1961-2020 / La legge di Luigi Spagnol

16 Giugno 2020

"Ma i genitori di questa Lara Spagnol che lavoro fanno?" "Non lo so, però ho notato che lei regala sempre libri Salani" "Ah, ecco". Avrei forse dovuto preoccuparmi? 

Lo scambio di battute con mia figlia Caterina avveniva lungo il marciapiede che girava attorno all'isolato e portava da casa nostra a casa di Lara Spagnol senza neanche dover attraversare una strada. La piccola portatrice di dati anagrafici tanto impegnativi aveva invitato i nuovi compagni di classe della scuola elementare alla sua festa di compleanno, penso fosse il sesto. A non lasciarmi del tutto tranquillo sull'eventualità che si trattasse della nipotina di Mario Spagnol c'era la circostanza per cui quel suo cospicuo nonno, da me mai conosciuto, aveva fama di uomo temibile. Era stato collega e poi amico, editore, coautore di Giampaolo Dossena, che non mi amava affatto. Uno dei lupi editoriali di allora mi aveva detto sogghignando: "Dossena può essere di cattiveria spagnolesca, spagnolesca nel segno di Spagnol, ovviamente". Tutte le malignità e le allusioni velenose di quei reduci volevano essere divertenti: io ne ero invece annoiato. Ma intanto stavo per portare mia figlia a casa del figlio di Spagnol, e chissà.

Ora che la malattia ce l'ha portato via forse non sarebbe opportuno che di Luigi Spagnol (1961 - 2020) ricordi la prima volta che l'ho incontrato io, tanto più che non è capitato in una redazione editoriale o nella sede di un evento editoriale ma all'ingresso di una festicciola privata, segnata dalla strana diplomazia che regola i rapporti tra genitori che accompagnano i figlioletti al loro debutto sociale. Ma l'immagine che mi viene in mente è quella e non so che farci.

 

Altri hanno già ricordato i meriti professionali di Luigi: il suo "fratello di lavoro" Stefano Mauri in particolare ha scritto sul Corriere  uno struggente racconto che tiene assieme la finezza, la preparazione, l'amicizia e le capacità di Luigi Spagnol – traduttore, pittore, melomane ma anche editore capace per quattro volte di far vendere più di un milione di copie a altrettanti libri di esordienti, e tutti e quattro in settori diversi (umorismo: Parola di Giobbe, di Covatta; favola: la Gabbianella di Sepulveda; fantasy: il primo Harry Potter; cucina: Cotto e mangiato di Benedetta Parodi). E poi La Legge di Murphy: trovate che diventano proverbiali.

 

 

In quel lontano sabato o domenica ad aprire la porta a me e Caterina furono due miei coetanei, Luigi Spagnol e Mariagrazia Mazzitelli, i genitori di Lara ma anche i massimi dirigenti della Salani. Sorridevano, parlavano a bassissima voce, mi davano del lei, offrivano caffè mentre i primi piccoli invitati erano ancora intimiditi dal primo quarto d'ora in una casa sconosciuta. Abbiamo parlato un po' di più alla fine della festa, quando sono tornato per riprendere mia figlia. Luigi si era inventato una sorta di chill out for children. Avevano giocato, si erano divertiti e ora, in attesa che i genitori li ritirassero, erano tutti a vedere vecchie puntate di Pippi Calzelunghe su vhs. Luigi mi fece notare come pure i seienni degli anni Novanta rimanevano affascinati da quei telefilm in bianco e nero, di ritmo lentissimo. Io avevo appena lavorato alla trasmissione Anima mia, era stata ospite l'attrice che aveva interpretato Pippi, che era rimasta una Pippi quarantenne, allegrissima e caciarona. Mentre i bambini finivano di vedere la puntata abbiamo chiacchierato di quello, del dottor Dolittle e forse anche del maghetto non ancora celebre ma già amatissimo. Eravamo già arrivati al tu, a quel punto: ma avevo notato come per darselo subito non fosse bastata la concomitanza di tre circostanze (lavorare più o meno nello stesso settore, essere coetanei, avere figlie compagne di classe) ognuna delle quali è di solito causa sufficiente per l'istantanea confidenza pronominale. Con Luigi Spagnol era andata diversamente e mi pare che questo dia un'idea di come fosse. Ironico, un sorriso disarmato, un'aria eternamente malinconica, una cortesia sincera, spontanea e strenua. Ma sembrava sempre doverti raggiungere da distanze siderali. 

 

A lungo abbiamo vissuto nello stesso quartiere e intanto le nostre figlie stringevano un'amicizia tenace. Capitava di incontrarlo per via e fermarsi a chiacchierare; non ricordo però appuntamenti precisi, pranzi o cene. Ci fu una strana mattina, in cui lo trovai nel bar dove facevo colazione ogni giorno, senza mai averlo visto. Penso che quel giorno ci fosse venuto proprio per aspettarmi, perché dopo convenevoli rapidi mi raccontò cose molto personali su cui voleva un mio parere. La distanza non c'era più. Ho capito allora che aveva una concezione dell'amicizia, della distanza e della prossimità del tutto personale e inconsueta. 

Nelle altre occasioni gli argomenti sono poi sempre stati meno personali, non ricordo di avergli visto sfuggire un pettegolezzo settoriale o una malignità settaria. Lo ringraziavo per i suoi manuali di cucina – genialmente utilissimi – ma dopo i primi due non ritenne di proseguire la collana. Lui mi parlava di iniziative come l'"A.Gen.Dis.: Associazione Genitori Disperati", sempre  nel tentativo di usare umorismo e cultura non pedante per togliere drammaticità a un'epoca di fisime e angosce malriposte, un'epoca capace di farci inventare categorie come quella di "genitorialità". Siete disperati con i vostri figli? Il rimedio c'è: giocarci assieme. Gli avevo suggerito di mostrare come il nome "Salani" corrispondesse a un modo alternativo di disporre le lettere di "l'ansia". Giochi, alfabeti, trasformazioni erano buoni punti di incontro, con lui.

 

In una giornata per me indimenticabile lui e Mariagrazia mi chiesero di presiedere il comitato per l'edizione italiana definitiva di Harry Potter e di lavorare fianco a fianco alla fenomenale Viola Cagninelli per la revisione della prima traduzione: un grande onore ma anche una delle occasioni di lavoro più belle e degne che mai mi siano capitate. Mi investirono di potere assoluto e davvero Luigi fece il gesto di inginocchiarsi per chiedermi di non cambiare il nome italiano di Albus Silente. In quegli anni di immersione nel mondo di J. K. Rowling vidi all'opera il metodo di Luigi: la lenta elaborazione, l'intuizione improvvisa, la verifica, la rinuncia e la ricapitolazione, la discussione, la decisione monocratica. E sempre quella distanza, percorsa rapidamente e poi rapidamente ripresa.

Saper scrivere, leggere, tradurre, avere sense of humour, conoscere bene almeno un paio di lingue, avere idee nuove, sapere quando smettere di insistere con un'iniziativa che non attecchisce, saper sorridere, saper cucinare anche cose semplicissime ma a regola d'arte, non abbattersi e comunque non sembrare mai abbattuti, saper suonare uno strumento, dipingere. Non ricordo di averlo mai sentito predicare una virtù: a lui bastava praticarle. 

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