MAXXI / Gio Ponti. Tutto al mondo deve essere coloratissimo
A differenza dei fasti e del battage mediatico che hanno contrassegnato le commemorazioni parigine, al MAD, in onore del quarantesimo anniversario della morte di Gio Ponti (1891-1979), quelle italiane si sono invece celebrate con toni meno enfatici, il che non significa che esse non siano state di pari interesse, soltanto più discrete e magari anche un po' più raffinate ed esclusive e di conseguenza meno popolari. Se ciò costituisca un motivo di merito, non saprei dire. Personalmente, per non tradire lo spirito didattico del maestro milanese, anzi, il suo anelito divulgativo dell'amore per la bellezza, io preferirei che il suo messaggio venisse sbandierato con clamore ai quattro venti, in modo da raggiungere tutti, così come faceva lui dalle pagine delle sue riviste e come han fatto anche i francesi. Ma tant'è. Le celebrazioni nostrane, le rassegne espositive, i convegni e gli eventi editoriali, anche se con meno grandeur, si sono però susseguiti per tutto il 2019, culminando nella mostra allestita al MAXXI di Roma, dedicata soprattutto alla sua architettura (visitabile fino al 13 aprile).
Per quanto concerne l'editoria, a marzo 2019, le edizioni milanesi Henry Beyle hanno dato alle stampe un piccolo libro-gioiello a tiratura limitata di 500 esemplari intitolato “Una scelta capricciosa non è mai di buon gusto. Sul collezionare”, (pp. 40, € 22), il cui testo, a firma di Gio Ponti, era apparso per la prima volta sul Corriere della sera il 19 settembre 1951, quotidiano con il quale il maestro aveva tenuto una collaborazione trentennale. Come recita il titolo, vi sono raccolti i suoi pensieri e i suoi consigli in tema di collezionismo, non scevri della benevola ironia che gli era propria. Così, ad esempio, egli scrive:
“Collezionare è una delle tradizioni e dei meriti più civili delle classi colte. L’umanità si circonda sempre di cose, poi cambia gusto e le butta via furiosamente per ricomprarne i pezzi superstiti trent’anni dopo al più caro prezzo, quando quelle cose prima amate poi dispregiate ritornano, attraverso spirituali nostalgie del gusto a incantarci come testimonianze storiche del costume di un’epoca."
Più rivolto alla formazione del nuovo gusto della borghesia, è invece, questo suggerimento:
“Raccogliete cose moderne e cose antiche. Ambienti veramente moderni, cioè appartenenti alla cultura (civiltà) attuale debbono ospitare opere e oggetti (e mobili) antichi e moderni, perché tutto è simultaneo nella nostra cultura e sensibilità. Come alla nostra cultura e civiltà musicale appartengono simultaneamente Mozart e Stravinskij (e un fatto di cultura e civiltà non può esistere che così), come alla nostra cultura moderna appartengo letteratura antica e d’oggi), così alla nostra civiltà debbono appartenere, in simultaneità di godimento (cioè di presenza), mobili e oggetti antichi, mobili e oggetti moderni."
Ma quello autenticamente pontiano, perché maggiormente in linea con l‘educazione alla bellezza della modernità che ha caratterizzato tutta la sua azione proselitistica è il seguente consiglio:
“Il collezionismo dell’antico non ha bisogno di incoraggiamenti, io incoraggio, invece, il collezionismo più arduo, quello del moderno: perché ciò rende più puntuale la cultura, più vivente e fraterna la civiltà e la umana società. Vi fa conoscere da vicino degli uomini vivi, oltre che delle cose.”
Chissà se Ponti si sarebbe mai immaginato che questo suo auspicio sarebbe stato premonitore di un radicale rovesciamento degli orientamenti di campo dei collezionisti, verificatosi nei successivi settant'anni, che li ha portati a propendere per il moderno, e soprattutto proprio per quello degli oggetti pontiani, a discapito dell'antico. Sicuramente ne sarebbe stato compiaciuto, e doppiamente anche, per l'inverarsi del suo auspicio e per il successo personale riscontrato dai suoi progetti di design che nelle aste internazionali raggiungono oggi quotazioni in crescita esponenziale.
