I sentieri degli scrittori. Mario Rigoni Stern e il Gran Paradiso
Mario Rigoni Stern, nato e cresciuto ad Asiago, nell’altipiano dei Sette Comuni, inizia il corso per alpino «aspirante specializzato sciatore rocciatore» il 1° dicembre 1938, presso la Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta. Ha compiuto da poco 17 anni. Seguono giorni di addestramento severo, tra le caserme della città e il castello della Scuola militare, nella palestra di roccia realizzata seguendo le indicazioni di Emilio Comici. Le reclute sono istruite da due sergenti di grande competenza alpinistica e sciistica, Gigi Panei e Giacomo Chiara. Quest’ultimo, nel luglio del 1939, conquisterà il Ciarforon per la direttissima della parete Nord-Ovest. Dopo un periodo di addestramento nel gelo invernale della Val Formazza, iniziano un raid sci- alpinistico attraverso le montagne della Valle d’Aosta. A fine maggio, ormai caporale, gli viene ordinato di raggiungere con la sua compagnia la valle di Cogne; si accampano nella frazione di Lillaz, a 1.660 metri, non lontano dalle cascate, tra le più belle dell’arco alpino.
Tentano di salire la Punta d’Ondezana, 3.492 metri, 1.600 di dislivello dal loro accampamento, ma poco prima della vetta il vento, la temperatura elevata e il conseguente rischio valanghe li convincono a rientrare. Nei giorni successivi salgono i ghiacciai che sovrastano la Valeille e sul Grand Saint Pierre, a 3.700 metri. Il contrasto tra la neve delle alte cime e il verde brillante delle valli di Cogne rende memorabile ognuno di quei giorni. Il mormorio del torrente Urtier, le distese di boschi, la sagoma delle vette contro il cielo azzurro, tutto lascia in lui un senso di meraviglia. Sulla destra idrografica delle cascate, una grande e alta parete di roccia consente di addestrarsi nell’arte dell’arrampicata. La roccia non pare troppo verticale, e alcuni anni fa mi ha invogliato a salirla, ho capito tardi che non era facilissima…
Dopo ogni giornata di lunghe escursioni per sentieri alti e tra i ghiacciai o di esercizi di arrampicata, seduto davanti alla tenda, Mario scrive lettere o legge. Nello zaino porta due libri, in edizione tascabile: la Divina Commedia e Primavera e fiore della lirica italiana. Prova fitte di nostalgia per il suo altipiano, per gli amici e soprattutto per una ragazza, ma in quel mondo di boschi verde cupo e di vette scintillanti si sente felice.
Divenuto caporalmaggiore dal 1° luglio, Mario prosegue con esercitazioni tanto esaltanti quanto a volte pericolose. I plotoni sono invitati a svolgere gare di velocità e di orientamento su ghiacciai e montagne; a volte bivaccano ad alta quota, e le stelle, nelle notti senza nuvole, gli sembrano vicinissime.
Lasciando Cogne alle spalle e percorrendo la Valnontey, si arriva davanti all’imponente massiccio del Gran Paradiso. Gli alpini risalgono la valle, percorrono il ghiacciaio della Tribolazione, si accampano lassù per la notte e al mattino proseguono le manovre previste dall’esercitazione. Al ritorno, mentre scendono lungo il ghiacciaio della Roccia Viva, Mario non si accorge che gli alpini dietro di lui si sono fermati e, scendendo, tira la corda facendone scivolare uno, che si trascina dietro gli altri. Gli passa davanti un vortice di gambe, braccia, zaini e piccozze; lui non riesce a trattenerli con la corda e scivola dietro a loro, tutti insieme verso i crepacci della parte terminale del ghiacciaio. Un avvallamento per fortuna rallenta la discesa, e lui ne approfitta per piantare la piccozza e avvolgerle la corda intorno. Dopo un gran contraccolpo, si fermano: sono tutti malconci e sanguinanti, con le mani ferite dai ramponi dei compagni, ma sono vivi.
