Kassel: I fratelli Grimm e documenta fifteen
I meccanismi retorici dello storytelling sono penetrati nel mondo dell’arte contemporanea, come si può constatare visitando documenta fifteen, la quindicesima edizione della manifestazione artistica internazionale che si svolge ogni cinque anni a Kassel (fino al 25 settembre 2022). Alcuni artisti e collettivi presenti vi ricorrono per dar vita a narrazioni alternative a quelle egemoniche e voce a culture marginali o subalterne.
Storytelling, assemblage e installazioni popolano una sala del museo dedicato ai fratelli Grimm (Grimmwelt Kassel) che, in collaborazione con documenta fifteen, ospita una produzione del cantastorie indonesiano Agus Nur Amal PMTOH. L’artista, che vive ed opera nella provincia autonoma di Aceh a nord-est dell’isola di Sumatra, conserva e rinnova una tradizione narrativa locale denominata Hikayat. Visitando la sala si entra in un paesaggio fiabesco affascinati da composizioni imprevedibili e ritmi narrativi inconsueti. È una narrazione che sorprende, come la versione originale delle Fiabe del focolare raccolte dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm. Nella prima edizione dell’opera, pubblicata in due volumi tra il 1812 e il 1815, ad abbandonare Hänsel e Gretel non è la matrigna ma la madre, e a risvegliare Biancaneve non è un bacio, ma un colpo assestato sulla schiena della povera ragazza da un servo stanco di trasportare la bara di vetro (Jacob e Wilhelm Grimm. Tutte le fiabe. Prima edizione integrale 1812-1815, Donzelli, Roma, 2015).
Le saghe della tradizione germanica raccolte dai due filologi sono state ingentilite nelle edizioni successive per adattarle a un pubblico che si sarebbe scandalizzato. Ripulite dal crudo realismo che le caratterizzava, hanno perso il loro carattere popolare e quindi il rapporto con l’immaginario collettivo della classe sociale che le ha create. I racconti di Agus Nur Amal e la versione originale delle Fiabe del focolare hanno in comune una tradizione orale e la rappresentazione di identità sociali marginalizzate o subalterne. La ricerca filologica dei Grimm costituisce peraltro un esempio di resistenza all’egemonia culturale imposta dalla Francia su gran parte dell’Europa, nel periodo compreso tra il 1794 e il 1815 (le truppe napoleoniche entrarono in Kassel il primo novembre 1806).
Il Grimmwelt Kassel è una delle sedi periferiche della manifestazione, che si dirama in modo rizomatico per tutta la città offrendo altre occasioni di ascolto, lettura e visione. Al Fridericianum l'artista Dan Perjovschi invita il pubblico a una lettura simultanea, in luogo di quella lineare, con immagini e testi che appunta in un diario e poi ingrandisce su superfici architettoniche e urbane.
Ad accogliere il visitatore all’ingresso dell’edificio neoclassico eretto nel 1779 sono alcuni suoi appunti trascritti sulle colonne del pronao, che ha convertito in colonne tipografiche, spostando il significato del termine “colonna” dall'ambito architettonico a quello giornalistico. Noto per i suoi anagrammi grafici, con i quali critica in modo ironico le assurdità e il cinismo del mondo nuovo, Perjovschi dedica le “colonne in prima pagina” (il Fridericianum è sede principale della manifestazione) ai temi proposti dal collettivo di artisti indonesiani ruangrupa, al quale è stata assegnata la cura della mostra.
Il collettivo di Jakarta prende a prestito il termine lumbung, riferito a una costruzione nella quale viene conservato collettivamente il riso in alcune aree rurali dell'Indonesia, per dar forma a un progetto di piattaforma artistica e culturale basata sull’interdisciplinarietà e sulla cooperazione: “collettività, costruzione delle risorse e distribuzione equa sono al centro del lavoro curatoriale e modellano l'intero processo”. L’idea che l’innovazione sul piano sociale, economico, artistico e culturale possa scaturire dall’attività di organizzazioni indipendenti e collaborative, non assorbite dalle tendenze di mercato, informa un progetto di piattaforma che comprende laboratori, narrazioni, installazioni, archivi, discussioni e attività didattiche.
L’intero Fridericianum accoglie un programma di studi e di pratiche artistiche cooperative denominato fridskul (il Fridericianum come scuola), in cui operano collettivi di diversi paesi con progetti pedagogici basati sulla sostenibilità a lungo termine di idee ed economie. In questo contesto il gioco svolge un ruolo importante.
