I nostri antenati? Sparta e Atene / Il nazismo e l'antichità

4 Agosto 2017

Mostrate a un ragazzino qualunque una svastica: senza esitare, dirà “Hitler” o “nazismo”, insomma riconoscerà il simbolo, magari senza sapere esattamente che cosa accadde ottant’anni fa. La cosa ci sembra ovvia, ma non lo è. Se a distanza di tanti decenni la croce uncinata è ancora così facilmente identificabile, è perché essa si è impressa come un marchio nella memoria collettiva. Ma se tutti associano immediatamente nazismo e svastica, pochi invece sanno che essa fu solo il dettaglio più appariscente di una grandiosa revisione della preistoria e della storia europee condotta nella Germania di inizio Novecento. Ben presto, infatti, i nazisti compresero che il loro progetto sul futuro della Germania sarebbe stato tanto più convincente se si fosse fondato su una totale revisione del passato.

Non si trattò di offrirne una nuova lettura o di riproporne alcune pagine; tutta la mitologia germanica e la grande storia medioevale tedesca erano a disposizione, ma non bastavano. L’obiettivo era quello di capovolgere la storia europea e, nello stesso tempo, rappresentare la Germania come la nazione cui toccavano il diritto e il dovere di guidare per secoli l’intero continente.

 

È un processo estremamente complesso che viene ora minuziosamente ricostruitoda Johann Chapoutot in Il nazismo e l’Antichità (trad. di Valeria Zini, Einaudi, 523 pp.); lo studioso ha sistematicamente passato in rassegna gli strumenti usati per anni dal regime nazista (discorsi ufficiali, riviste, opuscoli di propaganda, libri, manuali scolastici) e ha ricostruito uno scenario per molti versi inatteso.

 

La tesi rivoluzionaria era questa: le grandi civiltà erano nate in Oriente, ma – al contrario di quanto si era pensato fino ad allora – grazie all’apporto di genti provenienti dal Settentrione, dunque non in virtù delle popolazioni locali. La culla di tutte le grandi culture, insomma, era il Nord. Da qui – in particolare dalla Germania – si erano mossi i popoli che avrebbero fecondato altre terre più a sud, l’India, la Grecia e Roma. Una storia del mondo come storia delle razze e, conseguentemente, dei conflitti tra esse. Era il fascino di una spiegazione totale, di una sorta di teorema dei teoremi in grado di spiegare il presente alla luce del passato e in grado di prospettare un avvenire radicalmente nuovo.

“Gli scrittori dell’antichità hanno chiamato il Nord dell’Europa la matrice dei popoli (vagina nationum)”; così si esprimeva l’ideologo per eccellenza della teoria nordicista, Hans Günther, che già nel 1922 aveva scritto Razziologia del popolo tedesco; il “papa del razzismo scientifico”, il propugnatore del più rigoroso nordicismo, finì per ottenereuna cattedra a Jena (in cui insegnava appunto razziologia). Erano le sue teorie a convincere gli Himmler e i Rosenberg, l’ambito delle SS. Fu Himmler, infatti, a fondare la Deutsches Ahnenerbe, l’istituto che doveva occuparsi appunto di recuperare l’“eredità degli antenati”.

 

È proprio in Cerchio e croce (1938), una pubblicazione della Ahnenerbe, che lo storico Werner Müller studia la presenza della croce uncinata presso le popolazioni italiche e germaniche, evidenziandone la simbologia cosmica e il legame con il culto solare.

 

 

Almeno in un primo momento, Himmler e le SS, protesi com’erano ad esaltare la germanità, si concentrarono sulla ricerca delle tracce materiali dei popoli che erano vissuti sul territorio tedesco, promuovendo scavi e studi che venivano pubblicati sulla loro rivista, “Das Schwarze Korps”. Senonché, da queste ricerche uscivano oggetti per niente stupefacenti e saltava agli occhi la differenza rispetto a ciò che l’archeologia offriva nelle aree meridionali dell’Europa. Anche per questa ragione, la posizione di Hitler era differente; era facile notare – sosteneva il Führer – che i popoli rimasti “fermi nell’Holstein, dopo duemila anni erano ancora a uno stato spregevole, mentre i loro fratelli emigrati in Grecia salirono verso la civiltà”.

 

Ma anche per questo c’era una spiegazione che si rifaceva a ragionamenti già degli Illuministi: il clima. Solo una volta scesi più a sud, in un contesto climatico più favorevole, i popoli del Nord avevano potuto sviluppare compiutamente la propria energia creatrice.

 

Ecco perché Hitler guardava alle ricerche di Himmler con un certo dispetto, come davanti a un’idea folkloristica: “siamo dei nazionalsocialistie non abbiamo nulla in comune con l’idea völklisch […] né con il kitsch völklisch piccolo borghese, o con le barbe folte e i capelli lunghi. Tutti noi ci siamo tagliati i capelli cortissimi”. In una conversazione privata era addirittura arrivato a dire: “Quando ci chiedono chi sono i nostri antenati, dobbiamo sempre rispondere: i greci”.