Già negli anni scorsi, il medesimo, stendhaliano, editore aveva pubblicato altri libri di Gio Ponti, sempre a tiratura limitata di 500 copie. Precisamente: nel 2013, Tutto al mondo deve essere coloratissimo, che ripropone un articolo da lui scritto nel 1952 per la rivista Pirelli; nel 2015, Divagazioni sulle terrazze, uscito nella collana Piccola biblioteca dei luoghi letterari, che raccoglie alcuni esempi di sue famose terrazze progettate a Milano; nel 2017, Otto idee per un appartamento, che seleziona, otto suggerimenti tratti da suoi testi usciti su Domus, nella fattispecie: Carattere; Utilità; Facilità; Civiltà; Salubrità; Felicità; Gusto; Riposo. Si tratta di piccoli libri, raffinati e preziosi, che hanno tutti i crismi per essere considerati eredi delle mitiche edizioni All'Insegna del Pesce d'oro, la storica collana editoriale fondata nel 1936, a Milano, da Giovanni Scheiwiller e poi condotta alla popolarità da suo figlio Vanni.
Ad ottobre, ha finalmente visto la luce l’attesissimo catalogo completo delle opere di Gio Ponti conservate al Museo Richard Ginori di Doccia di Sesto Fiorentino (AA. VV., Gio Ponti. La collezione del Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, Maretti Editore; pp. 544, € 122,00). Stilato consultando il carteggio e la documentazione conservata presso l'archivio del medesimo museo, presenta per la prima volta il corretto ordinamento cronologico del corpus delle ceramiche progettate da Ponti per la Manifattura di Doccia, della quale era stato direttore artistico dal 1923 al 1933.
In quel di Como, poi, a dicembre, per i tipi di Nodo Libri, è stato ripubblicato Lettere ai Parisi, a cura di Paolo Donà (pp. 60, € 15.00), che raccoglie l'epistolario Ponti-Parisi (si ricordi che Luisa, la moglie di Ico, fu una delle migliori allieve di Gio Ponti). Il libro contiene "il più significativo epistolario che Ponti tenne con la famiglia Parisi: in queste lettere il testo quasi non esiste, il pensiero è disegnato e la parola diventa segno grafico."
Le celebrazioni nostrane in onore di Gio Ponti si erano però intensificare in aprile, durante la design-week milanese, in concomitanza con il 59° Salone Internazionale del Mobile. Sebbene si sia trattato soprattutto di eventi espositivi a spiccato carattere merceologico, sono stati tutti piuttosto pregevoli, visto l'elevato interesse da parte del pubblico internazionale per gli oggetti di design progettati dal maestro, a partire dalla piastrella 4 volte curva, che pare una tesserina di un puzzle, rimessa in produzione da Marazzi, per la quale azienda il nostro l'aveva ideata (con Alberto Rosselli) nel 1960, in occasione della XII Triennale.
Dispiace, invece, che i luoghi espositivi istituzionali milanesi, ed in primis proprio Triennale, sede deputata alla ricerca e alla riflessione sullo ieri e sul domani del design e della cultura del progetto, lo abbiano del tutto ignorato. E neppure una mostra piccola gli è stata dedicata dal suo Politecnico, a cui ha dato così tanto. Ma, si sa: Nemo propheta in patria, e il detto non è stato purtroppo smentito neppure per il mitico Ponti.
A celebrarne l’amore per l’architettura, ci ha invece pensato Roma, che al MAXXI ospita la mostra dal titolo: Gio Ponti. Amare l’architettura, a cura di Maristella Casciato, Fulvio Irace, con Margherita Guccione, Salvatore Licitra, Francesca Zanella, Il catalogo (Forma Edizioni, pp. 330; € 42,00), oltre a quelli dei curatori, contiene i contributi critici di molti altri studiosi che indagano e approfondiscono i temi dell'universo pontiano, come, ad esempio, quello di Domitilla Dardi, di Manolo De Giorgi, di Elena Dellapiana, di Manfredo Nicolis di Robilant, di Anat Falbel (Brasile), di Farhan Karim (Pakistan), di Réjean Legault (Canada), di Jorge F. Rivas Pérez (Venezuela) e di molti altri ancora.
