Sony segreto
Il 20 aprile di quest’anno il deposito informatico della Sony è stato violato. Visitatori non identificati sono entrati nel centro dati, situato a San Diego in California, e hanno portato via – ovvero copiato, come si dice oggi per il “furto” – i dati personali di tutti i clienti della Sony: settanta milioni di abbonati che scaricano musica, filmati e altri prodotti della casa giapponese. Sono stati sottratti referti personali, password, numeri di carte di credito, insomma tutto quello che serve per ottenere dalla casa madre “forme” che soddisfano il piacere auditivo e visivo (almeno per il momento) dei singoli consumatori.
I dati sono stati messi in vendita, così si trova scritto sui giornali dell’altro giorno, al mercato nero: informazioni “sensibili” sugli abbonati della Sony. Si vendono al miglior offerente indirizzi email, numeri delle carte, date di nascita, id e password. Il tutto alla spicciolata, per singoli pezzi, oppure per blocchi. Pare che nel mercato parallelo le informazioni della carta di credito (con data di scadenza e codice di sicurezza) valgano 70 dollari; mentre senza codici solo 3 dollari; l’indirizzo email non va al di là di pochi centesimi. Il furto dell’identità è diventato uno dei passaggi invisibili nella nostra società nel momento in cui, come aveva previsto negli anni Sessanta Marshall McLuhan, tutto diventa informazione. Ci sono aziende che raccolgono in modo più o meno legale queste notizie e a loro si rivolgono anche i colossi industriali, della distribuzione, per avere indirizzi a cui spedire pubblicità via internet. Furto più o furto meno, e quello alla Sony è particolarmente clamoroso per le dimensioni, tutti noi forniamo giornalmente informazioni ai gestori cui ci rivolgiamo: dal telefono alla carta di credito, dal supermercato alla biglietteria di Trenitalia. Sanno tutto delle nostre persone fisiche: gusti, preferenze, frequentazioni, abitudini, passatempi, e altro ancora. Siamo spiati in quello che facciamo ogni giorno: agenti segreti di noi stessi. Quando ci sarà il voto elettronico tutto si saprà in tempo reale, anche per chi votiamo. Cosa fare? Spaventarsi? Rinunciare al computer, alla carta di credito, al telefono cellulare? Conosco un paio di persone che l’hanno fatto, arrivando persino a non avere più il conto corrente bancario. Dobbiamo trasformarci in tanti Bin Laden della vita quotidiana, senza allacciamento telefonico, internet e telefonino? Non serve a niente, alla fine ci troveranno lo stesso.
Il filosofo e sociologo Georg Simmel nel suo “Il segreto e la società segreta”, scritto nel 1906, capitolo della sua Sociologia, scriveva che quando un segreto lo conoscono due persone non è più un segreto; e in un capitolo dedicato ai rapporti epistolari (perfetto per i tempi d’intense email in cui viviamo), aggiungeva che la scrittura ha una natura contraria a qualsiasi segretezza. Dunque, sia che inviamo una lettera per posta elettronica sia che la banca imprima i nostri dati su un rettangolo di plastica – cifre e lettere – si tratta in ogni caso di scrittura, di qualcosa che va in giro nonostante tutte le nostre cautele e riservatezze (e se non andasse in giro, non fossero usate le cifre e le lettere, non otterremmo le agognate “merci”). Simmel fa notare che ogni rapporto umano si fonda sul fatto che ognuno di noi sa dell’altro qualcosa di più di quanto costui ci riveli spontaneamente, e sovente si tratta di cose di cui l’altro non vorrebbe venissimo a conoscenza. Mentre tutto questo dal punto dell’individuo è considerato un’indiscrezione, nel rapporto sociale è condizione necessaria per un rapporto stretto e vitale: per vivere in società dobbiamo tradirci. Per questa ragione la linea di confine giuridica, che delimita questa invasione reciproca, è molto difficile da tirare. L’osservazione esterna degli altri, le chiacchiere scambiate quotidianamente, fatti casuali, fanno sì che, senza ricorrere a mezzi illegali, con la semplice osservazione psicologica terra terra, si riesca a sapere degli altri parecchio, se non tutto. È evidente che l’ampliamento della sfera d’interrelazione – da poche decine di individui nel mondo pre-moderno a centinaia nella modernità e a migliaia nella post-modernità – fa sì che l’indiscrezione reciproca tenda ad aumentare a dismisura.
Il furto dei dati Sony ha una rilevanza significativa per via degli aspetti “sensibili” (carte di credito e transazioni finanziarie), ma non è niente in confronto ai dati che vengono spontaneamente offerti ogni giorno da ragazzi e ragazze, adulti, e persino anziani sulle pagine personali di Facebook, dove il successo delle persone è computato sulla base del numero di “amici” che sono presenti nella propria pagina personale. Di recente uno scrittore e futurologo, Bruce Sterling, ha osservato che Facebook non è altro che l’estensione all’intera umanità della bacheca di un’università americana, ovvero di quel modello di interrelazione tra tardoadolescenti, il che confermerebbe quanto Simmel aveva scritto all’inizio del XX secolo proprio nel testo sul segreto: la sensibilità moderna tende più ad amicizie differenziate, cioè ad amicizie che interessano solo un aspetto della personalità senza coinvolgerne altri; osservazione che calza perfettamente con l’impressione che suscita la lettura delle pagine di Facebook. E il segreto? Il sociologo tedesco sosteneva che proprio il segreto è una delle massime conquiste dell’umanità; tuttavia nell’evoluzione dell’umanità si effettuano due movimenti opposti e simmetrici: ciò che prima era manifesto ora passa sotto la protezione del segreto, e al contrario ciò che era segreto rinuncia a questa protezione e diventa manifesto. Individuare a quale dei due ambiti appartenga la continua acquisizione dei nostri dati personali da parte di entità mega-informatiche, che paghiamo per comunicare, informarci, scaricare musica e applicazioni di varia natura, non è facile.
Certo che se si mette a confronto la nostra auto-delazione nei social network con il furto alla Sony, le due cose acquisiscono un diverso valore, separate dal fatto, non irrilevante certamente, che nel primo caso siamo noi che decidiamo liberamente di offrire dati sensibili su noi stessi agli altri, mentre nel secondo si tratta di un furto con scasso elettronico. C’è un non-detto che si trova alle spalle del segreto, e che Simmel segnala come un “tipico errore”: ritenere che tutto quello che è segreto sia significativo. Noi siamo spesso schiavi del nostro naturale impulso a idealizzare e insieme della paura nei confronti di ciò che è ignoto, così che tendiamo a ingigantire gli effetti della rivelazione dei nostri stessi segreti. Facebook tradisce molto bene la convinzione più profonda che ci agita: di essere nessuno. In definitiva il vero segreto che vogliamo tradire, e dunque rivelare, mediante l’esibizione di noi stessi (gusti, amicizie, immagini, consuetudini, abitudini, desideri, ecc.), è che temiamo di non essere “qualcuno”. In questa prospettiva il furto alla Sony è il falso segreto del segreto, mentre tutto il resto è il vero segreto: l’affermazione che esistiamo. Il Grande Fratello informatico è solo una proiezione delle nostre paure: esiste, perché vogliamo che esista. E così che Io ci sia.