Behind the red moon alla Tate Modern

14 Novembre 2023

“Gli artisti africani ci sono sempre stati ed hanno sempre creato cose fantastiche, il resto del mondo se ne sta accorgendo solo ora” (Ynka Shonibare, 2020)

C’è una escalation di interesse per l’arte africana in Gran Bretagna. Non solo nel mercato l’annuale 1/54 Contemporary African Art Sale ogni autunno (dal 2013) porta nelle sale della Somerset House, le gallerie del settore dal mondo intero, ma un numero sempre più alto di mostre ed eventi (In the black fantastic alla Hayward Gallery (2022); A world in common alla Tate Modern (2023); Lagos, Peckham repeat alla South London Gallery (2023) e Behind the red moon (Tate Modern, 2023) celebrano la vitalità, l’energia, il senso di libertà di una creatività che si mantiene salda nei valori classici del bello e del poetico senza rinunciare a fare politica.

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El Anatsui. Behind the red moon. Installation View. Tate. The world.

È di El Anatsui (1944, Ghana) l'ultima commissione della Hyundai per la gigantesca ex sala delle macchine della Tate Modern: La Turbine Hall. L'ingresso al museo lato fiume da circa dieci anni offre i suoi spazi ad artisti scelti per realizzare sostanzialmente due obiettivi: un’opera in situ che si sposi con l'ambiente e la città e che porti anche avanti il linguaggio e la ricerca dell’arte contemporanea, sempre più in prima linea nelle crisi esistenziali che viviamo. 

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El Anatsui. Behind the red moon. Installation view. L'artista alla Tate Modern 2023.

Di dimensioni spettacolari, (uno dei tre arazzi che compongono l’opera è alto circa 20 metri), Dietro la luna rossa (Behind the red moon) s’inserisce nel percorso artistico di Anatsui che dai primi anni del 2000 realizza sculture fatte con quello che resta delle confezioni di bottiglie di alcolici. Dai tappi alla pellicola che riveste il collo delle bottiglie, fino alle guarnizioni, tutto viene riciclato, fatto a pezzi, accartocciato, poi appiattito e ridotto a fogli di alluminio bucati e legati insieme con il fil di rame. Il risultato sono distese di pezzettini sottili di metallo assemblati recto/verso, come dei teli delicati e preziosissimi che riflettono ed assorbono la luce mentre si lasciano muovere dall’aria con la leggerezza di lenzuola appese. “Porosi e scintillanti spazi di immaginazione” – li chiama Robert Storr (2007) che se esteticamente appagano il desiderio di bellezza, concettualmente presentano dei paradossi. La giustapposizione di un effetto di ricchezza alla povertà dei materiali usati; il senso di unicità della trasformazione artistica contrapposto all’indecenza dell’uso e getta del commercio. Politicamente poi ci invitano a delle riflessioni su un passato complesso: il colonialismo che si manifesta anche nell’abitudine a privilegiare i “modelli” del più forte ed emulare la cultura di chi detta ed ha dettato legge a scapito di usanze e tradizioni proprie.

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El Anatsui. Behind the red moon. Installation View. Tate. The wall.

“C’è un collegamento tra l’Africa, l’Europa e l’America dietro i miei tappi di bottiglia” – spiega l’artista che nel 2007 inaugura con Dusasa I e Dusasa II alla biennale di Venezia il suo nuovo linguaggio di elegantissime sculture di metallo, esprimendo il bisogno di avviare una conversazione sulle conseguenze del colonialismo nell’arte, attraverso l’arte.  

Come il trittico di Behind the red moon, le luminose intelaiature delle due Dusasa (“Du” e “Sasa” nella lingua del gruppo etnico Ewe da cui proviene Anatsui significano mettere insieme elementi disparati) sono un mosaico di tappi di bottiglia, il frutto di un lavoro metodico, quotidiano, della fatica di centinaia di mani (impensabile che l’artista crei da solo i suoi immensi affreschi tridimensionali) che si sono messe a cucire in comunità. Un’allusione al grande, doloroso e mai riconosciuto contributo fatto dalle comunità delle popolazioni di colore al tessuto delle società occidentali? Più diretto come rimando al colonialismo è l’alcol. Nel commercio triangolare della tratta Atlantica tra Europa Africa e America l’alcol giocava un ruolo fondamentale. Era in primo luogo un grande mezzo di scambio; spesso infatti bastavano ai trafficanti poche bottiglie per avere un numero indeterminato di uomini da vendere. In secondo luogo, teneva a bada gli schiavi durante le lunghissime traversate in nave, evitando sommosse. Ma anche una volta arrivati nelle piantagioni americane, i liquori, soprattutto il rum, erano potenti sostanze di controllo e coercizione.  

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El Anatsui. Behind the red moon. Installation View. Tate. The red moon.

Il rimando è forte anche se evocato poeticamente attraverso una tecnica che in molti aspetti resta comunque legata ad un linguaggio creativo d’impostazione occidentale- l’astrazione, la frammentarietà, il riciclo di resti industriali trasformati in oggetti d’arte; un’ambivalenza (quella di usare delle tecniche di scuola occidentale per raccontare il dominio culturale dell’occidente)  che appartiene a tanti artisti cresciuti in territori liberi, politicamente indipendenti, ma culturalmente ancora condizionati dai canoni artistici del colonizzatore. In Africa in particolare, è stata proprio la generazione di Anatsui (quella degli anni ‘40 e ‘50 del ‘900) a sentirsi chiamata in qualche modo a spogliarsi di etiche culturali imposte per riscoprire dei canoni autoctoni, interrogandosi anche sulle possibilità di un compromesso tra l’aspirazione a fare un’arte puramente africana e la realtà dei condizionamenti di anni ed anni di dominazione straniera.

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El Anatsui. Behind the red moon. Intsallation View. Tate. The red moon.

Behind the red moon ce la fa. Pur conservando un vocabolario d’impronta anglofona, l’opera riesce a recuperare un’eredità di storie e viaggi in mare, di divinità di terra, d’acqua, d’aria e di contatto con un pianeta che per quanto tragicamente aggredito dalle dinamiche di potere e sfruttamento delle politiche capitalistiche, resta l’inizio e la fine del viaggio di ogni uomo. The red moon, il primo arazzo del trittico è anche il primo atto di una storia di emigrazione.  

La luna rossa che batteva sulle vele delle grandi navi sull’Atlantico lasciandosi alle spalle gli ocra, gli arancione, i rosa e gli azzurro chiaro dei tramonti nelle oasi sul deserto evocati dalla tavolozza di colori scelti dall’artista per questo momento del viaggio: la partenza.

Oltre l’arazzo, in alto delle figure di uomini e donne accovacciate sono nate dai sigilli delle bottiglie di liquore ridotti a filari sottilissimi a forma di anelli. Dei vuoti di una leggerezza etera che a mano a mano che ci si avvicina e la visuale cambia, da separati si uniscono formano come la sfera della terra.

The world è il pianeta terra battuto dagli eterni, infiniti flussi migratori di uomini e donne che cambiano, si adattano e si rigenerano. Qualche passo più avanti, il terzo atto: The wall, è un drappo dai colori notturni di violetti, verdi salmastri, marroni e neri che dal soffitto della Turbine Hall si lascia cadere a terra dove si ripiega in forme che potrebbero essere onde di mare o di deserto. Un movimento che si agita in verticale ed in orizzontale dando il senso di un soffio continuo, la nostra eternità: la vita che continua.

In copertina, El Anatsui. Behind the red moon. Installation view. Tate. 

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