Invecchiare in rete

1 Febbraio 2023

Come la democrazia globale genera noia, nella visione di Francis Fukujama, un sacco di noia, secoli di noia («centuries of boredom»), così la vecchiaia, nella versione di Natalia Ginzburg ripresa da Massimo Mantellini, «s’annoia ed è noiosa. La noia genera noia, propaga noia intorno come la seppia propaga l’inchiostro» (N. Ginzburg, La vecchiaia, in Mai devi domandarti, Garzanti 1970, p. 31). Mai più conflitto e dialettica, neanche stupore, solo noia. Aiuto. Una visione spietata, quella di Massimo Mantellini, esperto di tecnologie informatiche e saggista di talento, esposta in Invecchiare ai tempi della rete, Torino 2023, una vela Einaudi, anzi una atra vela, nera come la noia, come la morte.

La sindrome di Pollyanna

Il libro di Mantellini, scritto con penna sapida e leggera, prospetta una immagine della vecchiaia ai tempi del digitale così pessimista che in confronto Schopenhauer sembra Pollyanna. Il «pollyannismo»sarebbe uno stato d’animo ottimistico, benevolo e gioioso. Si chiama sindrome o principio di Pollyanna dall’omonimo personaggio dei romanzi di Eleanor H. Porter del 1913 e 1915, il primo trasformato in film da Walt Disney nel 1960. In realtà la sindrome di Pollyanna designa anche l’ottimismo idiota o ottuso consistente nel percepire e ricordare soltanto gli aspetti positivi delle situazioni, ignorando quelli negativi e problematici. 

Vecchiaia digitale e bilinguismo culturale

Nel mio De senectute, anch’esso una vela Einaudi, alba, del 2018, presentai varie letture della vecchiaia susseguitesi storicamente, in particolare della vecchiaia femminile. Alla sapienza e alla conoscenza dei vecchi e delle vecchie dedicai una parte, ottimistica (ottusa? idiota?) proprio in relazione alle nuove tecnologie. Scrivevo a questo proposito che un conto è appropriarsi con rapidità e destrezza delle loro modalità di impiego e usarle abilmente e velocemente; un altro saperle ideare, comprendere e controllare, che non è una competenza innata ma un sapere che si impara. Introducevo poi la categoria del bilinguismo culturale per descrivere la situazione di chi grazie all’età anagrafica, che non è trascorsa tutta nella rete, sa muoversi con abilità e competenza, non con rapidità fulminea, tra le tecniche digitali e le conoscenze e le modalità antiche, per esempio dell’analisi e produzione di testi letterari che nel caso mio particolare è quello in cui mi muovo più agilmente. Mi sembrava un atout, scrivevo, un privilegio raro, il fatto di essere versati in entrambe le lingue, quella lenta e stabile del libro come pure quella veloce e fluttuante di internet, ma c’è chi come Mantellini, sembra invece constatare l’inutilità del materiale cartaceo, come quello che fa bella mostra sulle quattro pareti dello studio di Norberto Bobbio, a detta del vecchio studioso «tappezzate di libri ormai sempre più inutili...». 

Vecchiaia negativa e vecchiaia positiva

Il fatto è che Bobbio parla della vecchiaia come fa Natalia Ginzburg e come fecero Simone de Beauvoir e Jean Améry. Esiste però anche un filone diverso, che parla di vecchiaia positiva e produttiva, che non è soltanto quello di Cicerone ma anche quello più recente di Ursula Le Guin, di James Hillman, di Marc Augé; ed anche, nella versione indignata, quello di Stéphane Hessel e del dott. Spock, e in quella dell’impegno sociale e politico oltre che scientifico, di Margherita Hack e di Noam Chomsky. Essi però non avevano, o avevano soltanto in parte, il problema dell’invecchiamento nel e con il digitale, avendo vissuto la più gran parte della vita senza. 

Rigotti

Il vecchiogiovane/la vecchiagiovane

Questo è vero, eppure è veramente così penoso e imbarazzante giocare nella rete e partecipare ai social anche a una certa età? Forse è facile giudicare, da parte di una come me che non c’è dentro per scelta deliberata talvolta sofferta, ma veramente si tratta di un comportamento da rimbambiti giovanilisti a oltranza? Si tratta proprio di spazi per soli giovani nei quali ci si infila con la mentalità del voyeur o di chi prova invidia, o rimpianto, senza immaginare che si finirà essere giudicati osceni e ridicoli?

