Paura della vita? / No Vax: contaminazione e purezza

11 Novembre 2021

Giovanni è un salutista. Da anni adotta una dieta vegetariana che associa a pratiche psicofisiche. Da quando è in pensione trascorre lunghi periodi in montagna a contatto con la natura. Quando ci parliamo, per lo più al telefono, mi racconta delle sue passeggiate per i boschi, nella natura incontaminata dove cerca di vivere. L’altro giorno, quando ci siamo sentiti dopo alcuni mesi di silenzio, mi ha detto che lui non si è vaccinato e che non pensa di farlo: “Tanto vedo ben poche persone e indosso sempre la mascherina quando vado a fare la spesa e trascorro molto tempo all’aperto”. Giovanni non è il solo. Anche Fausta, che è diventata da qualche anno vegana, dopo essere stata una praticante delle diete macrobiotiche, ha le medesime convinzioni. Parlando con lei al bar, rigorosamente all’aperto, mi ha manifestato la sua convinzione che i vaccini non siano necessari dal momento che segue pratiche alimentari e di vita che le permettono di non contrarre il Covid. Ne è sicura, per quanto poi applichi misure di protezione di sé. Sia Giovanni che Fausta non si definiscono “No Vax” in senso stretto e non si sognano neppure di partecipare alle manifestazioni che in alcune città italiane – ad esempio Milano – ogni sabato bloccano il traffico e creano ingorghi. Da tempo mi sto interrogando sull’atteggiamento di questi miei amici e conoscenti – ce ne sono anche altri – e sulla loro volontà di respingere tutte le pratiche vaccinali per combattere il contagio.

 

La parola chiave che unisce tutte queste persone è “contaminazione”. I loro atteggiamenti salutisti, che per altro in parte condivido – la scelta vegetariana, la vita all’aria aperta, l’attività fisica, per quanto mangi carne di tanto in tanto – hanno a che fare con il desiderio di non essere contaminati? Il termine “contaminare” ha una strana storia. Il suo etimo è sconosciuto, per quanto il significato di questo verbo sia chiaro: “rendere impuro, insozzare”. C’è anche un uso in ambito letterario – “contaminazione – che risale al Seicento. Si tratta dell’accusa rivolta all’epoca al commediografo latino Terenzio circa le commedie greche che egli traduceva: gli si imputava di fondere brani di più commedie in un unico testo. Contaminare come confondere e fondere? Il timore di essere contaminati nel senso più usuale del verbo è sicuramente all’origine di molti atteggiamenti contemporanei. Tutti gli appassionati di Kubrick ricorderanno un personaggio del film Il dottor Stranamore: ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba: il generale Jack D. Ripper. Il militare americano è convinto della “fluorocontaminazione” operata dai sovietici, che hanno contaminato l’acqua potabile.

 

Ripper è un paranoico e il suo timore di essere infettato, come suggerisce Kubrick nel film, è collegato all’impotenza sessuale. Un argomento questo che ritorna in molti casi di paranoia individuale e collettiva: la contaminazione ha che fare con la sessualità. Come ha già suggerito in un suo articolo apparso in queste pagine Luigi Zoja, la paranoia è una delle forme patologiche oggi più diffuse a vario livello e, come ha spiegato nel suo libro, Paranoia. La follia che fa la storia (Bollati Boringhieri, 2011), si tratta dell’unica malattia mentale trasmissibile per contagio. Ondate di paranoia hanno attraversato la società italiana in varie occasioni negli ultimi cinquant’anni, in particolare durante la pandemia: eravamo un po’ tutti paranoici davanti alla diffusione di questo virus che mieteva tante vittime nei primi mesi del 2020. L’ossessione della purezza non è un tema ignoto alla psicologia e all’antropologia. Nel 1966 Mary Douglas, un’antropologa inglese, ha pubblicato un libro importante Purezza e pericolo (il Mulino) dedicato alle pratiche di purificazione diffuse nelle varie società umane.

 

 

La definizione simbolica della coppia puro/impuro è fondamentale nell’organizzazione delle varie società. Si tratta di regole e divieti, per lo più legati all’igiene, che fanno sì che vengano censurati alcune abitudini alimentari o sessuali. L’approfondita analisi condotta dalla Douglas arriva a stabilire che le proibizioni riguardano, nel caso del cibo, tutto ciò che conserva uno statuto ambiguo, ovvero ciò che mette in scacco il sistema rigido di categorie regolatrici delle società umane. Esiste poi un disgusto da contaminazione che si manifesta nei confronti di persone o luoghi che recano la minaccia d’infettare chi li frequenta. La pulizia è uno di questi aspetti che muovono reazioni di rigetto in molte persone. Alcuni psicologi parlano della paura di contaminazione che viene vissuta come una violazione del “corpo-guscio”, per cui chi ne soffre respinge tutte le attività che possono creare situazioni di pericolo. Mary Douglas in modo icastico ha condensato il tutto in una efficace frase: “La sporcizia è una cosa fuori posto”. Proviamo disgusto verso tutte le cose e le realtà che non ci appaiono al “posto giusto”.

