L’intelligenza dei piedi
Alcuni anni fa, Simone, uno dei miei tre figli, decise di fare un viaggio in solitaria in Giappone come regalo per la sua maturità classica. Ricordo che ero molto eccitato per lui, soprattutto perché il suo soggiorno sarebbe partito da Kyoto e io non avevo mai avuto la possibilità di visitare i famosi templi e la villa imperiale di Katsura con i suoi magnifici giardini. Lo caricai di mappe e informazioni perché non perdesse alcuno di questi monumenti così preziosi.
Al suo ritorno chiesi a Simone cosa lo aveva impressionato di più e lui mi rispose candido che, non solo aveva perduto la Villa imperiale, ma che si era soffermato solo su alcuni dei templi e neanche su quelli più noti. Mostrandomi il suo carnet di viaggio, le immagini fotografiche e i disegni mi raccontò che aveva preferito camminare a zonzo per la città antica, perdersi per trovare occasioni urbane e persone che il tragitto ben disegnato non gli avrebbe mai offerto.
Così si trovò in una corte di case basse dove alcuni bambini giocavano felici e la luce scivolava lieve tra le foglie degli alberi, offrendo frescura; poi incontrò uno strano signore anziano che non parlava una parola d’inglese ma che lo invitò a casa a bere un bicchiere di birra e a mostrargli alcuni libri con disegni di demoni giapponesi. E solo lungo il tragitto decise di entrare in alcuni edifici religiosi che lo attiravano per semplicità ed uso quotidiano dei suoi abitanti.
Alla fine ho dovuto contenere la mia frustrazione paterna perché avevo capito che il suo viaggio a piedi per Kyoto era stato unico, vero e aveva costruito nella sua mente una geografia necessaria ai suoi desideri nell’incontro con un mondo nuovo che andava svelato con grazia e semplicità.
Immagino che Gianni Biondillo, l’autore di Sentieri metropolitani. Narrare il territorio con la psicogeografia, un bel libro appena pubblicato da Bollati Boringhieri, commenterebbe l’avventura di Simone come una forma piacevole di deriva urbana, piuttosto che l’applicazione della metodologia applicata nella costruzione di un Sentiero Metropolitano, per come è rigorosamente spiegato in uno degli ultimi capitoli del libro. Ma ogni età e momento della vita credo abbiano un modo diverso di camminare e scoprire i luoghi, quindi potremmo dire che la deriva sta a un adolescente quanto un Sentiero Metropolitano sta un adulto, anche se credo che molti di noi amino perdersi in un luogo ignoto la prima volta che lo incontrano.
Il tema vero, ed è uno degli argomenti più intriganti che Biondillo sottolinea ripetutamente nel libro, è che la città e il paesaggio sono organismi vivi, inquieti, fluidi che si modificano costantemente sotto la pressione delle azioni e dei corpi di tutti i viventi che lo attraversano quotidianamente e che l’unico modo che abbiamo per comprenderli a fondo ed esserne parte attiva è quello di abitarli in movimento, attraversarli e possederli con i gesti, lo sguardo, i piedi e la nostra sensibilità. Senza queste azioni fondamentali, che comportano l’emergere di una forma di attenzione e consapevolezza critica dei luoghi, non possiamo pensare di essere parte agente attiva nella cura e trasformazione degli ambienti che abitiamo.
Camminare diventa una forma d’intelligenza progettuale che tutti possiamo esercitare e che aiuterebbe a migliorare gli ambienti che abitiamo. Noi tutti siamo dotati di una “mente paesaggistica” e, oltre a questo, noi e i luoghi che ci circondano viviamo di reciproche influenze che ne modificano la forma, il carattere e la storia.
Da questa necessaria premessa credo che la tesi centrale del libro di Biondillo sia che, dopo due secoli in cui la cultura amministrativa ed economica occidentale ha costruito metropoli a misura d’automobile, relegando i pedoni ai marciapiedi sempre più stretti e ad abitazioni sempre più compresse e privatizzate, si tratta di riprendere in mano il proprio destino urbano e mettersi in marcia.
L’atto di camminare diventa un atto politico consapevole e progettuale che passa dal riconoscimento critico dei luoghi che ci circondano e arriva a una forma di consapevolezza che ti porta inevitabilmente a costruire comunità e forme attive di progetto che siano solidali, sostenibili e partecipate. Veniamo da due secoli in cui la città è stata pensata, progettata e costruita per parti separate funzionalmente che raccontavano la parcellizzazione della nostra vita privata e collettiva: nascere, abitare (alimentarsi, riposare, riprodursi), studiare, lavorare, divertirsi, curarsi, morire.
La zonizzazione della città occidentale corrisponde ad altrettante azioni e sfere di mercato in cui il cittadino-consumatore è immerso come parte di un meccanismo ben oliato di cui la macchina, rigorosamente individuale, è uno dei simboli più rappresentativi. Due secoli energivori, direi devastanti dal punto di vista ambientale e territoriale, in cui abbiamo realizzato l’80% delle costruzioni attualmente esistenti e in cui siamo passati dal 3% al 55% della popolazione abitante in aree metropolitane.
