Lettere a Romeo Castelllucci | Giuseppe Bartolucci

24 Gennaio 2014

La Raffaello Sanzio ha il merito di aver tagliato le gambe alla smania metropolitana e di non essersi lasciata invadere dalla nostalgia del poetico.
Partendo da un gusto eccentrico e disponibile – ed evitando sia una dimostrazione di stile, che un’esposizione di materiali – il gruppo via via è venuto imponendo un suo modo di agire ed una sua qualità rappresentativa. Il modo è quello di un procedimento mobile – per scatti e per pose – su cui distribuire azioni vertiginose e fissare immagini compositive. La qualità è quella di una sollevazione generale di segni e di una distribuzione senza limiti di segnali, con cui sommuovere la scrittura scenica.

La Raffaello Sanzio di conseguenza è obbligata fortunatamente ad insistere sulla sua eccentricità, ed a produrre rappresentativamente per figure. Voglio dire che il gruppo si fa leggere per quadri, per cornici, dentro cui il paesaggio rappresentativo si evidenzia per passaggi. Il paesaggio è retto da un lato da un’ansia di composizione e dall’altro da una perdita di realtà; ne viene un tracciato immaginario espressivo, che si svolge per deprivazioni e per risarcimenti di ordine e di deriva. I passaggi allora sono prolungamenti e proiezioni di un’intensità e di un’emotività determinate dalle figure. E queste ultime sono portatrici di relazionalità, di sensibilità. L’eccentricità, a questo punto, si configura per oscillazione di irregolarità e di comunicazione, contando su quella sensibilità, su quella relazionalità, per battiti di ciglia e di cuore.

 

 

Così la Raffaello Sanzio contribuisce con il suo lavoro ad allargare quella lettura per sensibilità, che è l’ultima spiaggia interpretativa a disposizione, una volta messo in causa il deperimento del superamento dei generi, ed una volta distratta la funzione di sostegno della contaminazione dei codici.
Il gruppo fa volentieri a meno dei generi e dei codici, ed anzi li irrora di sberleffi e di vergogne, mettendone in mostra il superfluo ed il residuo; e così il vaneggiare attorno alla danza, o alla musica, oppure il sognare per letteratura, per mitologia, risultano nemici essenziali dal punto di vista della loro sorpresa e della nostra ripresa di discorso critico in prospettiva.

La Raffaello Sanzio è troppo fiduciosa di queste sorprese-riprese, per non permettersi di abbondare, e per non cedere alla tentazione di una felicità; ma ha angolature schizzinose e comportamenti acerbi che le impediscono di rassicurarsene e di farne tesoro. Così “Popolo Zuppo” è intriso di uscite e di rientri, di vuoti e di pieni, che non sai mai classificare realmente: se cioè sono la conseguenza di un ardire, di un osare soggettivo e immaginario, oppure la premessa di una atroce e spietata visione collettiva di vita. In questa ambiguità la Raffaello Sanzio sancisce la sua presenza non marginale né ineffettuale all’interno della ricerca teatrale ed impone anzi una sua linea, una sua traccia, per trasgressioni interni e per trasferimenti  soggettivi di nevrosi e di felicità, di esplorazioni e di distruzioni. Così il lavoro della Raffaello Sanzio fa da avvertimento e da spartiacque, agisce segnaleticamente e per indizi, spostando l’asse ed il paesaggio della ricerca, salvandosi per respiro e per energia su vuoti interpretativi generali.


(1982, dall’archivio della Socìetas Raffaello Sanzio)

 

 

Quando sopraggiunsero a Roma, quelli della Socìetas Raffaello Sanzio avevano per le mani una performance, un’azione, più oscura che chiara, più di maniera che di vita; e così io me ne ero andato nei pressi di piazza Vittorio, un tardo pomeriggio a scovarli, penso di essere stato il primo o tra i primi a ricevere messaggi loro, da Cesena; e loro venivano da me, nei sotterranei del Teatro Argentina, già forti di loro convincimenti di arte e di vita, e da me lontani allora, che so, per sensibilità tipo Gaia Scienza, o modernità tipo Falso Movimento, salvo che io avevo già intravisto in loro, nei quattro cavalieri dello spirito e della morte, la stessa luce, la stessa innocenza, la stessa forza, la stessa grazia dei ragazzi del Carrozzone di tanto tempo prima.
Naturalmente la performance, l’evento era di una impossibile innocenza, seppure di totale adesività, e i quattro vi si buttavano a pancia sotto per così dire, senza riguardo e senza rete, con un esito non soltanto imperfetto ma tendenzialmente indefinito, e con passaggi di cultura che si diffondevano e si infiltravano dappertutto a scapito delle ferite e delle trasgressioni, che i quattro pur vi introducevano passionalmente.
Poi sono arrivate le incursioni romane, alla Piramide, e altrove, e le prove di quelli della Raffaello Sanzio hanno cominciato a ronzare intorno agli orecchi e sugli occhi degli spettatori, di qualche critico, sempre più numerosi, più attenti; e da poche stagioni eccoli allora diventare punto di riferimento, gruppo da inseguire, per via della loro precipitazione artistica e del loro comportamento di vita, insomma eccoli avere fedeli, ammiratori, seguaci, oltre che conservare e accumulare sospettosi, riottosi, oppositori. […]

(1989, Il teatro iconoclasta, Edizioni Essegi)





Con questi scritti di uno dei grandi critici fiancheggiatori del Nuovo Teatro, Giuseppe Bartolucci (1923-1996), inesausto ricercatore di talenti e sommovitore di categorie interpretative, continuano le “Lettere a Romeo Castellucci” in occasione della rassegna bolognese E la volpe disse al corvo. Corso di linguistica generale, realizzata dal Comune di Bologna con la Socìetas Raffaello Sanzio e con la cura di Piersandra Di Matteo (gennaio-maggio 2014).
Doppiozero chiede a organizzatori culturali, artisti, critici, pensatori, scrittori, spettatori di tratteggiare le figure di Castellucci e della Socìetas (nel catalogo ebook di doppiozero segnaliamo il prezioso saggio di Oliviero Ponte di Pino Romeo Castellucci & Socìetas Raffaello Sanzio). E trae dagli archivi testimonianze di sguardi storici su loro labirintico lavoro.
Un grazie a Claudia Castellucci per i materiali d’archivio.

 

 

 

Dal 24 al 30 gennaio si potrà vedere l'installazione Persona, allestita in un rifugio antiaereo a creare un cortocircuito tra paura e protezione, tra umano e disumano. (Rifugio antiaereo, via Indipendenza 71/z, presso Autorimessa Pincio, in collaborazione con Istituzione Bologna Musei per ART CITY 2014).

 


 
 
La foto dei componenti della Socìetas sono tratte dal libro Socìetas Raffaello Sanzio, Il teatro iconoclasta, Essegi, Ravenna 1989
 
 
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