandus propter quod non sit cum illo disputandum». [XVI,2, pp. 50-51]. Verità e realtà vengono prima di ogni cosa, prosegue con toni da new realist Tertulliano: «in tutti i campi la verità precede l'immagine e la similitudine viene dopo la cosa reale!» «in omnibus veritas imaginem antecedit, post rem similitudo succedit». [XXIX,1, p.67]. E poiché in virtù del principio del titolo valido la verità la possediamo noi, con gli eretici non si discute: li si corregge e li si castiga.
Proprio come veniamo castigati noi filosofi continentali, non con roghi ma con meccanismi di esclusione perché ci permettiamo di dubitare del messaggio veritativo del newrealismo. È un'altra storia di verità e eresia, applicata non al senso religioso ma a quello filosofico. La verità dell'ortodossia filosofica contemporanea non è rivelata direttamente dalla parola di Dio ma è comunque fortificata dalla potentissima parola della scienza. Cambia il contesto ma non cambia la posta in gioco, l'ortodossia della verità, né cambiano i meccanismi di esclusione e repressione di formulazione tertullianea: non parlare né discutere con coloro che non possiedono la verità per titolo valido ma correggere e castigare. Altro che lo spinoziano non ridére, non lugére, neque detestari, sed intelligere. «Haereticus sit castigandus propter quod non sit cum illo disputandum». [XVI,2]
È quello che accade tuttora ogni volta che si mette in discussione una presunta verità oggettiva, come i principi su cui si basa principi il newrealismo, per esempio, criticando precisamente la pretesa di possesso assoluto della verità enunciata da tale teoria, sostenendo che le verità scientifiche non vanno ritenute verità immutabili, dal momento che molte scoperte date per certe sfoceranno altrettanto certamente in molte rimesse in discussione. La realtà del mondo esterno, al contrario, è una realtà umanizzata che noi conosciamo attraverso la nostra mente umana: una posizione co-costruttivista che ritiene che costruiamo psichicamente, socialmente e storicamente la traduzione di una realtà esterna a noi, idea di costruzione della rappresentazione della realtà da parte della mente elaborata tra gli altri da Peter Berger, Thomas Luckmann, Klaus Krippendorff, Jean-Louis Le Moigne, Edgar Morin etc.
Contro questa posizione di «eresia continental-kantian-costruzionista», che personalmente condivido con altri tra i quali Donatella Di Cesare, è stata applicato dagli ortodossi detentori della verità vera un procedimento retorico chiamato «fallacia dello spaventapasseri», o «argomento del fantoccio» che consiste nel caricare le posizioni dell'avversario di caratteristiche aberranti e distorte nonché fortemente caricaturali, per poi accanirsi contro queste per confutare quelle. La posizione co-costitutivista, che afferma, in termini moderni, che la nostra percezione del mondo esterno è coprodotta dalle potenze organizzatrici del cervello, viene ridicolizzata e tacciata di postmodernismo bieco e oscurantista e fatta divenire la nuova eresia con la quale non si può disputare, ma che si deve soltanto castigare, con le forme mediatiche di scomunica e maledizione. Il meccanismo è quello di sempre, non è cambiato di una virgola.