Mercuzio non vuole morire
Il giorno seguente tra le vie di Volterra si respira l'aria della quiete dopo la tempesta; è facile incrociare gli sguardi del popolo di Mercuzio, ben si distinguono da chi è rimasto estraneo alle evoluzioni della Compagnia della Fortezza o dai turisti che questa città continuamente la attraversano. E per far sì che una città sia polis e non solo valico prestato all'attraversamento momentaneo bisogna lavorare per contagio in un tempo lungo, diluito. La Compagnia della Fortezza ha impiegato anni per far maturare il seme rigogliosamente sbocciato nel lavoro di quest'anno, dedicato certo al Mercuzio shakespeariano, ma soprattutto a un intero mondo poetico e politico che congiunge il Bardo a Majakovskij. Perché anche l'emozione in questo caso si fa segno politico e pure l'esortazione di Punzo, dopo i saluti, a continuare l'esperienza fuori dal carcere, nelle piazze di un festival che quest'anno è tutto Mercuzio, non può non aprire una breccia nello stomaco di chi alzando lo sguardo dal cortile del carcere scruta tra le grate delle celle quella libertà negata che alla maggior parte degli attori impedirà di vivere il festival al di fuori.
Se c'è un tema sul quale da un po' di tempo il sistema teatro cerca di ragionare è proprio insito nella relazione con il pubblico, quest'ultimo inteso come cittadinanza: spesso si è parlato del lavoro di Kilowatt Festival con i "visionari" (un gruppo di persone del paese di Sansepolcro scelgono parte degli spettacoli da programmare al festival), della spiccata apertura verso la città ritrovata nelle ultime edizioni di Santarcangelo dei Teatri - dove quest'anno il lavoro di artisti come Maxwell e Sieni ha cercato di stabilire una relazione vivificante, oppure del lavoro, del tutto particolare e unico, del Teatro Povero di Monticchiello che tra poco raggiungerà il mezzo secolo di attività. Ecco che in questo senso fare di Volterra una città-palcoscenico dalla quale urlare (e far urlare) che la bellezza e l'arte non sono morte diventa un disegno preciso, riconoscibile e probabilmente non derivante solo dalle poche risorse destinate quest'anno al festival.
Mercuzio è l'arte, la cultura sottoposta ai soprusi dei politici e dimenticata dal mainstream televisivo. Una delle prime frasi che si sentono entrando nel cortile del carcere, superando dunque le decine di piccole e grandi opere di artigianato teatrale che occupano lo spazio del giardino e che poi ritroveremo nello spettacolo, è "io sono l'ultimo poeta, non ve ne siete accorti, io sono un temerario". In realtà prima che questa frase la faccia rimbombare Punzo nell'aria durante uno dei suoi infiniti duelli con Tebaldo occupa già lo spazio terreno di uno bianca e stretta lingua di carta appoggiata sull'erba.
Ma non si fa in tempo a guardarsi attorno, siamo già dentro, in quello spazio che ogni anno in questo periodo trasforma l'ora d'aria in tempo espanso dell'arte. E sotto un sole cocente ci ammassiamo davanti alla scena orizzontale. Velocemente, come faranno molti dei personaggi di questo circo fantastico, ci passa accanto un surreale clown di bianco e rosso vestito esortandoci "bisogna far presto questa non è la morte".
Certamente il messaggio e l'impostazione sono ingenuamente romantici. Le modalità utilizzate nella vibrante e passionale scrittura scenica cercano di stemperare nell'immaginario fantastico, dove si incontrano Fellini e Chagall, quello che è un approccio eminentemente ideologico. È Armando Punzo il Pifferaio magico, il capopopolo che detta i tempi delle esplosioni durante la rivolta, è lui che prepara i cannoni e decide quando e dove sparare. La poesia e il teatro le sue munizioni. Da qui anche la scelta drammaturgica di accentrare gran parte dello spettacolo attorno alla sua figura, ma anche fuori, negli eventi di piazza è sua la voce che rimbalza tra le antiche mura incitando i partecipanti. E anche quando Punzo non è presente, in uno dei tanti momenti che attraversano la città in questa idea di spettacolo declinato collettivamente, il pubblico facilmente si trova di fronte allo schema che vede un uomo contro tutti. Ė la prassi dell'eterodirezione, ma anche la dialettica del dibattito democratico, di un uomo solo che lotta per convincere la maggioranza. Annullati dunque i dialoghi per mantenere questa scrittura frontale e far fluire nel mare tempestoso numerosi compagni di viaggio: il possente Otello porta sulle spalle proprio il poeta Mercuzio, Riccardo III ingobbito e posticcio arringa la folla mentre una schiera di Giuliette si fanno tappeto di morte in piazza, e ancora Cyrano, Majakovskij, Don Quijote e tanti altri. Punzo ha invitato veramente tutti a questa grande festa del teatro e a tutti ha chiesto di urlare al cielo che la poesia non è morta. C'è chi ha portato le proprie parole, a chi è arrivata una dedica nella scene di Alessandro Marzetti e Silvia Bertoni o nei magnifici costumi creati da Emanuela Dall'Aglio, pezzi unici, incontenibili escrescenze artistiche.
Fanno tutti parte dell'esercito di Armando Punzo? Sono il nostro esercito? Nella mente rimangono vive numerose immagini e concetti: i libri al cielo, le mani rosso sangue dei cittadini della Bella Verona – che con un veloce montaggio analogico fanno pensare anche alle agende di Borsellino –, gli infiniti duelli, il popolo e il capopopolo, ma forse soprattutto un uomo che in giacca nera graffia l'asfalto bollente con un fioretto, lo fa in un carcere, sotto al sole, poco dopo le 14,30.
Andrea Pocosgnich (Teatro e Critica)