Cambiamenti climatici e cultura civile / Luca Mercalli, Salire in montagna

6 Novembre 2020

Da tanti anni Luca Mercalli è una voce molto ascoltata e seguita sui temi ambientali e dei cambiamenti climatici. La sua competenza scientifica si accompagna a meno note passioni e conoscenze letterarie e storiche. È noto il suo allarme per dati ormai acclarati e condivisi: il surriscaldamento del clima dovuto alle emissioni di CO2 sta determinando un pianeta più caldo, tra 2 e 5 °C in più a fine secolo, con conseguenze catastrofiche per biodiversità ed equilibrio ambientale; i ghiacciai alpini saranno pressoché estinti verso la metà di questo secolo e i fiumi europei avranno meno portata idrica in estate, con riflessi su agricoltura e produzione energetica; l’area del Mediterraneo è destinata a divenire torrida d’estate; gli eventi estremi, alluvioni e tempeste, aumenteranno di intensità e frequenza con maggiori danni per le attività umane; il livello dei mari è in aumento e a fine secolo potrebbe essere di circa un metro più elevato, per luoghi come Venezia e il delta del Po sarà la fine; la cementificazione sta riducendo la disponibilità di suolo agrario fertile, rendendo inoltre più fragile il territorio in caso di calamità naturali o forti piogge; inquinamento, plastica e rifiuti non degradabili sono ovunque in aumento e minacciano la salute di tutti. Un vero e proprio ‘progresso scorsoio’, come lo definiva il poeta Andrea Zanzotto.

 

Appassionato divulgatore, quando espone le sue idee sui cambiamenti climatici e sull’ambiente, Mercalli si accalora, l’eloquio prorompe amalgamando passione e dati oggettivi, frutto di lunghi studi e osservazioni. Lo indignano le critiche e le contestazioni non basate su dati scientifici ma su opinioni approssimative basate sul sentito dire. Lo addolorano soprattutto quelle provenienti da soggetti che avrebbero tutti gli strumenti per studiare e approfondire, e invece rincorrono ipotesi del tutto prive di fondamento scientifico. Perché ciò che impone responsabilità e conoscenza spesso viene negato, anche contro l’evidenza. “Io non mi permetto di contestare un antropologo, un ingegnere civile, un botanico, sulla loro materia, vorrei altrettanto rispetto verso il mio lavoro, verso i tanti anni che ho dedicato a studiare i cambiamenti climatici insieme ai miei colleghi climatologi di tutto il mondo”. Il suo eloquio, civile ma indignato, non è una forma retorica, è lo stesso delle discussioni tra pochi amici, fa parte della sua personalità. Quando vedi che le guance si arrossano e gli occhi si accendono vuol dire che Luca sta caricando, per poi travolgere l’interlocutore negazionista o superficiale sotto dati oggettivi e concreti, con la forza della ragione e senza mai offendere alcuno.

 

Il suo ultimo libro, Salire in montagna, come i precedenti, contiene queste preoccupazioni, ma è molto diverso, è anche il diario di un’avventura individuale: la ricerca e la ristrutturazione di una vecchia abitazione nelle terre alte, per andare a viverci. 

Il caldo opprimente e l’inquinamento della pianura padana, ormai tra le zone con l’aria peggiore d’Europa, avevano spinto Mercalli a cercare nelle terre alte un luogo dove vivere. Aveva pensato dapprima al Trentino e all’Alto Adige, dove sarebbe stato più facile stabilirsi, sono territori dove c’è un buon equilibrio ambientale, rispetto del paesaggio e qualità dei servizi, ma lui ama la sua terra, il Piemonte, e, per motivi di lavoro, ha ritenuto importante mantenere la vicinanza con Torino.

 

 

Così, in alta Val di Susa scopre Vazon, un piccolo borgo del Comune di Oulx a 1650 metri di quota, e una casa risalente al 1732, come racconta l’anno inciso in una pietra, con delle particolarità strutturali che incuriosiscono lui e sua moglie. Il luogo si trova a una buona altitudine, in mezzo a una vegetazione rigogliosa, e al riparo dai piccoli cataclismi che a volte si abbattono sui territori montani: inondazioni e frane. Da esperto ricercatore qual è, tra antichi archivi ha trovato solo un evento burrascoso, nel 1728: un nubifragio che travolse due abitazioni. 

 

La casa è ampia, adeguata a contenere grandi mobili di legno e i tanti libri di Mercalli. Nelle pagine di Salire in montagne ne cita alcuni, I racconti di Cechov, i saggi di Robert Macfarlane, il terribile La pioggia gialla di Llamazares, un diario ben più duro e tragico del suo, il Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda.