Il mondo è radicalmente cambiato e dobbiamo non solo accettarlo, ma rapidamente dotarci di strumenti, parole e pensieri che ci aiutino a costruire nuove narrazioni, forme di progetto e condivisione di strategie utili a una rapida inversione di rotta, perché è in gioco la stessa sopravvivenza del genere umano. Nell’Ottocento si teorizzava che una città era tale se si poteva attraversare a piedi in una giornata; le pianure europee sono state colonizzate dai benedettini sulla scorta di una geografia interna che permetteva a ogni monaco di raggiungere a piedi nella stessa giornata una delle sedi dell’ordine per poter pregare ed essere ospitato; il percorso per la Mecca o il cammino per Santiago de Campostela sono solo alcuni dei più noti esempi di legame tra cammino, mistica, paesaggio e comunità; la letteratura e la filosofia occidentale sono segnate da una relazione continua tra pensiero e cammino, come se uno e l’altro fossero intimamente legati.
La relazione naturale tra esistenza e passo di marcia è dentro di noi dall’alba dei tempi e supera la costruzione culturale che ci ha suggerito per anni che noi fossimo diventati un popolo stanziale avendo abbandonato la precedente identità nomade. Quello che invece stiamo finalmente riscoprendo è che, probabilmente, la stanzialità è un immaginario culturale e simbolico rafforzato dalla visione capitalistica e urbana degli ultimi due secoli ma non la condizione profonda, innata, che invece è dentro di noi e va riscoperta e coltivata attivamente. I meccanismi che hanno regolato la forma e i tempi della città occidentale moderna stanno saltando e le forme inquiete dei nostri paesaggi metropolitani ci stanno obbligando a trovare strumenti differenti per orientarsi e muoversi in geografie fisiche, umane e simboliche che chiedono sguardi e pensieri differenti.
È come se pre-modernità e post-modernità si fossero fuse in un unico scenario rappresentato dall’arcipelago metropolitano che ha rivestito il mondo in un continuum in cui siamo chiamati a muoverci per reagire a tutte quelle forme di paura e difesa conservativa che chiamano invece muri, diffidenza, paura dell’altro e che sono rappresentate da un’ondata di conservatorismo populista politico che in questo momento costituisce la maggioranza dei governi mondiali.
Camminare da soli e insieme, diventa allora un preciso atto politico e insieme una forma di narrazione diversa che si chiama condivisione, sguardo generoso, visione e comprensione.
Camminare insieme vuole dire non avere paura del tuo compagno di viaggio ma credere nel dialogo e nello scambio attivo di punti di vista che superano le differenze e che, soprattutto, ci consentono di abbattere quella odiosa distinzione tra luoghi importanti e spazi invisibili.
Il libro di Biondillo è una precisa sollecitazione a tornare a osservare i luoghi per quello che sono nella loro ricchezza stratificata, complessa e contraddittoria e, oltre a questo, ci consegna alcuni strumenti per affrontare questa condizione consapevolmente.
Camminare e scoprire ammirati luoghi dei nostri paesaggi che chiedono di essere ascoltati e amati è il primo, fondamentale, passaggio per progettare e abitare le nostre metropoli come luoghi ricchi di potenzialità e risorse inattese che chiamano visioni generose e irriverenti perché diventino un patrimonio per tutti noi.
Nell’affermazione orgogliosa di una storia personale e generazionale di scrittori, architetti e intellettuali che sono tornati al cammino come forma concreta e metaforica di azione politica e culturale nel territorio, si ritrova anche la necessità di alzare la voce tra i tanti che parlano di città ma che non hanno la forza di chiarire gli strumenti da usare e le azioni da agire immediatamente.
In questo senso l’insegnamento di psico-geografia per gli studenti di architettura dell’Università di Mendrisio, le tante pubblicazioni, le azioni dirette con l’Accademia dei Sentieri Metropolitani e l’elaborazione della Carta Internazionale dei Sentieri Metropolitani attualmente in costruzione presso l’Unione Europea sono atti chiari e lucidi di un percorso di un autore che ha generosamente votato parte della propria identità personale e politica a questo percorso intellettuale e operativo.
A quella che Biondillo definisce come “l’età dell’inesperienza”, ovvero l’incapacità dei più di vivere con il corpo, le emozioni e la mente i fatti e i luoghi che stanno formando questo periodo storico, seguendolo a distanza sicura e smart sui social e al telefono, l’autore contrappone la fatica del cammino e l’ebbrezza di uscire dalla comfort zone.
Cammino chiaro, tempo lento, sensi aperti, respiro bilanciato, scarpe comode, un taccuino in tasca, mente libera sono le materie che tutti possediamo e che possono aiutarci ad essere abitanti diversi, originali, felici, tonici per un mondo migliore, con sempre meno macchine intorno e una qualità ambientale sicuramente differente.
Siamo tutti nomadi, si tratta solo di riconoscerlo e di rimettersi in cammino.