Incuriosisce il gioco da tavolo “collettivo speculativo” di Gudskul (Speculative Collective Board Game), un gioco di ruolo in cui i giocatori agiscono come membri di un collettivo d'arte: i partecipanti hanno l'opportunità di svolgere progetti personali e collettivi o aiutare i progetti degli altri negoziando con i membri della comunità. Il gioco fornisce l’occasione di sperimentare la cooperazione, la condivisione delle risorse, il problem-solving e i processi decisionali nella pratica di un’arte collettiva. La libertà di scelta e la collaborazione sono poste al centro di una riflessione sulle regole e le costrizioni imposte dalle culture egemoniche, che hanno oppresso o marginalizzato le più deboli. La necessità di decolonizzare le culture è un leitmotiv che accompagna il visitatore lungo il percorso espositivo, senza mai abbandonarlo.
Al piano superiore del Fridericianum si possono consultare tre archivi che documentano il processo di decolonizzazione delle narrazioni dominanti. The black Archives è un archivio storico che ricostruisce la storia dei movimenti di emancipazione e degli individui neri nei Paesi Bassi. Archives des Luttes des femmes en Algéries documenta la storia del movimento femminista in Algeria. L’Asia Art Archive completa il panorama. La sezione dedicata agli archivi, in particolar modo quello algerino, è organizzata con una sistematicità che manca al resto della manifestazione artistica. Documenta fifteen è una piattaforma di cooperazione e al tempo stesso un modello espositivo non gerarchico, nel quale il discorso sulla decolonizzazione delle narrazioni assume un aspetto prevalente e dominante.
Il pungente Perjovschi ironizza sulla radicalizzazione della critica alle culture egemoniche con una vignetta pubblicata nel numero speciale del suo Giornale orizzontale, disegnata sul pavimento della piazza dell’ex stazione principale di Kassel (Rainer-Dierichs-Platz). La vignetta rappresenta la facciata di un edificio classico al quale è stata tolta una delle quattro cariatidi che sostengono la trabeazione. L’espressione “decolonise!”, che accompagna il disegno, mette alla berlina alcune derive della radicalizzazione del discorso post-coloniale.
L’ironia di Perjovschi ci mette in guardia, ma a prevalere in documenta fifteen è l’urgenza di dar voce a coloro che non hanno trovato ascolto. Tra le voci ignorate dalla critica d’arte e dalle istituzioni artistiche troviamo quella dei Rom. Al primo piano del Fridericianum si estende su più spazi RomaMoMa, un progetto collaborativo dedicato alla loro cultura visuale. Sullo stesso piano dell’edificio sono esposte le opere dell'artista polacca Malgorzata Mirga-Tas (presente anche alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia), realizzate con tessuti prelevati dai guardaroba di famiglie Rom. Ispirandosi alle incisioni La vie des Egyptiens dello stampatore del diciassettesimo secolo Jacques Callot, l'artista realizza dei grandi patchwork colorati che raffigurano scene di vita familiare. La sua opera decolonizza le tradizionali rappresentazioni della popolazione Rom, assegnando alle donne il ruolo principale.
Un altro aspetto che caratterizza documenta fifteen è il mescolare, lo shakerare identità culturali e sociali. Un'opera che potremmo considerare esemplare a questo riguardo è quella del collettivo Baan Noorg Collaborative Arts and Culture, che ha progettato una piattaforma di scambio tra Kassel e il villaggio tailandese di Nong Pho. Il loro progetto (presentato a documenta Halle) comprende la collaborazione tra una azienda agricola di Nong Pho e una di Kassel, allo scopo di sviluppare sistemi di allevamento lattiero-caseario sostenibili; un laboratorio di incisione della pelle di bufalo utilizzata per la costruzione delle marionette del teatro delle ombre tailandese (Churning Milk Shadow Puppet Carving Workshop); una mini rampa per skateboard messa a disposizione del pubblico (Churning Milk Mini Ramp); un video multicanale (Churning Milk: the Rituals of Things) e un intreccio tra la zangolatura dell’Oceano di Latte, uno dei miti dell’induismo che si ritrova nei grandi poemi epici del Rāmāyaṇa e del Mahābharata così come in alcuni Purāṇa, e la fiaba La casa nella foresta tratta dalla raccolta dei fratelli Grimm. I testi si combinano tra loro formando un’eteroglossia.