A piano terra, spicca l’antica presenza di una colonna di pietra in mezzo a una grande stalla, allora invasa da rottami di legno e di ferro. E subito, pur in mezzo a quel ciarpame, gli occhi di Mercalli immaginavano già una sala per incontri dove parlare di cultura e di natura, per colmare il suo appassionato desiderio di condividere virtù e conoscenza, e il piacere della convivialità.

Racconta poi dei problemi burocratici creati da una legislazione che, per adempimenti e spese, sembra fatta apposta per abbandonare ogni idea di recuperare vecchi immobili, a beneficio della decadenza inesorabile o dei furbi che mirano a demolire e ricostruire; la difficoltà di raggiungere Vazon d’inverno con la neve, perché il costo per ripulire la strada comunale da ghiaccio e neve è troppo oneroso per il Comune, la diffidenza di tecnici comunali e di parte della gente del luogo rispetto ai forestieri, il costo di una ristrutturazione rispettosa della storia e della particolarità estetica di quell’immobile, il problema dell’efficienza energetica e della funzionalità del tutto al vivere stabilmente lassù. Mercalli ha approfondito bene il modo di rendere gli interni salubri, sobri e confortevoli. Alcune idee gli arrivarono da un breve soggiorno nel b & b a Barma Drola, a Estoul, in occasione di “Il richiamo della foresta”, festival di letteratura e tematiche montane organizzato da Paolo Cognetti: “un trionfo di pietre e antichi legni tirati a lucido da cui mutuare tanti suggerimenti per i nostri lavori. È così che si devono recuperare le vecchie case alpine!”. 

 

Ho visitato la sua casa di Vazon nel giugno del 2018. Insieme a Mercalli e Gianni Rigoni Stern avevamo partecipato a un incontro pubblico a Oulx per parlare della natura nelle opere di Mario Rigoni Stern e dei suoi giorni da alpino in Val Susa, tra Cesana Torinese, Oulx e il monte Chaberton. Dopo l’incontro eravamo saliti lassù, e ricordo la passione di Mercalli nel mostrarci quell’edificio, affascinante ma davvero malridotto, specie all’interno. La colonna di pietra col suo capitello e gli spazi intorno ad essa avevano colpito anche me, pensai che mi sarebbe piaciuto trovarmi un giorno a parlare lì con lui e con altri di storie umane e di ambienti naturali, di libri e montagne, di modi e possibilità di un vivere diverso.

Tra le montagne visibili da Vazon, lo Chaberton, i Monti della Luna, il Pic de Rochebrune. Non lontano dalla baita c’è il bosco delle Gran Pertiche, una delle più belle foreste di larici e abeti rossi delle Alpi Occidentali.

 

Luca Mercalli e Gianbattista Rigoni Stern.

 

In mezzo a quel bosco ci sono i ruderi della capanna Sapes: un luogo importante della Resistenza, soprattutto per Giustizia e Libertà. Ada Gobetti lo cita più volte nel suo Diario partigiano, ricordando i giorni della paura e della speranza trascorsi tra la capanna e il passo dell’Orso. Mercalli invita a rileggerlo quel diario, pagine preziose di vita tra le montagne, e di lotta per la libertà. 

Il suo libro si dipana alternando al diario di Vazon, una serie di approfondimenti storici e umanistici. Sul forte dello Chaberton ad esempio, presenza lontana ma sempre visibile da Vazon. Mercalli ne rievoca le vicende belliche e lo sfruttamento banale dei giorni nostri, citando un racconto di Mario Rigoni Stern, Cannoni e fantasmi sul monte Chaberton (in Amore di confine, Einaudi, 1986).

 

Sia all’inizio sia alla fine del suo libro ricorre il nome di Mario Rigoni Stern. Non si tratta di un mero omaggio o di casualità, Luca Mercalli ha letto tutti i suoi libri e ha dialogato più volte con Rigoni, in piena sintonia su ambiente e natura. Due anni fa portò a conoscenza del grande pubblico un inedito dello scrittore di Asiago, La natura nei miei libri, che era da anni conservato a Vestone, nel Bresciano. Lo aiutai a dare una collocazione di tempo e di luogo a quel testo, che venne infine pubblicato in Mario Rigoni Stern. Un uomo, tante storie, nessun confine (Priuli & Verlucca, 2018). 

La scelta di Mercalli è costata fatica, tempo e sacrifici, anche rischi: quando la neve e il ghiaccio coprono, magari all’improvviso, la strada che porta a Vazon, salire in auto ma anche a piedi comporta serie difficoltà. E anche se si tratta di un percorso familiare, in certe condizioni meteorologiche diventa un’impresa. Una volta, parcheggiata l’auto lungo la strada a causa della troppa neve, Luca e Sofia devono salire con le ciaspe, tra neve fresca e crescente oscurità, con cadute rovinose e motivati timori.

