Laura Campanello. Sono vivo, ed è solo l’inizio
Ma se ieri era ancora al desk, ma se la settimana scorsa l’ho visto proprio qui al ristorante, se ancora pochi giorni fa mi diceva che… Il passaggio dalla presenza all’assenza è un moto repentino, un avvenimento che coglie di sorpresa: nel mondo dove tutto si declina al plurale, la morte è un fatto tremendamente singolare. Invisibile fuori, nelle città che proibiscono i cortei funebri, invisibile dentro, nelle case dove accade sempre più raramente, spostata nei ricoveri per anziani, negli ospedali, negli hospice. Sempre meno avvezzi a veder morire un essere umano, la sua sparizione pare una svaporazione – che la pratica della cremazione accentua. Un altro è stato “eliminato”, il vuoto che ha lasciato deve essere al più presto colmato. La “solitudine del morente” si perpetua in chi rimane alla ricerca di un significato che trascenda la realtà del cadavere.
Laura Campanello, consulente etica e pedagogica nell’accompagnamento alla malattia e al lutto nell’Hospice Virgilio Floriani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e nel reparto Sla e stati vegetativi della Rsa Villa dei Cedri di Merate, condensa la sua esperienza di lavoro e di vita in un testo dedicato all’argomento tabù. Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte (pp. 268, Mursia) ci riguarda tutti, perché “quando la vita si arresta nel suo incedere lineare e certo, emergono domande e sensazioni legate al timore del vuoto, alla mancanza di senso; in questi casi l’orientamento al ‘fare’ non viene per nulla in aiuto”. Stare con le sensazioni di tristezza e di lutto, di dolore e di perdita non è politically correct in un’atmosfera culturale che impone il brillante con brio, dove la cura medica “si appropria del malato come fosse un guerriero da addestrare alla vittoria a qualunque costo”. La malattia è vissuta come un fallimento prestazionale, il malato è quel colpevole che non guarisce, perché non reagisce come a volte gli viene chiesto fino all’ultimo.
Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte non è un manuale di cure palliative, anche se ne fa la storia – è l’infermiera britannica Cicely Saunders a fondare, negli anni Sessanta, il movimento degli hospice a Londra; né un diario di storie cliniche, anche se l’autrice racconta situazioni e incontri dove la riluttanza a dire quanto sta accadendo crea equivoci e impasse nella comunicazione. La Morte Innominata aggiunge sofferenza al paziente e a chi gli sta intorno – i parenti hanno la necessità di essere sostenuti nella loro relazione con il morente, gli operatori di trovare momenti capaci di rendere rituale quello che è abituale per chi assiste la morte pratica.
Nei luoghi in cui opera, Laura Campanello è diventata la figura con la quale condividere il non detto che incombe. Parlare della realtà muta le possibilità di espressione delle emozioni e degli affetti, induce a organizzare feste e matrimoni, a inventare una cerimonia degli addii, a immaginare uno scambio di foto e lettere. Aiuta a dare la notizia della possibile perdita ai bambini – che nella nostra cultura sono esposti alla violenza di immagini virtuali ma che si cerca di tenere lontani in ogni modo dal fenomeno reale. Il suo libro ci guida in dimensioni etiche e giuridiche, mediche e scientifiche, psicologiche e pedagogiche verso una proposta filosofica che sia cura di sé – “meditare la morte, praticare l’arte del ben vivere e del ben morire, che sono la medesima arte, come ci dice Epicuro”. Ripercorre il rapporto con la morte in occidente per ritrovare negli esercizi dei filosofi greci, riletti oggi da Pierre Hadot, l’ispirazione per una spiritualità che incontra la contemporaneità.
L’autrice costruisce un testo fitto fitto di citazioni di versi poetici e di strofe di canzoni, di romanzi e pagine filosofiche, associazioni libere che mischiano la musica e il cinema, ma sono tutte necessarie per nutrirsi fino al gran finale. Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte è un libro che si passa di mano in mano, apre discussioni e confronti – personali e teorici. Laura Campanello trasmette l’urgenza di chi partecipa a esistenze dove la gerarchia è costruita sullo scadere del tempo. Nel suo libro ricorre quasi ossessivamente la parola fatica: la fatica di chi è malato, di chi muore, la fatica di chi rimane, la fatica di chi assiste, la fatica della vita. La sua fatica di donna che quotidianamente cammina sulla soglia per giocare d’anticipo, per riuscire nell’impresa della valorizzazione delle lacrime.