Fiction e memoir / Nona Fernández, Fuenzalida

20 Luglio 2019

«Una fotografia è sempre incriminante. Quello che sospettiamo viene dimostrato in modo irrefutabile se compare in una foto.»

Fuenzalida (Gran Via, 2019, traduzione di C. A. Montalto) è composto da tre livelli, stratificati, mischiati, Nona Fernández gioca su tre diversi piani narrativi. Ogni piano è reale, ogni piano è inventato. Il primo strato è la storia che sta in maggior rilievo: una donna separata vive con Cosme, il suo bambino, suo marito se ne è andato quando il piccolo aveva solo un anno. La donna, la nostra narratrice, di lavoro scrive sceneggiature per telenovelas. Lei e Cosme vivono a Santiago del Cile. Una sera tra i rifiuti trova una vecchia foto, quasi cancellata dal tempo, in quel ritratto sbiadito – un uomo in kimono nero – crede di riconoscere suo padre, Fuenzalida. Di suo padre, che è stato un ammirato maestro di arti marziali, non sa più nulla da molti anni, è semplicemente sparito. Sa che ha avuto altre donne oltre sua madre, che ha avuto altri figli. Sua madre ha ritagliato la faccia di Fuenzalida da tutte le foto di famiglia, penseremo che l’avrà fatto per dimenticare. Questa storia, però, ha almeno due risposte per ogni domanda.

«Difficile ripercorrere la storia di un uomo rispettabile senza cadere nella tentazione di elogiarne le gesta.»

 

Il secondo livello sposta la narrazione negli anni settanta. La narratrice è una bambina, sono gli anni della dittatura cilena. Sono gli anni delle persone che spariscono, sono gli anni delle torture, gli anni dei ricatti, gli anni dei segreti. Sono gli anni dei dolori inspiegabili. Ci sono uomini e donne che faranno scelte coraggiose e per questo pagheranno con la vita o dovranno sottrarsi, sparire, per garantire ai propri cari almeno la sopravvivenza. Qui troveremo un uomo misterioso, che ha scelto la patria, l’onore. Ha scelto di far scomparire le persone, di torturarle, immaginando un bene superiore, ergendosi a responsabile del destino della nazione. Quest’uomo incrocerà Fuenzalida, per il quale prova un enorme rispetto e gli farà una richiesta. Da quel giorno cambierà tutto. Un bambino sparirà, sulla strada resterà una scarpetta da tennis. Fuenzalida, da vero combattente, lotterà con se stesso e compirà una scelta, che lo cancellerà. Diventerà il volto tagliato via dalle fotografie.

«Ogni telenovela che si rispetti viene costruita a partire da materiali aggiuntivi.»

 

Il secondo livello incrocia il primo. I ricordi della bambina saltano fuori a poco a poco, nel racconto della narratrice. Fuenzalida è un personaggio straordinario, affascinante, prende la scena anche quando non compare. Quella piccola fotografia, riapparsa tra i rifiuti, che forse lo ritrae o forse no, è il motore (ed è il pretesto) che occorre alla bravissima Nona Fernández per scrivere una storia moderna e per dimostrarci – ancora una volta – come le cicatrici del passato non scompaiano, come la memoria faccia il suo gioco e il suo giro. In Cile, ogni famiglia porta addosso i segni lasciata dalla spietata dittatura di Pinochet e basta davvero poco perché tutto riemerga. Gli uomini a cui la narratrice tiene, prima o poi se ne vanno. Fuenzalida sparisce, Max, il marito, se ne va. Cosme perde conoscenza in seguito a un incidente domestico. La tensione delle ore vissute in ospedale, nell’attesa di capire dove sia andato a dormire il cervello di Cosme, è il viatico che fa confluire le assenze, le debolezze, i ricordi. In quel tempo alcune domande troveranno qualcosa che somiglia a una risposta.

 

 

«Quando gli  domandarono perché si era dato fuoco a quel modo, lui rispose la stessa cosa che aveva dichiarato in piazza, che era disposto a tutto pur di riavere indietro i suoi figli. Un ufficiale dei carabinieri si è preso gioco di me. Non ha creduto a ciò che dicevo, ha attraversato la linea e, quale uomo di parola, ho dovuto mantenere quanto promesso. Sembra che gli uomini in divisa facciano fatica a credere alle parole dei civili.»

 

Nona Fernández, mette in pausa di tanto in tanto i due principali piani narrativi per inserire il terzo: le telenovelas. Ci vengono spiegati gli elementi essenziali della costruzione della sceneggiatura di una telenovela, come l’amore, il tradimento, la vendetta. Ed ecco che alcune parti del libro vengono divise in episodi, e la storia di due protagonisti di una telenovela esce dallo schermo del televisore e interagisce con quella dei personaggi del libro. Tutti sono inventati e tutti sono reali. L’intento di Fernández, tra gli altri, è quello di dimostrare che ciò che concorre a formare una storia inventata per un largo pubblico televisivo è esattamente quello che serve per costruire un romanzo, cambiando l’amalgama, la struttura, la credibilità di questo o di quel personaggio. L’autrice cilena fa ancora uno sforzo in più e ci dice che un film a episodi per la tv, interrotto da spot pubblicitari, somiglia per composizione, assurdità, imprevedibilità e poi ripetitività e banalità alla vita. Questo libro è anche un memoir. La dittatura è una brutta telenovela, dozzinale, scritta malissimo, che dura per anni, controlla lo spettatore fino ad annullarlo. La dittatura cilena ha avuto troppe orrende puntate. I dittatori massacrano un paese non nel suo insieme, ma andando di frammento in frammento, di casa in casa, di famiglia in famiglia. Fernández tra fotografie ritrovate, altre perdute, altre ancora che ricompaiono, ricostruisce la storia di una donna, di suo padre, di una famiglia; la storia tragica di un paese, salva la memoria, ancora una volta, perché non basta mai.

 

Non conoscevo il lavoro di Nona Fernández fino a quando non mi è capitato tra le mani Fuenzalida, si tratta di una scrittrice particolarmente brava, ha quel passo sudamericano che ogni volta ci cattura e una rara capacità di tessere più storie dentro una. Qui abbiamo trovato la storia di una famiglia, quella di un nazione, abbiamo sentito vicina la solitudine e la determinazione di una donna, abbiamo fatto il tifo per chi ha provato a salvarsi dalla dittatura, quasi come se stesse scappando ancora.

«È giunta l’ora. Una fotografia non ancora scattata, in cui io e Fuenzalida posiamo rivolti insieme verso l’obiettivo. Una scena sul punto di avvenire o già avvenuta molto tempo fa.»

Fuenzalida è certamente un’opera di fiction, ma Fernández ci ricorda, come accade sempre più spesso nella narrativa contemporanea, che tra fiction e memoir il confine è sottile, d’altronde è nata in Cile negli anni settanta, questa storia è la sua storia. Ciò che rende il libro ancora più convincente è che la sua storia è la storia per ogni lettore, perché difficilmente in un libro che presenta così tanti riferimenti precisi a un periodo storico, o comunque alla realtà, si trovi così tanta ben distribuita fantasia. L’architettura di Nona Fernandez ha fondamenta nella memoria personale e di un popolo ma anche nei draghi che immagina e disegna suo figlio, tutto si tiene, come nelle armonie profonde di Sandro Penna.

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