Lucertole e uomini
Controllo e feedback, ovvero: come facciamo quello che facciamo. E per capirlo, “il nostro modo di guardare alle cose deve fare molti e molti passi indietro, e il punto di vista dell’animale deve essere l’unico decisivo”. Così, nelle parole di Jakob von Uexkull che aprono il settimo e ultimo capitolo di Dalle lucertole all’uomo. Storia naturale dell’azione, scritto da Michael Tomasello, pubblicato in originale lo scorso anno e prontamente tradotto da Raffaello Cortina Editore nella collana Scienza e Idee, già fondata da Giulio Giorello, che ora si avvale della consulenza scientifica di Telmo Pievani e Corrado Sinigaglia. “Il punto di vista dell’animale”, o altrimenti detto, nella definitiva testimonianza del genetista e biologo evoluzionista del ‘900, Theodosius Dobzhansky, “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”.
Di conseguenza, in esergo all’introduzione, leggiamo l’ulteriore, premonitrice riflessione di Charles Darwin, anche questa da L’origine delle specie: “In un futuro lontano […] la psicologia sarà basata su un nuovo fondamento, quello dell’acquisizione necessariamente graduale di ogni facoltà e capacità mentale”. E da quel futuro lontano, che è il nostro presente, scrive oggi Michael Tomasello, sostanzialmente per confermare il fatto che se i primati, insieme ad altri mammiferi, sembrano più “intelligenti” rispetto a creature di scala inferiore (ma l’evoluzione, infatti, non è una scala, e correttamente, nella pagina che anticipa l’introduzione, osserviamo un disegno a “clade”), pure quest’impressione non è per nulla chiara, e certamente non si fonda sulla complessità dei comportamenti: basta pensare alle formiche e ai formicai o alle api che comunicano la loro posizione alle compagne di alveare. In altre parole, non è una questione di complessità dell’agire ma di controllo.
Nelle formiche e nelle api, il controllo, anche di “azioni” particolarmente complesse è iscritto nella loro biologia evolutiva; primati e mammiferi, invece, pure quando stanno facendo cose relativamente semplici, sembrano prendere decisioni attive e informative, “decisioni controllate, per lo meno in qualche misura, dall’individuo”. A differenza di organismi che sono comparsi molto prima nel corso dell’evoluzione, infatti, le specie a noi più vicine operano sia in conseguenza della biologia evolutiva, ciò che il lunghissimo corso dell’evoluzione ha depositato nel loro DNA, sia grazie ad una psicologia che prevede l’agentività individuale – in inglese agency, che tradotta come azione perde la specificità dell’azione diretta a uno scopo – ovvero, la capacità di agire di quel singolo rappresentante di quella singola specie.
L’esempio è quello dello scoiattolo: che è evidentemente programmato geneticamente per nascondere noci, ma la singolarità del territorio dove si trova, nel momento particolare in cui agisce, lo porta a valutare la situazione specifica e a “prendere da solo la decisione di nascondere le noci [mentre] gli approcci evolutivi al comportamento, che sia animale oppure umano, hanno sostanzialmente ignorato, per le più varie ragioni, l’agentività individuale”. Tomasello, con questo suo ultimo libro, prova a riempire il vuoto di questa dimenticanza.
E lo fa attraverso un resoconto dei passaggi evolutivi di quella che chiama “organizzazione comportamentale agentiva” a partire da organismi meno evoluti, che di decisioni ne prendono poche e assai limitate cognitivamente, fino a creature che molto spesso decidono da sé cosa fare. Sottolineando che, per quanto possa sorprendere, si tratta di un resoconto che di passaggi, alla fine, non ne presuppone così tanti. L’approccio più tipicamente biologico al comportamento sociale, compreso quello molto complesso delle api come delle formiche, alla metà degli anni ’70 del secolo scorso ebbe in Sociobiologia, del biologo statunitense Edward O. Wilson, il suo testo di riferimento: nelle tesi e nell’ambizione di Tomasello, come vedremo in chiusura, il concetto di “agentività” rappresenta la linea divisoria tra quell’approccio e la psicologia del comportamento.
Si tratta infatti della “distinzione tra comportamenti complessi e controllati dalla Natura, per così dire, e comportamenti concepiti e controllati, per lo meno in una certa misura, dal singolo agente psicologico”. Il gap da colmare è quello utile a capire come certi tipi di decisione e di controllo comportamentale, nella misura in cui si sono tradotti in alcune architetture psicologiche, si possano essere evoluti in specifici tipi di condizioni ecologiche, così da permettere agli individui di prendere decisioni individuali. Un vasto programma, si sarebbe detto un tempo.
Nella ricerca dell’autore, e in questo volume che la riassume, il percorso evolutivo verso l’agentività psicologica umana passa per quattro architetture organizzative, in quattro taxa, o unità tassonomiche, rappresentative di altrettanti importanti antenati dell’essere umano. In ordine di comparsa evolutiva: l’agentività diretta a uno scopo negli antichi vertebrati (di cui alle lucertole nel titolo e in copertina); l’agentività intenzionale negli antichi mammiferi; l’agentività razionale nelle antiche grandi scimmie; l’agentività socialmente normativa negli antichi umani. In ognuno di questi passaggi, l’organizzazione biologica si è trovata davanti a qualche tipo di incertezza che ne ha guidato l’evoluzione: è laddove l’ambiente è meno prevedibile che bisogna aguzzare l’ingegno evolutivo.
