Inequality for all
The Guardian ha pubblicato un articolo dove si parla in termini entusiastici di un documentario presentato al Sundance Film Festival. Si tratta di Inequality for All di Robert Kornbluth. È un film indipendente che ha come tema l’economia degli ultimi 60 anni e come star l’economista Robert Reich. La tesi di Reich è semplice e radicale (e, verrebbe da dire, largamente condivisibile): la finanza ha distrutto l’economia di produzione, concentrando la ricchezza in mano a pochissimi ed erodendo in maniera sempre più drammatica la condizione della classe media.
Non ho ancora visto il film, ma mi colpisce molto l’enfasi di Carole Cadwalladr, la giornalista, nell’argomentare che sembra impossibile che il cinema si occupi di un argomento del genere riuscendo a produrre un film non solo chiaro e comprensibile, ma anche carico di emozione. Naturalmente, io penso invece che se c’è una forma di comunicazione (di arte) che può parlare di ogni cosa in modo semplice ed emozionale è proprio il cinema. Sarà che io stesso sto lavorando con Giorgio Mastrorocco a un film di montaggio incentrato sull’idea di progresso e sviluppo nel ‘900: argomento apparentemente astratto e accademico, ma che se realizzato con le immagini giuste sono sicuro diventerà un bellissimo film (quantomeno, un film che vale la pena rischiare di fare).
Per il momento mi accontento di scrivere qualche nota su come il film è stato finanziato. 83.392 dollari, infatti, sono stati raccolti tramite crowdsourcing in un mese, partendo da una richiesta di 75.000. Da filmmaker indipendente, è ovvio che sono interessato a capire come finanziare documentari senza passare dalle forche caudine della RAI o affidandomi alle lotterie dei bandi di Film Commission e fondazioni (che siano comunque benedetti…). Ho provato a immaginare anch’io di organizzare una raccolta fondi via internet e la prima domanda che mi sono fatto è stata: ammesso che qualcuno abbia abbastanza fiducia da anticipare dei soldi, cosa gli posso dare in cambio? La risposta più ovvia è: il film stesso, considerando il funding una sorta di preacquisto motivato. Ma, oltre una cifra che copra il costo di un dvd o di un ingresso al cinema, come giustificare la richiesta di cifre più importanti, ma comunque troppo basse perché si qualifichino come vere e proprie partecipazioni imprenditoriali alla produzione?
Il sito di Inequality for All fornisce risposte per me sorprendenti. Innanzitutto, non vi si parla di dvd o copie del film. Evidentemente, è implicito che uno il film se lo va a vedere pagando il biglietto. Si offre invece una vasta gamma di opzioni, da 5 dollari a 2.500 (e oltre). In cambio Kornbluth offre svariati memorabilia del film, tutti legati a Reich, in una piramide che ha alla base un video di ringraziamento via mail (10 dollari); e al vertice (per i primi 15 “grandi sovvenzionatori”) un invito a pranzo con Reich e il regista nel loro ristorante preferito di Berkeley (costi del viaggio non inclusi, se uno non è di lì).
Ho provato a pensare a uno schema del genere applicato all’Italia e confesso che non sono proprio riuscito a immaginare che funzioni. Magari mi sbaglio, ma davvero qualcuno sarebbe contento, in cambio della sovvenzione, per il solo fatto di avere un memento dell’autore? Forse, mi dico, se l’autore è in qualche modo una star – ma se si tratta di un giovane sconosciuto? O di un cane sciolto come il sottoscritto? E in che modo si qualifica l’investimento del crowdsourcer rispetto all’autonomia dell’autore? Che responsabilità genera per il regista dover “rispondere” a un anonimo gruppo di persone piuttosto che a pochi finanziatori istituzionali di cui però, in linea di massima, ho il vantaggio di conoscere identità, storia e aspettative?
Sono più domande che risposte. E in quanto tali ve le offro. Cari frequentatori di doppiozero, se mai doveste pensare di dare 20, 50 o 100 euro per un documentario di Davide Ferrario, tanto per non fare nomi, che cosa vi aspettereste in cambio?