Nella mostra, le architetture del maestro sono ordinare entro griglie tematiche che il catalogo amplia: Verso la casa esatta; Abitare la natura; Classicismi; Architettura della superficie; l'architettura è un cristallo; Facciate leggere; Apparizioni di grattacieli; Lo spettacolo delle città; Sguardi contemporanei.
Tuttavia, al contrario della rassegna parigina, opulenta, fastosa e festosa e, in buona sostanza, popolare, questa romana è più essenziale, intellettuale e sobria, dunque, per logica conseguenza, destinata ai pochi eletti che hanno una qualche dimestichezza con la disciplina in oggetto. Inoltre, mentre quella del MAD era una mostra 'chiassosa', vuoi per gli “oh di meraviglia” che risuonavano ad ogni piè sospinto e per l'intrecciarsi con essi delle esclamazioni entusiastiche del numeroso pubblico che la visitava ogni giorno, composto anche da gente comune e persino da scolaresche, vuoi per l'acceso cromatismo, assolutamente pontiano, che la connotava, generatore di musicalità, questa romana, quasi monocroma, è invece dominata dal silenzio, rotto soltanto dalla voce del maestro che fuoriesce dai monitor che trasmettono incessantemente video con interviste da lui rilasciate in varie occasioni della propria vita. Per il resto, tutto tace. L'ambiente che la ospita, quello magnifico, al terzo piano del MAXXI, inondato di luce, è abitato soltanto dalle maquettes, dai disegni (stupendi!) e da rari oggetti, dei pur innumerevoli progettati dall'architetto milanese, padre e maestro di tutti i futuri designer, meneghini e non. Pochi i passi che vi risuonavano, quando io l'ho visitata; oltre ai miei, solo quelli degli steward e di qualche raro studente di architettura, riconoscibile dal look e dal suo soffermarsi ad osservare con occhio attento, se pure interrogativo, il materiale esposto. Nessuna nota esplicativa, ma asciutte didascalie, utili agli addetti ma insufficienti ai più. Di fatto anche questa rassegna soggiace alla nuova moda, tutta italiana, inerente l’esporre, che tende a delegare al catalogo (in genere ponderoso come lo è anche questo di Ponti, quindi da consultare comodamente seduti, magari a casa propria e non certo 'stanti' davanti alle opere) ogni contributo scientifico, eludendo, a mio avviso, il significato intrinseco al verbo “mostrare” che connota e denota l’evento verso cui il pubblico accorre, curioso e desideroso di apprendere dalla 'chiave di lettura' da esso proposta.
Ad ogni modo, il momento clou della mia visita è stato quando, stagliantesi contro la finestra vetrata diagonale di Zaha Hadid, ho visto svettare la maquette del grattacielo Pirelli: "l'architettura è un cristallo", ho subito pensato con commozione ricordando le parole del maestro. E mai incontro fra titani dell'architettura mi è parso più sublime come quello tra la giovane Zaha e il vecchio Gio, così diversi, eppure così simili nel profondo, per il loro modo di usare le trasparenze e di trattare le superfici, di rendere osmotici l'interno con l'esterno, per la loro aspirazione alla "forma chiusa", per la loro comune capacità di procedere per invenzioni e per il loro saper trasformare la tecnologia in poesia. Le avrei anche pronunciate ad alta voce, quelle parole, pronta a completare la citazione: "L'architettura pura è un cristallo; quando è pura è pura come un cristallo, magica, chiusa, esclusiva, autonoma, incontaminata, incorrotta, assoluta, definitiva come un cristallo. [...] Può essere un cubo, un parallelepipedo, una piramide, un obelisco, una torre: insomma tutte forme", se soltanto ci fossero state orecchie ad ascoltarle e avrei poi voluto concludere con un altro bell'aforisma pontiano: "Tutto al mondo deve essere coloratissimo". Parbleu! Ma il blu di Ponti, ça va sans dire.