Lo scopo del collettivo Baan Noorg è portare alla luce le regole sociali e le gerarchie che si nascondono nelle narrazioni tradizionali, assegnando un ruolo creativo al gioco, rappresentato dalle attività ludiche che si possono svolgere in questa sezione (ritroviamo qui tutti gli elementi finora messi in luce). Il collettivo Baan Noorg considera il gioco come un mezzo da impiegare per “decentralizzare il potere” e aprire su un immaginario fluido. Cultura urbana e rurale, identità locali e globalizzazione, epica asiatica e fiabe europee si mescolano tra loro come il latte nella produzione casearia delle due aziende agricole. Caglierà qualcosa?
In documenta fifteen l’arte sconfina sul piano mediale e disciplinare. Sul piano mediale con rilocazioni e trasferimenti da un medium all’altro, sul piano disciplinare sfumando nelle scienze sociali: nella sociologia, nell’antropologia, nell’economia, nelle scienze dell’educazione e della formazione. La pratica artistica diventa cosi attivismo sociale e politico, mettendo in crisi la critica d’arte, che fatica a riconoscere il suo consueto oggetto di studio. A questo riguardo è significativo il fatto che i media abbiano concentrato la loro attenzione soprattutto sull’accusa di avere invitato a documenta fifteen “artisti attivisti anti-israeliani” e su quella di antisemitismo, provocando le dimissioni della direttrice generale di documenta Sabine Schormann e l’istituzione di un’apposita commissione di inchiesta.
Nonostante la mostra abbia uno storytelling con un lessico che aiuta il visitatore a riconoscere la funzione delle varie parti che la compongono: ruru (spazio), skul (scuola), meydan (riunione), etc., il modello rizomatico di esposizione disorienta. Il progetto decentralizzato e plurale del collettivo ruangrupa mette in discussione non solo il modello gerarchico di esposizione, ma anche la critica d’arte intesa come strumento di giudizio e selezione al servizio di un potere che il mercato e le istituzioni esercitano sull’arte e sugli artisti.
Per sfuggire a questo meccanismo selettivo, gli artisti Hannes Egger e Thomas Sterna hanno progettato, in parallelo a documenta fifteen, Win-Win Lottery, una vera e propria lotteria alla quale si può partecipare acquistando dei biglietti sul sito web: winwinlottery.org (l’ultima estrazione è avvenuta il 6 agosto). I vincitori hanno la possibilità di esporre i loro lavori artistici e/o curatoriali in una sequenza di mostre temporanee organizzate presso il KAZimKuBA in Rainer-Dierichs-Platz. È un progetto espositivo che mette in discussione i modelli curatoriali in uso attraverso un sorteggio. La cura dell’arte contemporanea richiede un approccio aleatorio come quello proposto da Egger e Sterna, oppure un mescolarsi analogo a quello caseario di Churning Milk? Documenta fifteen insiste sullo shakerare, scuotere e agitare, attività da svolgere rigorosamente in gruppo.
La critica del collettivo ruangrupa all’establishment artistico problematizza il rapporto che la critica d’arte intrattiene con la cura e la pratica artistica. La scrittura sull'arte, che in età moderna si è configurata come disciplina critica fornendo strumenti di analisi utili anche per la cura, è alla ricerca di una nuova identità. A questo riguardo la raccolta di saggi Art writing in crisis pone alcune domande: “C’è arte senza scrittura? La scrittura può essere arte? La scrittura d’arte è un genere discorsivo distinto? In che modo si diversifica dalla storia dell’arte e dalla critica? Perché gli artisti scrivono? La scrittura d’arte ha una valenza diversa ora di quanto avesse prima di Black Lives Matter, prima della pandemia? Come i modelli, i mezzi e i significati della scrittura d’arte nell’epoca digitale differiscono da ciò che erano all’epoca di Vasari?” (AA.VV., Sternberg Press, Londra, 2019).
Quale sarà il destino di questo genere letterario, che si sforza di aderire al presente dilatandosi e deformandosi?
Il critico d’arte John Berger ha conferito alla sua scrittura un’elasticità singolare. Nella sezione curata dal collettivo Inland, una piattaforma collaborativa dedicata al rapporto tra arte, territorio e cambiamento sociale dislocata presso il Museo di Storia Naturale Ottoneum, si trova l’installazione Dying out - Space of possibility. L’installazione presenta un lavoro di Berger sull’alienazione dei contadini delle Alpi francesi, avvenuta nel corso del loro inurbamento all’epoca della rivoluzione industriale.