 

Ecco il luogo dell’origine per eccellenza, l’apice della grandezza del Nord: Atene e – ancora più – Sparta, insomma la Grecia. Roma, per i nazisti, era un punto di riferimento più problematico: la città aveva espresso pienamente l’idea di impero, ma era stata anche il luogo di pericolose mescolanze razziali. Senza esitazioni, un gerarca del peso di Alfred Rosenberg, arrivava a proclamare che “il sogno dell’umanità nordica si è realizzato nella forma più bella nella Grecia antica”. L’antichità classica diviene oggetto di una vera e propria annessione.

 

Le conseguenze sono paradossali, tanto che la casistica raccolta da Chapoutot sarebbe esilarante, se non fosse tragica. In un discorso Günther sostiene che “Penelope è una figura nordica del VII secolo avanti Cristo”; in un suo testo la didascalia della statua di Sofocle (la copia romana di un originale greco oggi ai Musei Vaticani) recita testualmente: “Sofocle. Nordico”. In un opuscolo delle SS si legge che “il tempio greco si è sviluppato, attraverso ingrandimenti e perfezionamenti, a partire dalla casa germanica”. Sulla rivista “Germanien” appare un articolo dal titolo La porta dei leoni di Micene, un simbolo culturale nordico. In un manuale scolastico, un capitolo è dedicato all’“arte greca sotto Pericle: l’opera della creatività nordica”.

 

Uno degli episodi più impressionanti è quello delle Giornate dell’arte tedesca di Monaco (dal 1933), città – osserva giustamente Chapoutot – in cui si erano messe in luce le avanguardie di inizio secolo. Nelle strade di Monaco, tra croci uncinate e aquile romane, sfilarono anche riproduzioni di capolavori greci. Si possono aggungere alcune precisazioni alle pagine di Chapoutot: la statua di Atena era una ricostruzione dell’Atena Parthenos che Fidia aveva scolpito per il Partenone; un’altra statua era una copia del Torso del Belvedere, un’opera di età ellenistica dei Musei Vaticani, firmata da Apollonio di Nestore. I filmati amatoriali a colori disponibili oggi sul web (1; 2; 3) rendono bene l’impressionante nazi-kitsch delle Giornate del 1937, 1938, 1939: un antico tanto posticcio, quanto patinato si mescola al medioevo di paggi, damigelle e cavalieri, in uno sventolare di bandiere con la croce uncinata.

 

 

 

Ma l’episodio più stupefacente riguarda un Himmler finalmente convertito del tutto alla causa greca. Nel 1942 fece selezionare alcuni bambini tedeschi dotati di un naso “greco” con lo scopo di destinarli, una volta cresciuti, a uno speciale battaglione delle SS. “Himmler – dice Chapoutot – novello Filippo o novello Epaminonda, auspica dunque di ricostituire una forma di falange macedone o di Battaglione d’oro tebano a fini di sperimentazione razziale in vivo”.

 

Dopo questa sorprendente battaglia propagandistica, il passaggio alle armi diventa quasi un’ovvietà. Quando nel 1941 le truppe tedesche entrano nell’Attica (attraverso il passo delle Termopili!) il quotidiano del partito nazista proclama: “il cerchio della storia universale è chiuso”. Leonida aveva resistito agli invasori, adesso i tedeschi – i nuovi greci – respingono gli inglesi dal suolo dell’Attica. Le bandiere con la svastica sventolano sull’acropoli come se si trattasse di una seconda, antica patria.

 

 

Secondo Chapoutot, quello messo in atto dal nazismo nei confronti dell’antichità fu lo schema annessione-imitazione-analogia. Insomma, non si trattò affatto di una superficiale operazione di cosmesi: l’idea nordicista penetrò nella cultura tedesca a tutti i livelli e, connessa a questa, la visione della Grecia come modello supremo per ogni aspetto della vita politica. È il momento in cui si recupera, per forza travisandola, quella fascinazione per la Grecia che aveva attraversato la cultura tedesca del secondo Settecento e del secolo precedente; una fascinazione iniziata con Winckelmann, che nel 1755 aveva affermato: “L’unica via per noi di divenire grandi, anzi, se possibile, inimitabili, è l’imitazione degli antichi”.

 

 

La punta filosofica di questo nuovo sguardo sulla Grecia fu Martin Heidegger; il suo discorso inaugurale come rettore fu l’occasione per una serie di riflessioni sul rapporto tra teoria e prassi nel pensiero e nell’azione politica della Grecia antica; là il sapere, affermò Heidegger, era “il punto mediano che intona intimamente l’intero Dasein del popolo e dello Stato”.

 

Una pagina importante di questa fascinazione fu la riscoperta del corpo greco. Recita un opuscolo del partito nazista: “Che i greci fossero di origine nordica è abbastanza evidente dalle loro sculture. Le figure di dèi che hanno fissato nella pietra esprimono nel loro corpo, nella forma del cranio, nell’espressione del volto e nei loro tratti questa ascendenza nordica”. Il momento cruciale coincise, naturalmente, con i Giochi olimpici del 1936: “concepiti – spiega Chapoutot – come il grande teatro della bellezza nordica, i giochi sono stati la vetrina internazionale del regime, una parata della razza, la parusia di un corpo glorioso e di un nuovo tipo d’uomo”. Il film girato da Leni Riefenstahl, Olympia, rimane uno dei documenti più eloquenti del rapporto tra nazismo e antichità classica e dell’infatuazione per il corpo greco.

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