Alberto Prunetti. Amianto
Le parole di Alberto Prunetti sono pietre. Dure, grevi, precise, come il titolo del suo libro: Amianto, la biografia di un operaio: il metalmeccanico saldatore tubista Renato, padre dello scrittore.
Negli anni Sessanta del boom economico, Renato è un giovane che di giorno lavora in fabbrica e la sera fa il cameriere, si sposa, compra casa, diventa padre. E poi continua a lavorare in trasferta, senza sosta. Le ricorrenze della sua vita sono legate ai luoghi delle raffinerie e delle acciaierie più tossiche del nostro paese: Casale Monferrato, Taranto, Piombino, Busalla. Un Grand Tour alla rovescia, scandito dalle scorie dei metalli pesanti che gli entrano nel corpo: piombo, titanio, zinco, e poi l’amianto, le cui fibre indistruttibili si depositano sui polmoni e generano un tumore che arriva al cervello.
Alberto deve ricostruire il curriculum del padre: rovista tra i suoi scatoloni, ritrova le tessere d’entrata in fabbrica e gli appunti delle assemblee sindacali. Poi comincia a scrivere; controvoglia. Eppure la trama prende corpo. Il figlio scrittore si rende conto di aver imparato dal padre come si costruisce una solida struttura: dalle date sterili di quel curriculum sgorgano i ricordi, impressi sulla pagina con una scrittura senza sbavature e una lingua dura come i metalli piegati da Renato. Un ordine del discorso che diventa anche l’ordine delle loro vite, quella di un padre che cammina a fianco del figlio: il liceo, la passione per il calcio e gli spaghetti western, l’università come fuga dalla fabbrica e dai suoi veleni.
Tutto si gioca sul versante della memoria che cola sul foglio come colano le lacrime. A gocce, a rivoli, a singhiozzi strozzati, a colpi di rabbia per una sorte che nessuno meriterebbe di subire: morire del proprio lavoro. Ma in questo libro ci sono anche tanti ricordi felici: la ruvida simpatia di Renato e le passeggiate sulla spiaggia a sentire il libeccio che sferza la pelle, poco prima di vedere il proprio padre immobile, con la morfina pompata nelle vene.
Amianto è un libro che fa venire voglia di gridare, indignarsi e chiedersi come tutto ciò possa accadere, talvolta anche agli uomini e alle donne che ci stanno vicini e all’improvviso scompaiono dalle nostre vite.
Se questo è un uomo, direbbe Primo Levi, che muore per aver vissuto, lavorato, respirato, la risposta è sì. Renato Prunetti è un uomo. E la sua storia, come quella di molti altri, dovrebbe rimanere scolpita dentro la testa e il cuore di ogni lettore.