La regina delle friches
Se si potessero commissionare poesie, ne avrei richiesta una per la buddleia (Buddleja davidii) a Andrea Zanzotto, il poeta dei topinambur, dei papaveri e delle vitalbe, dallo sguardo attraversante il paesaggio, gettato oltre, al suo dietro e ai suoi margini. Come i topinambur anche la buddleia è caparbia, invasiva, colonizza le aree residuali dell’antropizzazione sconsiderata, le prode scoscese delle nuove tangenziali, i ritagli di terra abbandonati in città o in periferia, medica le ferite e i veleni di fabbriche o cantieri dismessi rivestendoli d’argento e di lilla.
Cinese d’origine, si è diffusa in Europa a scopo ornamentale fin dal Settecento. Dedicata al reverendo e botanico Adam Buddle (1660-1715), autore di un prezioso erbario, la buddleia è nota anche come lillà estivo (benché con la Syringa vulgaris abbia poco a che fare) per i numerosi piccoli fiori tubolari lilla, dall’occhio aranciato, riuniti in fitte pannocchie pendule. Gli inglesi la chiamano anche butterfly bush: il dolce profumo è irresistibile per le farfalle. Arbusto vigoroso, poco esigente, dai rami elegantemente arcuati, porta foglie caduche e opposte, lanceolate con margine seghettato, di colorverde scuro con sfumature glauche nella pagina superiore, argentate e tomentose in quella inferiore. I vivaisti ne hanno selezionato varietà dai diversi colori, dal bianco al rosa intenso, dal blu al viola scuro, ma ne esistono anche con fiori gialli radunati a globi.
Sfuggita dai giardini è considerata dai burocrati del verde un’infestante, ma preferiamo pensarla come una vagabonda, secondo l’idea di Gilles Clément, il teorico del terzo paesaggio e del giardino in movimento.
“Il vuoto architettonico contiene un pieno biologico” sostiene Clément. Nei suoi libri esorta a prestare attenzione agli spazi incolti (le friches), ai residui, e ai cigli delle strade. Esorta a trattenere la mano tesa per strappare l’intrusa nella nostra aiuola: “Può un giardino governare l’invasione?” – si chiede – “Di certo può ammetterla e poi orientarla” (Il giardino in movimento, Quodlibet 2011).
Siamo abituati a considerare gli spazi abbandonati dall’uomo come ricettacoli di degrado e disordine, regni di erbacce e infestanti; invece il disordine qui significa maggiore probabilità biologica, rifugio per la diversità. Le erbe e le piante delle friches costituiscono sistemi dinamici variabilissimi, con notevole attitudine alla sopravvivenza.
Sono giardini involontari, mutevoli e imprevedibili, non refrattari al cambiamento come i tradizionali. Da tempo accolgono, accanto al verde indigeno, una mescolanza vegetale planetaria in cui predominano piante esotiche come l’ailanto, la robinia e, appunto, la buddleia.
Un’infestante, sia pure: ma che consolazione – da luglio a settembre – avvistare oltre qualche lamiera arrugginita o tra i binari del tram il violetto delle spighe della regina delle friches.