Tre domande a Franco Arminio

20 Marzo 2012

Giunge oggi alla quarta e ultima tappa Italia piccola, il ciclo di incontri sulla realtà italiana organizzato dalla Libreria Utopia di Milano in collaborazione con doppiozero.

 

Abbiamo voluto raccontare luoghi e situazioni degli italiani di ieri e di oggi: l’Italia minore, quella che non ha spazio sui media se non quando accadono catastrofi naturali o tragedie, e gli italiani, diventati un popolo attraverso le vicende unitarie, le migrazioni, le trasformazioni del boom.

 

Oggi alle 18.30 Marco Belpoliti incontra Franco Arminio, uno degli scrittori più originali della nostra letteratura, per una conversazione sullo stato del Sud, sulla paesologia, la scienza che ha inventato per conoscere la vita dei paesi, e sul suo ultimo libro, Terracarne (Mondadori).

 

Noi abbiamo rivolto all’autore queste tre domande.

 


 

Che cosa è la ‘paesologia’? Va ancora bene definirti paesologo o la categoria, peraltro da te inventata, ti sta stretta?

 

In estrema sintesi potrei dire che la paesologia è scrivere col corpo dei luoghi in cui si vive o dei luoghi che si attraversano. Una forma di attenzione in cui l’osservazione del mondo esterno e quella del mondo interno s’intrecciano continuamente. Un’attenzione inquieta, in cui l’osservazione di qualcosa diventa osservazione di qualcos’altro. Alla fine non è il paese che mi interessa, ma quel paese un poco più grande che chiamiamo mondo. Mi interessa la contemplazione di quello che c’è. Mi piacciono le persone che mettono la percezione davanti alla discussione. Nutrirsi di immagini più che di opinioni, nutrirsi di dettagli più che di astrazioni. Dentro questa cornice la definizione non mi va stretta, anzi, devo solo continuare a lavorare per meritarla a pieno.


Nel versante paesologico della tua produzione a che punto si situa Terracarne? È un punto d’arrivo o un rilancio verso nuovi luoghi?

Terracarne forse è il mio ultimo libro di reportage dai paesi, ma il lavoro paesologico non è certo finito, anzi, mi pare tutto ancora da svolgere. Cerco paesologi, mi pare che ce ne sia bisogno. Ci sono tanti paesi, e ci sono ancora tante persone che li abitano, ma non è che ci siano tante descrizioni sul come sono adesso i paesi. C’è tanto da fare, e ovviamente ognuno deve farlo col suo corpo. La prossima estate ci saranno brevi scuole di paesologia in diversi luoghi, un modo di proseguire Terracarne. Un altro modo è il cinema. Ho appena finito un video sulla mia Irpinia. È un’opera di cui sono molto contento. E poi c’è la poesia. Ad aprile uscirà per Transeuropa una mia raccolta di versi paesologici. 

 

 

Qual è il tuo metodo di lavoro o meglio di osservazione dei luoghi? Da dove parti? Con chi parli? Come si traduce in scrittura?

 

Non so se si può parlare di un ‘metodo Arminio’. In generale mi piace andare nei luoghi dove non va nessuno, ma poi vado ovunque capiti e parlo con chi capita: è un ascolto fluttuante in cui le persone spesso sono lo sfondo e il paesaggio è la figura che agisce. Comunque ho una mia Italia che poco coincide con l’Italia più conosciuta. Penso alla Lucania, quasi tutta, a pezzi del Molise, all’Irpinia d’oriente, alla Puglia montuosa e a tutta la parte interna della provincia di Salerno. Mi sento un ricco possidente, come se quelle terre fossero mie. Me le hanno lasciate quelli che sono andati via e il mio lavoro è farle fruttare. Sono un contadino della desolazione.

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