I 150 anni di Alfred Jarry, patafisico

8 Settembre 2023

L’8 settembre di ogni anno si celebra il giorno nativo di Alfred Jarry, venuto al mondo nella cittadina bretone di Laval nel 1873. È un giorno di un certo rilievo per la storia della letteratura francese e delle avanguardie: senza Jarry non avrebbero avuto lo stesso volto il futurismo (scrivendo Roi Bombance Marinetti s’ispirò a Ubu re), il dadaismo (che molto deve al selvaggio anarchismo di Ubu) e il surrealismo (di cui Jarry è considerato, assieme a Lautréamont e Roussel, un anticipatore). Che le cose stiano così, che la Francia della Belle époque e della borghesia ricca e appagata sia stata focolare originario delle avanguardie europee, ce lo ha ben raccontato Roger Shattuck in Gli anni del banchetto. Per adempiere la missione, Jarry menò un’esistenza infine un po’ troppo carica di aneddoti, ma vieppiù amalgamata alla sua arte, la scrittura. Nell’Antologia dell’umor nero, Breton la disse giusta: «La distinzione tra arte e vita, per tanto tempo considerata necessaria, a partire da Jarry è sottoposta a confutazione, e infine soppressa».

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Ubu re in una xilografia destinata alla rivista «Perhinderion», poi non pubblicata.

In una decina d’anni produsse un’opera ampia e stilisticamente ardua, adatta per iniziati o per mattoidi; sette romanzi, note critiche, una raccolta di poesie, testi teatrali. Inventò anche la ’Patafisica (termine obbligatoriamente maiuscolo e apostrofato), cosmo paradossale sgorgato da una duplice ideazione: Ubu re che, nel 1896, assurse a pietra miliare del teatro dell’assurdo e lanciò la linea dissacrante nei riguardi del potere, e Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico, opera pubblicata postuma nel 1911, tentativo di sistemazione organica del Jarry-pensiero e demistificazione dell’ottimismo positivista.

Per i patafisici l’8 settembre è un giorno speciale: si festeggia il compleanno del fondatore della scienza delle soluzioni immaginarie – la ’Patafisica appunto – ma al contempo l’inizio del nuovo anno dello specifico calendario istituito dal parigino College de ’Pataphysique, computo del tempo inaugurato dal giorno 1 del mese Assoluto, volgarmente l’8 settembre, giorno in cui quest’anno – il 2023 dell’era gregoriana – si origina il 151 dell’era patafisica.

Ora, l’affermazione «fondatore della scienza delle soluzioni immaginarie» non è del tutto corretta: Jarry è consustanziale alla ’Patafisica, che però non va confusa con la sua persona. Più che fondarla, Jarry è dentro la ’Patafisica, che non è un avvenimento storico, ma una brezza che rinfresca la vicenda umana e che precede di secoli la nascita del termine. È stato infatti ben rilevato che esistono non pochi ‘patacessori’, cioè figure storiche che hanno realizzato qualcosa di marcatamente patafisico prima che apparisse il termine: Zenone di Elea con il suo paradosso di Achille e la tartaruga, Leonardo inventore di marchingegni, Rabelais con i suoi elenchi di sberleffi anticlericali, Swift che lancia la Modesta proposta per combattere la fame mangiando bambini (pura soluzione immaginaria di un problema reale), Carroll con la memorabile Alice che scopre cosa sta oltre lo specchio e il Conte di Lautréamont che nei Canti di Maldoror celebra le nozze tra meccanica e libidine.

A Jarry va il merito di aver manifestato al mondo la ’Patafisica mediante due volti contrari: il personaggio radicalmente negativo di Ubu Re e quello relativamente positivo di Faustroll. Ed è proprio nel capitolo ottavo del Faustroll che cade la più precisa definizione di una scienza che in base al suo lampante etimo (epi meta ta phisika) si estende oltre la metafisica quanto questa si estende oltre la fisica. Ora, tutti prima o poi nella vita pronunciano la parola “patafisica”, ma cosa sia nessun lo sa, e tento allora di riassumerne il tratto basilare: è la scienza che non si occupa delle regole ma studia viceversa l’universo delle eccezioni, delle anomalie, dei paradossi, dei “fatti individuali”. Trattandosi però di eccezioni non eccezionali, la ’Patafisica non fa che studiare il tutto: è dunque una scienza illimitata, che compenetra ogni branca dello scibile: è in altri termini la Scienza Suprema. Se poi preferiamo una definizione meramente divulgativa, allora può bastare quella snocciolata da Perec: «Tu hai un fratello, e lui ama il formaggio: ecco la fisica. Se tu avessi un fratello, lui amerebbe il formaggio: ecco la metafisica. Tu non hai un fratello, ma lui ama il formaggio: ecco la ’Patafisica».

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«La grande Chasublerie» in rue Cassette 7 a Parigi ai primi del Novecento: il bilocale abitato da Jarry era quello delle mezze finestre sormontanti il secondo piano.

