Gianfranco Baruchello / Una pecora per entrare nel gregge
Una delle domande che viene spontaneo porsi nell’osservare la carriera di un artista come Gianfranco Baruchello è: «Chi abbiamo veramente di fronte a noi?» La sua opera ci pone davanti un’immagine caleidoscopica in cui è difficile distinguere la figura dell’artista da quella dell’imprenditore. Il manager dal regista. Chi è Gianfranco Baruchello? Toscano di nascita e con formazione giuridico-economica, inizia la sua carriera come dirigente aziendale. Ruolo esercitato almeno fino alla metà degli anni Cinquanta quando, trentenne, lascia progressivamente spazio alla sua inclinazione creativa. Ha inizio così la sua seconda vita, prima di una serie di svolte decisive che segneranno anche le tappe della sua carriera artistica. La biografia di Baruchello è infatti un camaleontico e invidiabile susseguirsi di momenti cesura tra professioni e linguaggi creativi, di pari passo con i cambiamenti sociali, culturali, politici e privati.
L’interesse di Baruchello per le diverse tecnologie è immediato. Il suo primo film è del 1960, si intitola Molla e precede Il grado zero del paesaggio (1963) e Verifica incerta (1964-1965), realizzato in collaborazione con Alberto Grifi. Di questi stessi anni sono anche i primi allumini e plexiglass, su cui Baruchello dipinge con smalti industriali mappe mentali di oggetti, relazioni, progetti, definendo il suo linguaggio e lasciando emergere una radice strutturalista del pensiero. Gli anni Sessanta per Baruchello sono anche segnati dall’incontro con Duchamp. In un’intervista rilasciata ad Alessandra Mammì nel 2014 sull’Espresso racconta: «Ho fatto di tutto per conoscerlo. Un collega mi dice che Duchamp è a Milano, prendo un aereo e lo raggiungo in un ristorante. Era il 1963 […] “Scusi se la disturbo, sono un pittore italiano e vorrei conoscerla”. Di fronte a me c’era un uomo generoso, disponibile, attento soprattutto a chi faceva il suo stesso mestiere e giocava a scacchi con lui…»
Nella seconda metà degli anni Sessanta Baruchello sperimenta il genere letterario con i romanzi: Mi viene in mente (Galleria Schwarz 1966), La quindicesima riga (Lerici 1968) e Avventure nell’armadio di Plexiglass (Feltrinelli Nova 1968); i “long distance happening” e nel 1968 avvia la sua prima opera di esplicita sovrapposizione tra arte ed economia con Artiflex, proponendo i meccanismi di attribuzione del plusvalore tipici delle oscillazioni di borsa. Questa fase durerà fino al 1971, quando farà delle scenografie per Valentino Bucchi per Il Coccodrillo. Nel corso di questo decennio Baruchello ha attraversato i linguaggi tradizionali e sperimentali, è entrato in contatto con i protagonisti della scena culturale italiana e internazionale e ha definito un suo tratto riconoscibile. «Sono legato al gesto della mano che scrive e che disegna» ha dichiarato nel 2013 durante una performance.
Questa seconda vita dura almeno fino al 1973, quando si trasferisce nella campagna romana, a Nord di Prima Porta. Qui fonda Agricola Cornelia S.p.A., un progetto artistico, economico, produttivo e agricolo. Ancora una volta l’arte si presta a rappresentare la produzione, questa volta però nella materialità del prodotto agricolo e terriero. La coltivazione della terra, il mantenimento di una destinazione agricola anziché edilizia, sono i tratti alla base di questo progetto che dura fino al 1981. Senza abbandonare i linguaggi già sperimentati, le sue opere come il film Il grano (1974-75), o i suoi plexiglass e allumini, le sua scatole e i suoi oggetti si ispirano all’esperienza della produzione agricola. Nel 1978 un elicottero della polizia attera nel suo giardino durante le ricerche di Aldo Moro, sequestrato dalle Brigate Rosse. Nel 1982 Francois Lyotard gli dedica il libro La pittura del segreto nell’epoca postmoderna (Feltrinelli, Milano 1982). How to imagine. A narrative on art and agriculture (McPherson & Company, New York 1983) è il libro tratto dalla conversazione tra Baruchello e il musicista Henry Martin sull’esperienza conclusa due anni prima e durata otto anni. Come ogni cosa fatta da Baruchello non viene però superata e accantonata ma i suoi echi si ritrovano successivamente non solo in questa recente mostra ma in libri come ad esempio Bellissimo il giardino (Exit, Lugo 1989).
