Intorno alla gentilezza. Zambrano e Lezama Lima
In Maria Zambrano-José Lezama Lima. Corrispondenza, a cura di Alessandra Riccio, pubblicato nel 2023 dalle Edizioni degli animali, emerge da ogni pagina la gentilezza come qualità segreta dell’anima: una trasparente delicatezza del dire, uno stile, non cerimoniale ma lirico, a volte smarrito nel “tu”, a volte più formale nel “lei”, che percorre tutto il libro e accomuna lo scrittore cubano e la filosofa spagnola, nel loro epistolario di amicizia e letteratura. L’eros che percorre il volume è l’eros della passione condivisa per la bellezza, della confessione spirituale, del dettaglio biografico, della teoria poetica. Scrive Maria: «Lei intuisce verso dove vado. Ma è da un po’ che sono arrivata in certi luoghi che neanche io presentivo quando ci sono arrivata. E tuttavia, essendo assolutamente nuovo è dove dovevo arrivare per andare verso dove mi ero da sempre incamminata, cioè verso un’Etica» (CZL, p. 47). E Lezama Lima, parlando di lei, dice: «Quelli di noi che non la conoscevano e che possono avere perfino una temeraria approssimazione, la vivencia del suo gesto, sanno che il nietzschiano vivere in pericolo acquista in lei le forme più sottili della santità. E questo ci fa tremare» (CZL, p. 71).
Il libro non ci racconta una passione personale: è il racconto epistolare di un amor de lohn pervaso dall’estasi di una scrittura dove la filosofia è poesia in divenire e la poesia è respiro filosofico. Sia Zambrano che Lima hanno lottato in modi diversi per la libertà dell’uomo e del linguaggio poetico, Maria vivendo esule dalla Spagna natale, José partecipando in prima persona alle attività rivoluzionarie del suo paese. Zambrano conosce Lima a L’Avana negli anni della prima giovinezza. Nel saggio che conclude questo volume, posteriore alla fine del loro epistolario, Maria descrive così l’amico, giovane e silenzioso: «Era, semplicemente. E quelli che sono portano in genere accanto qualcuno che brilla più di loro. Il loro modo di manifestarsi non è con il luccichio che abbaglia, ma con il silenzio che inevitabilmente si forma attorno a lui, pure, come allora, se si tratta di una cena improvvisata fra gente giovane e dove non manca di certo un tema rovente di cui parlare. Pure in quell’appassionata conversazione era notevole il silenzio che facevano le sue parole: un silenzio che è qualità e non estensione, che si produce quando le parole hanno corpo, come in questo caso, lasciando impronte prima di volare» (CZL, p. 139).
Le lettere, curate e tradotte da Alessandra Ricci con passione e competenza, sembrano impazienti di esprimere il loro contenuto: restano vive, eterodosse, contrastate, felici. Scrive Maria: «Lei ha sempre la virtù che gli inferi, ciò che è sotto, quel che resta, appaia salvato senza rinunciare ad essere» (CZL, p. 107). E Lezama il 23 maggio 1976, nella penultima lettera: «Mi dà gioia vedere come lei risorge sempre in cerca di una verità sigillata. Il suo saggio su “La parola perduta” ci fa pensare al gesto che sta per farsi parola e alla parola che si fa gesto. E soprattutto il tragico distaccarsi del verbo liberato dalla successione, come se creasse di nuovo altre scale. Perché lì sta il tragico, ogni parola si libera come rotta nel suo centro, ricorre il tempo che lei stessa si crea, polverizzandosi, per riapparire. Seguirla nel suo percorso, come un lampo, è come uno sguardo che avanza verso altre terre o parole, come midollo, come semi, come specie che generano goethianamente nuove specie». L’invito di Lezama Lima alla continua nascita, rinascita e metamorfosi di una parola “rotta nel suo centro”, che avanza e cresce come midollo, come seme, evoca il suo capolavoro barocco e surreale, Paradiso, interminabile poema autobiografico e metafisico, che è poesia, saggio, racconto insieme, e cresce nella lingua, capitolo dopo capitolo, come musicale monstrum, carnale e verbale fioritura amorosa di un ragazzo cresciuto in ambiente militare, tormentato da crisi di asma, e che dopo la morte del padre si ritroverà a fantasticare e a scrivere, con raffinato erotismo, in un universo soltanto femminile.
Commenta la curatrice Alessandra Ricci: «Dopo la poesia, le riviste, i saggi critici, Lezama aveva pubblicato il sorprendente romanzo Paradiso dal quale aveva ricevuto polemiche e fama, odio e amicizie preziose come quella con lo scrittore argentino Julio Cortázar. Nel 1977 fu pubblicato postumo l’annunciato seguito di Paradiso, il romanzo Oppiano Licario, dove appare evidente l’analogia del personaggio di Inaca Eco con Maria Zambrano, ma decifrare tutti i misteri disseminati in quel testo inconcluso è ancora oggi impresa difficile» (CZL, 21). Grande estimatore di Lezama Lima fu Julio Cortázar che scrisse: «Cambierei Il gioco del mondo, Cent’anni di solitudine e tutti gli altri con Paradiso».