 

La ripugnanza fisica è un’emozione molto più diffusa di quanto si creda e condiziona i comportamenti di tante persone. Due psicologi, Paul Rozin e Carol Nemeroff, alcuni decenni fa fecero un esperimento: proposero a una serie di persone di indossare un maglione che a loro dire era appartenuto ad Adolf Hitler. La risposta fu un netto rifiuto da parte delle persone coinvolte. I due psicologi supposero che i partecipanti all’esperimento temessero di essere contaminati da questo capo d’abbigliamento posto sulla loro pelle nuda. Il contagio era ovviamente impossibile anche nel caso il maglione fosse stato davvero di proprietà del capo della Germania nazista. Potenza dell’immaginazione! Del resto, il tema della contaminazione, secondo altri psicologi e storici, ha determinato molti dei comportamenti di Hitler stesso nei confronti degli ebrei. Puro/impuro è una coppia formidabile che influenza non solo le nostre repulsioni, ma anche i nostri giudizi morali ed estetici. La pandemia ha prodotto uno stato di grande confusione mentale nelle società dove il contagio del Covid 19 è dilagato.

 

L’invisibilità del virus ha contribuito non poco a definire la forma simbolica di questo “essere” che nessuno ha visto, se non sotto forma di ingrandimento d’un microscopio elettronico, così la malattia è stata di volta in volta attribuita a diverse modalità di comportamento degli altri. Prevaleva infatti la convinzione di poter essere contagiati, piuttosto che quella di contagiare gli altri. Quando poi la morte di migliaia di persone nei primi mesi della pandemia è diventata un dato rilevante nel contesto della società italiana, il tema della contaminazione è diventato di colpo dominante. La stessa azione di lavarsi le mani frequentemente, di igienizzare gli arti superiori, con cui compiamo la maggior parte delle nostre azioni, ha avuto un peso non indifferente nel generare comportamenti ossessivi, come del resto Freud stesso aveva spiegato in alcuni casi clinici da lui osservati. I No Vax appartengono a questa categoria di persone preoccupate di contaminarsi? E poi perché la contaminazione ha preso la forma del respingimento della vaccinazione? Tutto quello che viene introdotto nel nostro corpo – il cibo e l’aria che respiriamo, in primis – ha un rapporto molto stretto con il contagio.

 

A suo modo Alessandro Manzoni, in quel fondamentale libro che è Storia della colonna infame, ha esaminato le pratiche mentali e giudiziarie che si sono generate nella peste del 1630. Credo che l’idea di inocularsi un antidoto, un vaccino nella fattispecie, nel proprio corpo attraverso una siringa sia ritenuta un’azione conturbante. Se poi il vaccino è, come crede la maggior parte dei No Vax, l’inoculazione del “nemico” allo scopo di creare delle difese immunitarie, l’ipotesi della contaminazione prende immediatamente forma. Al contrario la possibilità di creare delle difese attraverso uno stile di vita e alimentare “naturale”, è alla base della convinzione di un numero non piccolo di persone che si oppongono all’uso del vaccino. Paura della morte? Non credo. Penso che ciò che i No Vax rivelano con i loro comportamenti sia il contrario: la paura della vita. Di una vita che passa attraverso l’uso di un farmaco. La parola “farmaco”, come si sa, deriva dal greco e indica ciò che guarisce ma anche il veleno”: una doppia faccia. Un’antica saggezza che contiene sicuramente qualcosa di vero, perché il rapporto tra salute e malattia dal punto di vista medico implica la presenza di complicati equilibri.

 

Come ha detto una volta un filosofo, non si muore perché si è ammalati, ma ci si ammala perché si deve morire. Morte e vita intrattengono dal punto di vista simbolico un rapporto complesso. Freud ha esplorato tra i primi i labirinti in cui l’impulso di vita e quello di morte non solo confinano tra loro, ma sono complementari. Non è mia intenzione ricapitolare qui quanto il fondatore della psicoanalisi ha detto al riguardo, ma di sicuro le pratiche contro la contaminazione, che attraversano la nostra società, contengono l’idea di conservarsi il più a lungo possibile sani, e soprattutto “puliti”. La purificazione è all’origine di molte pratiche alimentari, che hanno in vari casi origine in culture altre rispetto a quella occidentale, nelle culture orientali, che sono state importate con successo nella nostra civiltà occidentale. Non voglio parlarne male, perché io stesso vi faccio ricorso, ma quello che mi colpisce nel variegato mondo No Vax, in quello meno rumoroso e militante, ma ben rappresentato da Giovanni e Fausta, è questa paura della vita e del rischio che vivere comporta. Poiché non ci sono più a disposizione, almeno in Occidente promesse plausibili di vita eterna, l’unica vita è quella che abbiamo. Ragione per cui l’importante è preservarla il più a lungo possibile, un giorno, un mese, un anno in più, conservandosi inattaccabili da ogni possibile contaminazione. Questa è una delle nuove ideologie sociali che stanno crescendo intorno a noi giorno dopo giorno.

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