Colori 5. Storia del giallo
Cos’è il giallo? Un colore. Ma è anche una materia con cui tingere tessuti, quadri, oggetti; inoltre è presente in natura: il limone, il grano, lo zafferano, l’oro. Semplice, no? Per nulla. Nel colore niente è così ovvio come sembra. Già a partire dalle parole che lo indicano, le cose si complicano. Basta aprire un dizionario e cercare un lemma seppur stringato che ci dica cosa è il “giallo”.
Le definizioni dei colori sono cambiate nel corso dei secoli e, anche stando al mondo attuale, lo stesso colore ha enunciazioni diverse. Il colore è stato dapprima una materia, poi una luce e quindi una sensazione. La parola colore viene dal latino; nelle lingue europee si ricollega alla famiglia del verbo celare: “nascondere”, “avvolgere”, “dissimulare”. Il temine greco chroma deriva da chros, pelle o superficie corporea.
Lo stesso tedesco Farbe viene da un antico termine che indica pellicola, involucro. Insomma, il colore non sarebbe una materia bensì un’altra superficie. In Occidente la svolta è avvenuta nel 1666 per effetto degli scritti di Isaac Newton, pubblicati diversi decenni dopo. Da quel momento il giallo non era più una materia con cui dare colore alle cose, ma una luce. Poi nell’ultimo secolo i temi percettivi hanno dominato, così che non conta solo la fonte di luce e l’oggetto su cui cade, ma anche l’occhio che vede: la coppia occhio-cervello.
La luce, ci dicono gli studiosi, non esiste se non è percepita. Goethe nella sua Teoria del colore scrive: “Un colore che non è osservato è un colore che non esiste”. Allora cosa è il giallo? Del mondo preistorico sappiamo poco, se non che il rosso era il colore fondamentale, associato alla forza, al potere, alla violenza, all’amore e alla bellezza. Prima dell’età greca il giallo, e anche il verde, erano ben poco considerati.
C’era l’oro, aurus, nel significato di dorato/oro e di giallo brillante e saturo. Monete, tombe, affreschi: l’oro crea mitologie nel mondo antico, egizio, e poi greco. C’è la mitica età dell’oro in Esiodo, e il culto del Sole, il dio Ra, ed Elios. Tutti i culti antichi sottolineano il legame tra il giallo e la lucentezza, l’energia, la gioventù, la bellezza, la fecondità. Tuttavia non è il giallo come lo pensiamo noi oggi. Le stoffe sono gialle proprio per questo legame con il Sole, a Roma particolarmente, anche se si lega al colore delle donne e degli effeminati, sostiene Cicerone nella sua disputa con Clodio.
Secondo la classificazione di Aristotele, conservatesi per lungo tempo, si va dal chiaro all’oscuro; i colori considerati sono: bianco, giallo, arancio, rosso, verde, blu e nero. Pastoureau in un suo libro sul giallo si sofferma su una questione fondamentale: come nominare i colori? Tema molto complesso. Esistono termini diversi per indicare il giallo, tra cui flavus, che qualifica i gialli in natura, come fiori, frutti, manti di animali, ma anche i capelli “simili all’oro”. Il latino possiede due parole: croceus e luteus. Col cristianesimo però cambia tutto.
Da colore benefico diventa non-benefico. La Bibbia ebraica è povera di colori, anche se di traduzione in traduzione, dall’età tardo antica al Medioevo, molti se ne aggiungono. Tuttavia c’è poco giallo e molto oro. Pian piano il primo diventa un colore equivoco, salvo nei blasoni araldici. Le regine continuano però ad essere bionde come Apollo e Afrodite, salvo Ginevra, la bruna, forse non a caso un’adultera. Come diventa un colore negativo, o almeno associato al negativo? Una spiegazione univoca non c’è.
Una riguarda il colorito umano abbinato ai tipi di carattere; nel Medioevo e nel Rinascimento il giallo è un colore secco, legato a un umore negativo e a un organo, la bile, quindi al carattere collerico. Esprime declino, inaridimento, invecchiamento. Il primo vizio a cui viene associato è l’invidia; per questo è visto come un colore falso e doppio, che inganna e imbroglia. Dalla bile si passa alla menzogna e alla “fellonia”.