Mercalli spiega che la sua scelta non vuole essere un invito universale a fare altrettanto per difendersi dal riscaldamento globale, ma a illustrare una possibilità: abbiamo tante borgate trascurate in Italia, nelle terre alte ma anche nelle montagne di mezzo, tra i seicento e i millecinquecento metri, cui Mauro Varotto ha dedicato di recente un libro importante, Montagne di mezzo (Einaudi, 2020).

 

A fronte di una pianura ipersfruttata e inquinata, ecco l’idea di recuperare l’altezza e le tante abitazioni “dai camini spenti”. Il suo progetto riuscito è un desiderio individuale, motivato da passioni e valutazioni personali, ma ha anche una valenza più ampia, che si coglie bene quando l’autore smonta l’idea che si possa andare a vivere in montagna solo imparando ed esercitando uno dei lavori tipici e tradizionali del mondo rurale. Ormai la possibilità di lavorare da remoto, accentuata dalla recente pandemia ma in costante sviluppo da anni, permette di svolgere anche lavori sinora tipici delle città. È questo l’elemento nuovo proposto nel libro, utilizzare le grandi possibilità fornite dal progresso tecnico e scientifico per recuperare e salvaguardare l’ambiente, la natura e il nostro futuro. 

Andrebbero evitate le iniziative di breve respiro, quelle dei soldi subito e impianti abbandonati nei tempi a venire. Mercalli elenca i disastri di ferro e cemento, le irreversibili distruzioni di boschi e pascoli, causati dalle Olimpiadi invernali del 2006. Sono lì, in Piemonte, sotto gli occhi di tutti. Una volta rovinati paesaggio e contesto agropastorale, cosa resta? Che futuro può avere un’area montana cementificata e piena di ferraglia arrugginita, senza più alberi, pascoli e colture? “La pista da bob di Cesana Pariol è costata 140 milioni di euro e il suo serpente cementizio ha avvinghiato per sempre un versante coperto di pascoli e larici secolari.

 

 

Dopo il breve utilizzo per le gare ha subito un degrado che l’ha resa un rudere spettrale, depredata da continui furti di rame dei cavi elettrici, trasformatasi in bomba ecologica per le 50 tonnellate di ammoniaca contenute nell’impianto refrigerante privo di sorveglianza, al punto da essere smantellata nel 2011 per motivi di sicurezza ambientale. Soldi buttati, ambiente violentato”. Stessa storia è avvenuta con il trampolino di salto sugli sci di Pragelato e l’impianto di biathlon di San Sicario, per tanti altri casi di irreversibili distruzioni ambientali, inutili sprechi di risorse a vantaggio dell’avidità di pochi. Ci restano i ruderi e un ambiente devastato per sempre. Adesso purtroppo, lo scenario si sta in parte ripetendo, in Lombardia e in Veneto, in vista delle prossime Olimpiadi invernali.

Luca Mercalli non è un apocalittico né un rassegnato, spiega che è ancora possibile frenare il declino ambientale ma anche produttivo, e che in ogni caso vale la pena battersi, con le armi della ragione e del dialogo, e diffondendo conoscenza. “Siamo in un momento cerniera della nostra storia, un punto di svolta ambientale che rimane per i più ancora incomprensibile, sottovalutato, ignorato, ma che quando si paleserà in tutta la sua dirompente enormità peserà purtroppo su un lunghissimo futuro. Possiamo ancora rallentare e ridurre i danni, decidere se correre verso un baratro o accettare qualche rinuncia in cambio di un futuro magari non roseo ma nemmeno tenebroso. I limiti delle risorse e dei processi fisici planetari ci dicono che – a meno di colpi di scena improbabili – un declino energetico e dell’abbondanza produttiva sarà inevitabile, ma tutto sta nel renderlo graduale, nel darci il tempo di costruire alternative e adattarci al nuovo corso”.

 

Nelle sere d’inverno, le luci alle finestre della sua casa a Vazon diffondono all’esterno un senso di quieto calore; vengono in mente Il ritorno dal bosco di Giovanni Segantini ma soprattutto certe opere di Tino Aime, pittore della neve vissuto per tanti anni in Val di Susa, le cui incisioni sono appese sulle boiseries di casa Mercalli. In tempi di pandemia, la tecnologia gli consentirà di diffondere comunque, da lassù, una maggiore conoscenza dell’ambiente e dei cambiamenti climatici. E un’idea più civile e umana del vivere.

L’ appassionato lavoro di ricercatore di Luca Mercalli e il suo salire in montagna, sono una forma di resistenza e di testimonianza contro il degrado ambientale, sono il tentativo imperfetto ma nobile di indicare una via per consegnare a chi verrà dopo di noi un futuro non troppo ostile. Chapeau.

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