Del 1998 è la terza svolta per Gianfranco Baruchello, segnata dalla nascita della Fondazione Baruchello. Quello di Santa Cornelia non era solo un progetto artistico, si trattava di una scelta di vita, della casa privata di Baruchello. Con la nascita della Fondazione, tutto ciò che era nato in bilico tra la dimensione privata e quella condivisa si sbilancia definitivamente a vantaggio della seconda, con la donazione da parte dell’artista alla Fondazione della sua casa, del suo archivio, della sua biblioteca e delle sue opere. Come nel film Verifica Incerta, realizzato nel 1964 con Alberto Grifi, dove spezzoni di pellicola sono paratatticamente accostati in warburghiana sequenza , così procede Baruchello sommando linguaggi a linguaggi, forme a forme, sperimentazioni a sperimentazioni, sovrapposti gli uni sugli altri ognuno memoria del precedente immediato o remoto. Su questa linea sembra strutturarsi anche la mostra Start Up. Quattro agenzie per la produzione del possibile, curata da Maria Alicata e Carla Subrizi, in corso a Roma fino al 28 aprile 2017. L’occasione segna infatti l’ennesima svolta. Da un lato l’apertura di una nuova sede della Fondazione Baruchello, che, da via di Santa Cornelia a Nord di Roma oltre Prima Porta, si aggiunge nel quartiere di Monteverde; dall’altro l’adozione di una ulteriore semantica propria dell’economia più recente.
Startup, new economy, sharing economy, bitcoin sono solo alcuni dei termini derivati dalle nuove economie che si sono inseriti nelle espressioni quotidiane al punto da trasformare il linguaggio comune. E come tutti i termini sono a volte soggetti a interpretazioni e usi diversi non sempre uniformi, tanto da lasciare lo spazio per qualche dubbio più o meno dichiarato in chiunque non sia un economista di nuova generazione o non abbia nel suo curriculum professionale almeno uno di questi progetti. La confusione è tale che persino sulla corretta scrittura ci sono diverse scuole di pensiero. Chi abusa della maiuscola, chi separa i diversi termini, chi li unisce con il trattino e chi opta per una forma minuscola e tutta attaccata a sottolineare il neologismo e l’accezione comune del termine.
«Che cos’è questa startup?» si è domandato l’artista, nato in un’epoca in cui persino acqua corrente ed elettricità in casa erano un lusso. Sarà perché uomo di altra generazione o per la sua formazione economica, Baruchello ha raccolto la sfida – linguistica – interpretandola attraverso i suoi codici, riassumibili in: «Natura», «Economia», «Arte», «Partecipazione», «Valore e plusvalore». L’interesse per l’incontro tra economia e cultura è infatti una delle costanti del suo lavoro di artista e si ritrova nei progetti di Agricola Cornelia in cui Baruchello abbandona le campagne per la dimensione metropolitana dove la natura assume un risvolto posticcio, nelle quattro formule contrattuali stipulate tra lo spettatore, o il collezionista, e la Fondazione, o l’artista. Ognuna delle opere, proprio come una startup, è presentata come un progetto temporaneo, riproducibile in scala e innovativo, da sottoscrivere con una scrittura privata.