Cortázar è anche il commosso custode dell’ultima lettera di Lezama Lima a Maria Zambrano, a lui affidata dallo scrittore nel 1976, l’anno della sua morte: «Carissima Maria, approfitto della visita di Cortázar, il nostro beneamato, per mandarle queste righe. Da lui so che lei sta bene di salute corporale e spirituale. Grazie al fato, Cortázar è di nuovo fra noi. Un eccellente amico che ci ricorda quegli anni fortunati in cui lei ci faceva visita. Furono quelli i nostri anni migliori, anche se lei era desolata per le tante cose che aveva perduto. Ho ricevuto la sua ultima lettera con il suo bellissimo articolo, La palabra perdida. Cortázar mi ha dato la grande opportunità di abbracciarla da vicino. Ma vivrà sempre il ricordo di lei che arriverà e che illuminerà un grande domani. Le vuole sempre più bene José Lezama Lima» (CZL, p. 121).
È singolare che una corrispondenza, così intima nelle radici del linguaggio poetico, si sviluppi fra una donna esiliata e nomade, e uno scrittore stanziale e magico, fermo a L’Avana per tutta la vita, chiuso nel cerchio incantato dei libri, della madre, della moglie Louise. Ma la differenza è solo apparente. La felicità di pensiero di Chiari di bosco di Maria non è troppo lontana dal vortice prezioso del Paradiso di José. La loro vita è un’indagine parallela nell’enigma della bellezza. Lima non è narratore, nel senso stretto del termine, come Zambrano non è filosofa sistematica: entrambi sono affascinati dall’ek-stasis del linguaggio poetico, dalla suprema dignità di una solitudine condivisa da entrambi, dove non esistono più né le domande né le risposte, ma un salire insieme lo stesso sentiero, tra libri nuovi e riviste fondamentali come “Verbum” e “Orìgines”.
«Bisogna salire sempre. Questo è l’esilio, un pendio, sebbene sia nel deserto. Questo pendio che sale sempre e, per ampio che sia lo spazio visibile, è sempre stretto. (…) Vi sono certi viaggi dei quali solo al ritorno si comincia a sapere. Per me, visto da questo sguardo del ritorno, l’esilio che mi è toccato vivere è essenziale. Io non concepisco la mia vita senza l’esilio; esso è stato come la mia patria o come una dimensione di una patria sconosciuta, ma che, una volta conosciuta, diventa irrinunciabile» (EP, pp. 155,156).
Forse quel sentiero, dopo la morte di Araceli, sorella di Maria e sua compagna d’esilio, è una preghiera comune. Ancora Maria scrive a Lezama: «Sì, prego pochino ma se penso a gente come lei, se scrivo, se parlo, anche se sembra distante, sto pregando. E solo da poco tempo, e grazie ad Araceli, questo sta diventando trasparente, questa orazione da dove salta ogni tanto qualche parola, come un pesce dalle profondità non più abissali» (CZL, p. 107). E Lezama, in una lettera del 7 aprile 1975, dedica una poesia a Maria, di cui qui citiamo alcuni versi: «Maria è come un sibilla / alla quale tenuemente ci avviciniamo, / credendo di udire il centro della terra» CZL, p. 104), e che testimonia la sua adorazione devota per una creatura mitica nell’immaginario di molti poeti di lingua ispanoamericana.
Per entrambi gli scrittori, il tempo non intacca l’assoluto del dialogo e, leggendoli uniti nella loro corrispondenza, si ha la sensazione di un tempo felicemente cristallizzato in frasi di amicizia e di poesia. Il pensiero di Zambrano trova la sua sintesi, forse, in una lettera da lei scritta a La Pièce il 15 febbraio 1975: «Caro José Lezama Lima, non sta bene, non sta proprio bene che per aspettare questo stato di grazia che fa sgorgare la parola per l’amico, si stia così in silenzio. Sarebbe più fattibile scrivere a un estraneo che a uno con cui la comunicazione è profondamente e permanentemente stabilita già da tanto lontano. E ora mi trovo davvero incapace di dirle qualcosa, mentre con tanta costanza le dico e l’ho presente in quel che mi dico. Ma per lo meno le offro una cosa tipo certificato di esistenza in vita, dato che dell’esistenza della mia amicizia credo non le sia mai mancato» (CZL, p, 101).
Libri consultati
Maria Zambrano, José Lezama Lima, Corrispondenza (cura e traduzione di Alessandra Riccio) (CZL), Edizioni degli animali, Milano, 2023.
Maria Zambrano, L’esilio come patria, (EP), Morcelliana, Brescia 2016.