E sia quando l’imprevedibilità e la conseguente incertezza si manifestano come rischio, dove “sono note le probabilità dei possibili esiti”, sia quando prevale l’ambiguità, e le probabilità di quegli esiti sono invece sconosciuti, sia infine nella “volatilità” degli esiti possibili, che possono mutare imprevedibilmente nel corso dell’azione. “La mia proposta è che l’evoluzione della presa di decisioni agentiva avviene essenzialmente come risposta a tipi differenti di imprevedibilità, e vi sono pochi dubbi che le entità più imprevedibili nella vita della maggior parte degli organismi siano gli altri organismi”. È il nostro simile, è lo specchio imprevedibile di noi stessi – specialmente quando non è nell’“in”, ma nell’“out-group” rivale – che ci forza a provare nuove soluzioni nelle diverse nicchie ecologiche, quando stiamo lottando per il cibo e la sopravvivenza.
Per tornare alla “non” scala dell’evoluzione, e per dare consistenza figurativa ai protagonisti della crescita di complessità: Caenorhabditis elegans – in genere con la C puntata di C. elegans – può essere riconosciuto come un buon rappresentante dei primi attori animati (urbilateri) ancora non organizzati agentivamente; lucertole e altri rettili sarebbero invece i primi organismi agenti diretti a uno scopo; tra i primi agenti intenzionali, possiamo considerare gli scoiattoli (ma anche i cugini topi); gli scimpanzé i primi agenti razionali; infine gli umani primitivi (ma in analogia con gli attuali bambini) in rappresentanza dei primi agenti socialmente normativi.
I capitoli 3,4,5 e 6 di questa “storia naturale dell’azione” raccontano e provano a giustificare l’arbitrarietà – di cui Tomasello è ben consapevole – delle scelte delle specie modello e, più in dettaglio raccontano il percorso “Dalle lucertole all’uomo”. Una storia e un percorso ben rappresentate da una tabella nel 7° finale capitolo che: alle lucertole attribuisce un’architettura di sistema con controllo a feedback che, rispetto agli obiettivi, garantisce l’attenzione alle situazioni rilevanti e un controllo delle azioni di tipo “procedo-non procedo”, tale per cui l’azione diretta allo scopo di catturare l’insetto può essere inibita dalla percezione di un pericolo e/o di un antagonista; agli scoiattoli, nei quali si aggiunge un’architettura che si arricchisce della memoria di lavoro, con un’attenzione non solo alle situazioni rilevanti ma ad obiettivi deliberati e alle conseguenti azioni, riuscendo a monitorare l’incertezza secondo uno schema di decisione del tipo o/o; le grandi scimmie, invece, sono già capaci di meta-cognizione riuscendo a progettare piani per obiettivi futuri e così riuscendo a individuare tanto i problemi quanto a intervenire “in corso d’azione” così da prendere decisioni migliori; e infine noi umani, che grazie principalmente al lunghissimo periodo di svezzamento, durante “l’ontogenesi estremamente protratta” riusciamo a costruire molte abilità cognitive mentre collaboriamo, comunichiamo e autoregoliamo le agentività condivise.
Ciò permette il coordinamento con altri individui verso obiettivi condivisi, richiede di assumere – abilità fondamentale – il ruolo e la prospettiva degli altri sulle cose, da cui scaturisce tutta una serie di rappresentazioni cognitive, “in definitiva oggettive” accompagnate anche da inferenze strutturate ricorsivamente. È la nostra “agentività condivisa” a richiedere rispetto, a consigliare la fiducia l’uno dell’altro, a permettere “relazioni strutturate da atteggiamenti e da emozioni normative”: gli umani, in altre parole, stipulano accordi, nelle strutture sociali e istituzionali di una cultura.
Rimane il problema di un “agente decisionale” che, scrive Tomasello, “è necessario, e non è un omuncolo, perlomeno non in senso negativo”. Ed è in queste ultime pagine che il progetto di ricerca di Tomasello, il suo programma futuro si affaccia su un orizzonte meno chiaro per chi legge. I modelli della scienza cognitiva fondati sulla metafora del computer o su spiegazioni neuro scientifiche – scrive l’autore – non lasciano spazio a un agente decisore, “credo tuttavia che, per i fenomeni più importanti della psicologia, l’agente decisore non possa essere eliminato senza che quei fenomeni vadano persi”. Ma se non è l’omuncolo, che non è, se non è nemmeno un élain vital, visto che “le cose viventi sono costituite delle stesse sostanze delle cose non viventi”, dove lo cerchiamo questo agente decisionale? Scrivere, in “un particolare tipo di organizzazione psicologica in cui l’individuo presta attenzione a situazioni rilevanti per l’obiettivo, prende decisioni e autoregola il processo”, ripete la domanda senza lasciar intravedere la risposta.
La proposta sembra andare nella direzione di un nuovo principio in forma di organizzazione psicologica di agentività basata sui principi del controllo a feedback. Che però somiglierebbe molto – troppo – a un “semplice” condizionatore con annesso termostato. E infatti, nota lo stesso Tomasello, la vera sfida è specificare cosa manca alle macchine quando le compariamo agli organismi viventi. Manca “l’agente psicologico”, un principio primo che nella psicologia, secondo Tomasello, qualcuno ritrova nel comportamento oppure nella mente. Lui preferisce l’agentività, dentro cui opererebbero tanto i processi mentali che quelli comportamentali. Il condizionale è d’obbligo e infatti, conclude l’autore, “…perlomeno questo è il programma”.
In effetti, piuttosto vasto.