Nei giorni successivi, salgono in cima alla Tresenta, al Ciarforon, al Gran Paradiso e soprattutto alla montagna che a Mario più resterà cara nel ricordo, la Grivola. Dormono nei rifugi, al Vittorio Emanuele II e al Vittorio Sella, nelle baite degli alpeggi di Levionaz superiore. Sono rimaste alcune foto di quelle imprese, quasi tutte scattate dal sottotenente Celestino Giuntoli e ora custodite presso l’archivio Mario Rigoni Stern, dal 2020 a cura del Comune di Asiago: Mario e gli altri ragazzi hanno i volti bruciati dal sole, tirati dalla stanchezza ma sorridenti.
Tutte le scalate sono poi raccontate nelle lettere che scrive agli amici di Asiago. Alcune appaiono spavalde ed esuberanti, altre riportano malinconiche delusioni sentimentali, qualcuna sorprende per l’abilità descrittiva, lasciando intravedere il futuro scrittore, come il recit d’ascension della scalata alla Grivola. Sotto quella cima, alle prime luci dell’alba, ammira le corse degli stambecchi attraverso il ghiacciaio del Trajo, poi scala con gli altri le pareti di roccia, sempre più in alto, con le brocche degli scarponi che fanno scintille sbattendo contro il granito.
“Salire il Gran Paradiso non è poi una gran cosa. È molto alto, sì; e portare lassù mitraglie e mortai (come ha fatto il mio plotone), non è cosa di tutti i giorni. Ma invece vi voglio dire della Grivola, che è molto di più del Gran Paradiso. Siamo partiti dal rifugio Vittorio Emanuele II la mattina del 6. Attraversato il ghiacciaio del Gran Paradiso, il colle del Grand Neyron, il ghiacciaio dell’Herbetet ci siamo portati alle balme di Levionaz. Lì abbiamo riposato e pernottato.
All’una di notte siamo ripartiti, una corda ogni tre, picozze, ramponi, chiodi e moschettoni e viveri. La compagnia camminava sotto la luna in silenzio assoluto. Solo si sentiva il tintinnare degli attrezzi per la scalata. All’alba siamo sul colle delle Rayes Noires. Il sole stava sorgendo dal Monte Rosa: tutte rosse erano le nubi sopra il sole, le nevi e i ghiacciai del Monte Rosa sembravano in fuoco. Giù nelle valli profonde era ancora buio, mentre sopra il cielo era di un turchino intenso. Il gruppo del Gran Paradiso era lì così nitido che sembrava poterne scrutare le profondità dei ghiacciai eterni attorno le Alpi, tutte dal Cervino alle Marittime chiare e solenni come non mai; e giù verso la pianura era tutto coperto di nubi che riflettevano il cielo turchinissimo e i raggi rossi del sole. Sembrava un mare in burrasca. Lì passo un altro colle, un ghiacciaio e alle 6 si era sotto la parete della Grivola. Era lì arcigna, quasi a picco. Sembrava impossibile salire lassù! Le prime cordate incominciano lentamente la salita, si passa un canalone, un passaggio di roccia”. Infine la vetta, sguardi persi verso orizzonti senza fine, cime lontane che affiorano come isole in un mare di nuvole, in tutti una stanchezza libera e felice.
Nessuno pensa all’ombra della guerra che in quei mesi minaccia l’Europa, quei ragazzi finiranno tutti a combattere sui fronti delle Alpi Occidentali, dell’Albania e di Russia. Pochi torneranno “a baita”.
Quando, molti anni dopo, Mario Rigoni Stern e Primo Levi diverranno amici, scopriranno di aver amato e salito entrambi da giovani le montagne del Gran Paradiso, dalla valle di Cogne a quella di Rhêmes, da Degioz ai Piani del Nivolet, da Champorcher alla Val Soana. Mario li ricorderà in L’ultima partita a carte e in Amore di confine; Primo soprattutto in Ferro, il più bel racconto di montagna del nostro Novecento.
In copertina, Mario Rigoni Stern davanti al rifugio Sella, nella valle di Cogne. Gennaio 1939. Archivio famiglia Mario Rigoni Stern.
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