Quindi, scivolando sempre più verso il negativo, diventa il colore dell’eresia e del tradimento. Nella Cappella degli Scrovegni Giotto dipinge Giuda con abiti gialli: il diavolo poggia la mano sulla sua spalla ricoperta da una veste gialla, mentre il traditore regge la borsa coi trenta denari con la mano sinistra. Questo colore viene via via attribuito a carnefici, usurali, prostitute, falsari, musicanti, cantastorie e buffoni. Non è tutto così deciso e uniforme, ci sono delle eccezioni. Dopo la grande peste del XV secolo, ad esempio, i sopravvissuti iniziano a indossare abiti dai colori sgargianti, in particolare le donne: la gioia di vivere.
Ma da dove viene il giallo con cui sono marchiati gli ebrei? Non è chiarissimo. Già dal Concilio Laterano IV nel 1215 si stabilisce di distinguere ebrei e musulmani dai cristiani con un costume specifico. Le autorità secolari procedono in ordine sparso usando colori e forme differenti: rosso, bianco, verde, nero; e poi un simbolo o un oggetto: una rotella, una losanga, una stella, una cuffia, una cintura. Non solo loro: tutti quelli che esercitano mestieri reputati pericolosi, disonesti o solo sospetti come chirurghi, musicanti, vagabondi e mendicanti. Nell’arco di poco tempo il giallo dai vestiti delle classi alte.
Non è più di moda. Bisogna ricordare che per la Riforma l’abito sarà sempre un segno di vergogna. Adamo ed Eva prima della cacciata dal Paradiso Terrestre erano nudi; dopo si vestono. I riformati condannano i colori vivaci a vantaggio del nero e del blu scuro. Sono stati loro a rendere scuro l’abito serio nei secoli successivi al Cinquecento: nero, grigio, marrone. Nel periodo tra il XVII e il XVIII secolo il giallo è all’ultimo posto nel gradimento della cultura europea: primo il rosso o il blu, poi il bianco e il nero, quindi il verde.
Ultimo il giallo. Così per secoli sino a che negli anni che precedono la Prima Guerra mondiale avviene il ritorno del giallo, prima di tutto in pittura: sono i Nabis, i Fauves, i cubisti, i futuristi, gli espressionisti. Tutto questo contro il dominio della cultura protestante, che ha attecchito nei paesi del capitalismo trionfante, in particolare in USA, dove il nero è il primo colore. Il giallo spicca e per questo viene assegnato alle divise, agli oggetti che vogliono attirare l’attenzione. I pittori amano il giallo, colore caldo e luminoso.
Basta guardare la “Casa gialla” di Van Gogh (1888). Comincia a vacillare la cromofobia luterana, calvinista e protestante, che è andata di pari passo con l’iconoclastia. Tornano gli arancioni, i rosa, i verdi, i viola. Anche se il giallo resta il colore delle prostitute. Pastoureau cita lo sport come campo in cui questo colore ha la propria rivincita, dal momento che le maglie dei giocatori usano colori vivi, a partire dal giallo: la maglia del Tour o il rosa del Giro d’Italia; le palline nel tennis diventano gialle nel 1972 e i tennisti, ad esempio Borg, si vestono con questa tinta.
Tuttavia nelle grandi città europee il giallo non è molto presente nelle facciate di case e palazzi, negli abiti delle persone e nelle carrozzerie delle automobili, solo i taxi lo sono. La sua negatività permane: nel corso del Novecento il nazismo l’ha usato per marcare uomini e donne di religione ebraica. In casa solo nelle camerette dei bambini o nelle cucine i muri vengono tinti di giallo. Resta per tutti un colore eccentrico. C’è anche il giallo dei gilets jaunes. Diventa il colore del pericolo? In parte sì, ma gareggia ancora con il rosso. Pastoureau ipotizza che dal momento che è poco usato può essere un colore disponibile. Designer di oggetti e di abiti, architetti e progettisti lo utilizzeranno? Sarà il colore del futuro? Possibile.
Per saperne di più:
Sulla storia del colore la trattazione più ampia si trova in: Giallo di M. Pastoureau (Ponte alle Grazie); sulla pelle gialla si veda: S. Scott Kastan e S. Farthing, Sul colore (Einaudi) con molte informazioni utili; sui vari tipi di giallo il libro da consultare è: K. St Clair, Atlante sentimentale dei colori (Utet) e anche R. Falcinelli, Cromorama (Einaudi); D. Jarman, Chroma (Ubulibri) dove si leggono le più belle osservazioni sul giallo e non solo; per capire il giallo nella pittura si veda il libro del critico d’arte Alberto Boatto, Di tutti i colori (Laterza).
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