#1 Adozione della pecora o della pecora non si butta niente
Adozione della pecora è il nome della prima “agenzia”. «Sull’importanza, oggi, di ripensare la pecora» è in sintesi la chiave di volta su cui si sostiene l’operazione. Cento pecore sono esposte come in una showroom. Disposte sopra appositi espositori, griglie e mensole, le pecore sono sagome di legno compresso. Ognuna è timbrata, firmata e numerata. Ognuna è un’opera multipla, con la surreale e mistificatoria funzione di accompagnarci nelle nostre giornate, al parco, alla posta, al supermercato. Video promozionali ne illustrano i possibili usi. Altre immagini si riferiscono all’originale, che ne ha ispirato il surrogato. Compreso nell’acquisto un decalogo di buone maniere ad uso e consumo del collezionista per una nuova consapevolezza del mite animale in attesa di qualcuno che lo acquisti. Pardon: che lo adotti.
#2 Earth Exchange o della sharing earth
Anche per questa agenzia il luogo di partenza è la tenuta di via Cornelia. Dall’allevamento del bestiame alla coltivazione della terra, la seconda agenzia riguarda un progetto inaugurato nel 2008: uno scambio di terreno tra aziende agricole. In tempi di sharing economy, cioè economia generata non dall’impresa, ma dalla condivisione di azioni quotidiane che svolgeremmo comunque – come dare un passaggio a qualcuno mentre andiamo al lavoro in auto o ospitare chi ne ha bisogno a casa nostra in cambio di un rimborso spese –, qui si parla di condivisione dei terreni, con la particolarità che in questo caso per essere scambiati questi devono corrispondere a determinate caratteristiche chimiche. «Custode dei valori antichi e patrimonio del vivente», la terra può generare o meno la vita. Le due casse dentro la stanza custodiscono a lor volta lo scambio di terreni. Una piena del terreno di via Cornelia, l’altra vuota sono inviate entrambe a una seconda azienda, da cui usciranno entrambe riempite per metà del terreno di una tenuta e per l’altra metà di quello della seconda tenuta con cui è avvenuto lo scambio. Entrambe le tenute diverranno a loro volta custodi di una delle due casse contenenti il terreno condiviso.
#3 Oggetti anomali o dei progetti impossibili
Sempre a proposito di condivisione e visioni impossibili, la terza agenzia coinvolge alcuni artisti ideatori di alcuni oggetti anomali, completamente innovativi rispetto al loro uso consueto e per i quali l’agenzia dovrebbe trovare i fondi necessari per la messa in produzione. Tra questi il pattern decorativo di Felice Levini o il mattone deforme di Elisabetta Benassi.
#4 Produzione di utopie o Emozioni offresi
Chiude il giro di giostra l’immersione dentro un bosco simulato, «possibile attivatore di pensieri e immaginazione». La visione di un bosco è proiettata in una sala dove l’ospite scende in solitaria alla ricerca di un’emozione «offerta» dall’artista e in cambio della quale dovrà donare una parola che la riassuma.
Temporanea, ripetibile, scalabile. Questi i tre aggettivi con cui si definisce una startup e che si ritrovano in parte nelle quattro agenzie di Baruchello. Eppure: temporanea nella performance, ripetibile nel multiplo, scalabile nella sua diffusione come nella riproduzione tecnica lo è anche l’arte da diversi decenni. Che cos’è allora la startup di Baruchello, viene da chiedersi, se non un aggiornamento linguistico? Dove andare a cercare il fil rouge della mostra? Nello scambio tra spettatore e artista? Nella gestione di un lavoro collettivo di artisti? Nella replica allegorica dei meccanismi propri degli scambi economici? O nella ulteriore moltiplicazione di (plus)valore attraverso l’adozione e l’appropriazione di una nuova forma linguistica? Possibile che all’aggiornamento della forma non corrisponda quello della sostanza? A questa domanda sorride di sguincio Maria Alicata, una delle curatrici, lasciando aperto il dubbio se in effetti Baruchello non si sia divertito a giocare con le nuove terminologie prendendole in prestito per vedere l’effetto che fa.
Gianfranco Baruchello
Startup. Quattro agenzie per la produzione del possibile
a cura di Maria Alicata e Carla Subrizi.
9 novembre 2016 – 28 aprile 2017
Fondazione Baruchello. Roma.