Martin Amis: Uncomfortable

23 Maggio 2023

Negli anni Cinquanta, a Londra, non c'erano ancora mode giovani o minigonne o icone pop, dice Alberto Arbasino nelle sue Lettere da Londra (Adelphi 2018): "Erano però disponibili, in città o in campagna, T.S.Eliot, E.M. Forster, Ivy Compton Burnett, Harold Nicolson, W.H.Auden, Angus Wilson, William Golding, Cristopher Isherwood, Stephen Spender, Kingsley Amis...". Ecco, Martin era il figlio di Kingsley (e di Hilary Ann Bardwell) e nasceva proprio nel 1949, mentre suo padre era impegnato in un dottorato a Oxford. C'era una bella scelta, negli anni Cinquanta, a Londra, ma se si ha la sfortuna di nascere figli di uno scrittore famoso "è quasi sicuro che il tuo destino sarà un altro" scrisse Martin, sbagliandosi.

Kingsley Amis aveva successo, era un esteta della provocazione pubblica, marxista ingenuo prima, poi estimatore della Thatcher. Era sempre elegante, sempre un po' sbronzo e per lui il gesto letterario era una lotta, un incontro di boxe dove vinceva il più furbo. Fu la sua matrigna Elizabeth Jane Howard, scrittrice tardiva, che sposò suo padre, ultimo di tre mariti, a inoculare a Martin "il virus della letteratura". Si prese cura dei tre figli di Kingsley, tra cui Martin allora tredicenne, e gli fece leggere Orgoglio e pregiudizio, mentre – racconta lui – "non sfogliavo altro che fumetti, un po' di Harold Robbins o i brani più lascivi di L'amante di Lady Chatterley". Il destino era segnato: Martin cresce in una casa caotica ma frequentata da Iris Murdoch e Philip Larkin, con la matrigna discute di letteratura, e la ricorderà alla sua morte in una appassionata orazione funebre.

La gara con suo padre comincia invece nel 1970, a ventuno anni, quando pubblica il suo primo libro, Il dossier Rachel (Einaudi, 2015) che Kingsley gli tira dietro, quando lui glielo porta, perché "aveva tradito il patto col lettore", con quella voce narrante piena di sé e che si rivolge direttamente a chi legge: "Ho una di quelle vocette stridule che adesso vanno tanto, caratterizzata dal tono nasale un po' ironico che funziona alla grande quando si vuole dare sui nervi ai matusa". Se non bastasse, Martin nel 1974, a venticinque anni, vince il prestigioso Somerset Maugham Award, lo stesso che suo padre aveva ricevuto, con Lucky Jim, ma a trentacinque: gli incontri di boxe continuano, tra veleno e fair play, con i critici che non fanno altro che confrontarli, ogni volta che Martin pubblica.

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Lui si fa il suo cerchio di amici, Salman Rushdie, Saul Bellow, Ian McEwan tra gli altri. Dagli anni Novanta comincia a scrivere articoli per il Guardian, che Internazionale traduce e pubblica tutte le settimane in Italia: in rete si ritrova uno strepitoso Dentro il porno (2019) che riassume il suo stile crudele, uncomfortable, amorale, caustico, una sequela di aggettivi che descrivono il suo modo di scrivere come una lezione continua di profondità e leggerezza.

Amis è morto il 19 maggio scorso, a settantatre anni, dello stesso male, un cancro all'esofago, che aveva ucciso il suo migliore amico Christopher Hitchens e alla vigilia della pubblicazione in Italia del suo ultimo libro La storia da dentro (Einaudi, 2023). Nel prologo, anche qui, Martin Amis torna al suo vecchio vizio, che aveva irritato suo padre: parla direttamente al lettore, lo invita a casa sua, gli offre da bere, chiacchiera con lui di sua moglie e dei suoi figli in una specie di libro di memorie che vuole far sentire chi legge come se fosse un ladro, che si intrufola nella casa di un personaggio famoso per curiosare, per prendere quello che vuole, come viene invitato a fare, però con astiosa cortesia. La storia da dentro condivide con i più grandi romanzi di Amis (Territori londinesiMoneyLa zona d'interesseLa freccia del tempo, L'informazione tra gli altri) il suo caratteristico stile narrativo, che passa dal comico all'emotivamente disastroso e qui la devastazione riguarda la morte dell'amico di una vita, il saggista e intellettuale pubblico Christopher Hitchens, deceduto nel dicembre 2011.

Con lui e con Rushdie, Amis ha parlato fino all'ultimo di tutto quello che li appassionava, dalla cancel culture a quanto devono essere lunghi i romanzi, del perché gli scrittori devono sentirsi parte di una generazione ma mai di un movimento, di Nietzsche, quando scrisse che le battute – cui Martin Amis non sapeva rinunciare – sono epigrammi sulla morte dei sentimenti. Un libro sulla morte scritto poco prima di morire, con un'avvertenza: "chiunque legga i giornali scandalistici si imbatterà in orrori molto più grandi di quelli che descrivo io".

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