Il critico d’arte britannico converte uno studio di sociologia rurale nella trilogia di romanzi Into Their Labours di cui parla alla BBC nel 1979, trasformandola in un documentario TV. Passando da un genere letterario ad un altro e da questi al linguaggio televisivo, Berger mette in rapporto l’arte e la letteratura con le scienze sociali utilizzando un metodo critico che sfrutta l’elasticità della scrittura, per dar voce alla cultura rurale silenziata da quella industriale.
Da documenta fifteen si alza un coro di voci che rivendicano il riconoscimento della loro identità culturale, sociale, politica, religiosa e sessuale.
Allo Stadmuseum Kassel il collettivo Fafswag esplora la fluidità sessuale e culturale di alcuni membri della comunità LGBTQ Maori; l’artista iraniana Zeinab Mir racconta di un’Australia islamofobica, che la costringe a cambiare il suo nome per avere accesso al mercato del lavoro; l’artista Safdar Ahmed documenta l’esperienza traumatica di un rifugiato iraniano nel campo profughi di Manus in Australia.
A documenta Halle si proietta in anteprima mondiale il film Wakalinga Uganda, realizzato dalla casa di produzione Wakaliwood, che opera con scarsi mezzi economici nei bassifondi di Kampala realizzando dei B-movie divenuti un fenomeno mediale. Al Hessisches Landesmuseum il film Aşît dell’artista Pınar Öğrenci, racconta la storia di Müküs, villaggio paterno situato nella regione montuosa di Van militarizzata dal governo turco, che nega ai Curdi la loro identità. Al KAZimKuBA in Rainer-Dierichs-Platz uno dei membri del collettivo Jimmie Durham & A Stick in the Forest by the Side of the Road, Joen Vedel, dedica un’installazione sonora alla riconfigurazione dell’identità linguistica: tenta di imparare il tataro, lingua parlata dalla famiglia della sua compagna nel Tatarstan, un territorio musulmano colonizzato dall’ex impero zarista, esercitandosi ogni giorno con una nuova parola o espressione.
Tra tutte queste narrazioni, dialoghi di traduzione e futuri empatici incuriosisce la proposta di un nuovo genere letterario olobiontico. In una zona del parco cittadino destinata alla raccolta del compost, il collettivo Intermundial Holobiente, fondato dall’artista Claudia Fontes, dalla filosofa Paula Fleisner e dallo scrittore Pablo Ruiz, ha creato un habitat per un libro concepito come “oggetto poetico polifonico”.
Il libro è composto da immagini e parole che vengono costantemente riorganizzate in modo tale che l’ordine in cui si presentano rifletta una delle innumerevoli e momentanee combinazioni possibili. Scritto da quattordici artisti e scrittori più i tre fondatori del collettivo, è aperto a ulteriori interventi, anche non-umani. Ciò che incuriosisce in questo progetto (The Book of the Ten Thousand Things) è l’idea che entità non-umane possano manifestarsi attraverso l’esperienza sensoriale delle persone che sostano nell’area del compost. Il libro è concepito come una creazione olobiontica, ovvero come un organismo caratterizzato dalla convivenza simbiotica di agenti biologici diversi tra loro nel DNA. Un nuovo genere letterario olobiontico?
La visione ecologica e non antropocentrica di The Book of the Ten Thousand Things aderisce al modello ecologico, sociale ed economico di utilizzo comunitario delle risorse, proposto dal collettivo ruangrupa come alternativa ai modelli neoliberisti. Sorge tuttavia un dubbio: documenta fifteen si sottrae veramente ai meccanismi dell’impresa neoliberista? Non c’è progetto espositivo che venga approvato senza business plan, con calcolo del ritorno economico attraverso l’indotto, oltre che attraverso la vendita dei biglietti e il merchandising (anche se alla Welcome Area di documenta fifteen le t-shirt e le sciarpe in vendita sono state confezionate da laboratori sociali e il caffè è commercializzato in modo equo-solidale).
Il rischio è che documenta fifteen si riduca a un gioco come quello “collettivo speculativo” di gudskul, partecipando al quale si finge di agire come membri di un collettivo d'arte che trasforma cultura e società, si riduca cioè a una spettacolarizzazione delle narrazioni contro-egemoniche, dove il gesto decostruttivo finisce per eccitare un’estetica del consumo e della comunicazione. Tuttavia, il rischio di cadere in questa trappola val la pena di correrlo, immergendosi in un Churning Milk perturbante e (forse) gravido di futuro.