O sono forse io che non voglio ammettere di essere una vecchiagiovane, una anziana patetica che vorrebbe essere giovane ma non lo ammette, che va in giro con lo zainetto con il notebook, cavi e libri (i jeans glitterati non li ho mai portati), che rifiuta la sua età per mettersi in competizione con i più giovani? Quella che si crede updatata e poi perde le icone dallo smartphone e litiga con le app? Che non sa – come dice Bobbio, aggiungendo che oggi sono i giovani che sanno – ma crede o finge di sapere? Sono io che mi espongo al sarcasmo altrui senza saperlo e che se scrivo, scrivo da vecchia «come Bartali che a un certo punto mette su un negozio di biciclette...» (ancora una citazione da Natalia Ginzburg), e se parlo, parlo da vecchia riferendomi a teorie di cinquant’anni fa? E non me ne rendo conto?! Oddio, è così? Sono così?

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I giovani tecnologi «stulti adulescentuli»

Possiamo dunque soltanto sperare che i giovani tecnologi innovativi si accorgano della presbiopia e dei riflessi rallentati degli anziani e propongano loro telefoni dai tasti grossi come quello che Cappuccetto Rosso portava alla nonna in una pubblicità televisiva. Televisiva? Ma anche la televisione non la guardano che i vecchi veri, nemmeno i vecchigiovani, e giornali e libri li leggono e li scrivono soltanto loro, altro che bilinguismo culturale.

Eppure, poveri noi se il mondo, le sue cose, oggetti, fenomeni, eventi, saranno immaginati e messi in pratica soltanto da giovani tecnologi senza figli, innovativi o meno. E qui, benché pietrificati e sommersi da inchiostro nero come ci vuole Natalia Ginzburg, ci assoceremo a Cicerone e al suo grido di dolore contro gli stulti adulescentuli che conducono e indirizzano la vita di tutti, vecchi giovani e bambini, proponendo un mondo a bassa risoluzione – come suona il titolo di un’altra vela Einaudi di Massimo Mantellini (Bassa risoluzione, Torino, Einaudi, 2018, pp. 130) – con prodotti di qualità scadente purché rispettino il comandamento della rapidità, che li si possa avere qui e subito, hic et nunc.

Il mondo di paccottiglia a bassa risoluzione

Ma anche in questo caso, non notava già negli anni ‘60 del Novecento il filosofo francese Paul Ricoeur che a una società di beni solidi, durevoli e pure belli si andava sostituendo una «civilisation de pacottille»? Lo sottolinea anche Mantellini, quando scrive che internet ha creato una nuova generazione a, per dir così, bassa risoluzione, che ha abbassato anzi degradato le pretese fino ad accontentarsi di prodotti di qualità scadente. Le foto che scattiamo o osserviamo, la musica che ascoltiamo, sono a bassa risoluzione e ci va bene così. Le cucine Ikea sono fatte di truciolato ma corriamo entusiasti ad acquistarle (in rete) perché costano pochissimo e perché possiamo averle qui da montare domani pomeriggio; i quotidiani offrono qualche notizia del giorno, e poi cruciverba, oroscopo, sudoku e pettegolezzi vari, in una drammatica competizione verso il basso.

I voli aerei low cost riducono i prezzi ma insieme lo spazio e le comodità. Né la politica sfugge al degrado, avendo sostituito a ragionamenti e programmi, urla e personalismi. Quanto a internet, invece di utili accessi veloci di banda larga alla rete fissa, ci spiega Mantellini, vengono proposti prestigiosi quanto effimeri accessi su rete mobile, talché le persone disdicono in massa i contratti a rete fissa segando allegramente il ramo brechtiano sul quale stanno sedute; e persino a scuola il ricorso a internet e al copia-incolla abbassa il livello della formazione. Cause della riduzione delle aspettative sarebbero comunque, in base alla acuta analisi di Mantellini, il tendere a risparmiarsi le complicazioni dei livelli alti, la cancellazione dei legami col passato e il ricorrere a soluzioni semplici ed economiche, nonché brutte e talvolta anche sbagliate. Poveri noi tutti allora, non soltanto i vecchi che annaspano nella rete.

E l’ageism?

Ci resta forse unicamente da sperare che l’ageism, o discriminazione dell’anziano, rientri prima o poi con ampia risonanza nella categoria del politicamente scorretto o della cultura da cancellare. Forse così le tecnologie rallenteranno, il software sarà scritto per gli anziani e per collegare la stampante al tablet potrò continuare a usare il cavetto e non dovrò necessariamente ricorrere a una app. Sorgerà allora un nuovo movimento che denuncerà il tutto come una forma di gogna o «panico morale»? Che poi, e concludo, questa espressione, ripresa oggi per condannare il movimento Cancel Culture, era nata negli anni ‘70 per definire le proteste degli anziani di allora contro l’abbigliamento e la musica degli anni giovanili di chi era giovane allora.

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