E tutto questo sopraggiunse grazie a Jarry, fragile individuo aduso all’assenzio e morto trentaquattrenne, l’1 novembre 1907, di meningite. Viveva a Parigi in un bi-locale ricavato dallo sdoppiamento orizzontale di un piano troppo alto in rue Cassette 7: lui stava naturalmente nella parte superiore più bassa. La porta era piccolissima e quando veniva aperta sbatteva sul petto del visitatore; il soffitto incombeva e bisognava vivere seduti, perché in piedi la testa vi sfregava. Jarry dormiva su un letto privo di gambe e scriveva disteso. Aveva pomposamente battezzato quelle camere «La grande chasublerie», perché al secondo piano del palazzo c’era un chasublier, sarto specializzato nel ricamo di abiti e paramenti sacri. Ancora pomposamente chiamò «Tripode» la baracca di legno edificata nel 1905 su un fazzoletto di terra lungo la Senna, nei pressi della chiusa di Coudray-Montceaux: vi passava settimane a pescare e a praticare ginnastica vogatoria con una logora canoa. E lungo un’esistenza dai lati singolari, Jarry scriveva opere in cui il simbolismo letterario del secondo Ottocento si coniugava con l’assurdo e il grottesco, soprattutto: Cesare Anticristo, il citato Ubu re (con le varie proiezioni del ciclo: Ubu incatenato; Ubu cornuto; Ubu sulla collina; Almanacco illustrato di padre Ubu), I giorni e le notti, L’amore in visita, Messalina, Il supermaschio. Hanno avuto traduzioni italiane, anche più d’una, ma Jarry resta autore poco letto: pochi sono anzi gli esempi di così flagrante sproporzione tra la mitizzazione del personaggio e la generale indifferenza verso la sua opera, se si escludono sporadiche messe in scena di Ubu re.

Il «Tripode», baracca di legno edificata nel 1905 da Jarry lungo la Senna, nei pressi della chiusa di Coudray-Montceaux.

Esser giudicato autore illeggibile ne è una delle cause. Ai primi del 1907 Léautaud incontrò Jarry e la sera annotò nel suo scrupoloso Journal littéraire: «Malato, guastato dalle privazioni, l’alcoolismo e la masturbazione, incapace di guadagnarsi la vita in alcun modo, né con un impiego né con una collaborazione qualsiasi a un giornale. Era stato preso due-tre anni fa al “Figaro”. Non faceva niente, e quel che faceva era illeggibile». Dopo la scomparsa, il manoscritto del Faustroll giacque da Alfred Vallette, direttore del «Mercure», che trovava impossibile pubblicarlo, dato che era «come tutto ciò che scriveva Jarry: a dir poco illeggibile, a forza di oscurità».

Stante la difficoltà di assumerlo per via letteraria, si può tentare di farlo per via biografica, essendo la sua vita ricca di bizzarre reputazioni, non ultime quelle di impostore e fallito. La prima accusa deriva da un fatto biografico: c’era al liceo di Rennes – città in cui Jarry s’era trasferito adolescente – un professore di nome Hébert che gli studenti prendevano in giro con il nomignolo di Père Heb, uno dei tanti di cui il professore – che immaginiamo ometto buono e indifeso – era fatto bersaglio, e attorno alla sua figura era stato addirittura creato un poema beffardo; Jarry non fece che ritoccare quel testo collettivo per una rappresentazione di marionette dapprima in casa di un compagno e poi nel granaio di casa sua. Era il 1888 e quello fu il varo primordiale di Ubu re, ben prima che l’esclamazione «Merdre!» fosse sputata sul pubblico il 10 dicembre 1896 al Nuovo Teatro di rue Blanche a Parigi tra fischi, urla e applausi: uno scandalo – quella prima secca battuta – che diede a Jarry una fama inattesa e stabilì il successo di una commedia fatta di niente: uno sfogo libero e anarchico, la provocazione illimitata di un personaggio a mezza via tra Pulcinella e Gargantua. 

Jarry era poi diventato – dopo una gioventù goduta grazie a una piccola rendita di famiglia – povero in canna, e i suoi problemi finanziari si accumularono negli anni. Grazie a prestiti amichevoli riuscì a conservare la tana di rue Cassette: assillato dai creditori, dovette lasciarla per qualche tempo e andò a dormire in un vagone della stazione di Saint-Lazare. Nonostante ciò, continuò a nutrire assoluta indifferenza per il danaro – che scialacquava senza riguardo – e per la salute: alla fine del 1907 si delinearono in poco tempo le condizioni della dipartita.

Il 26 ottobre scrisse la sua ultima lettera: indirizzata a Thadée Natanson, scrittore e primo marito di Misia Sert, vi riconosceva di essere «ancora inchiodato alla camera per qualche tempo», ma scorgeva davanti a sé il cammino di una «guarigione definitiva», il tutto scritto a pochi giorni dalla morte. La mattina del 29 ottobre Vallette e il dottor Saltas, medico e buon conoscente di Jarry, andarono a trovarlo: era in stato di incoscienza e semiparalizzato, riverso sul materasso. Lo fecero trasportare alla Charité, dove si spense tre giorni dopo. Nel letto d’ospedale non aveva fatto che ripetere a cantilena «io cerco, io cerco, io cerco». Poco prima di spirare Saltas gli aveva chiesto se aveva bisogno di qualcosa e lui aveva avuto la forza di chiedere uno stuzzicadenti: il suo volto s’era illuminato all’arrivo di un’intera scatoletta. Da quel momento lo stuzzicadenti è entrato – assieme alla candela verde e alla giduglia ventrale, la linea elicoidale che Ubu porta sul pancione – nella sacra simbologia patafisica.

In copertina: Jarry in una celebre incisione di Félix Vallotton.

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