L'immagine viva della fotografia digitale / Dal dagherrotipo ai selfie

3 Aprile 2016

Secondo Vilém Flusser, l’arrivo dell’immagine fotografica ha rappresentato per la cultura occidentale un’innovazione radicale. Un’innovazione che può addirittura essere paragonata a quella che è stata introdotta in precedenza dalla scrittura umana. Il linguaggio verbale ha imposto infatti agli individui di riflettere su tutto quello che dicevano e li ha aiutati di conseguenza a prendere coscienza di sé. Pertanto, è grazie principalmente a tale linguaggio che le civiltà umane hanno potuto maturare e sviluppare una propria autocoscienza. La fotografia dunque ha determinato uno choc culturale che può essere avvicinato a quello che era stato creato in precedenza dalla comparsa del linguaggio scritto. Si è presentata nel 1839 nella forma di un procedimento fotografico ancora rudimentale come il dagherrotipo, ma già quattro anni prima William Henry Fox Talbot aveva creato il primo negativo, grazie al quale è stato possibile stampare in seguito l’immagine su carta. La fotografia ha assunto così la capacità di riprodursi nella quantità desiderata a partire da un’unica matrice di base. È diventata cioè un oggetto che, esattamente come i beni industriali, poteva essere prodotto in serie per grandi masse di persone. È stato soprattutto l’industriale statunitense George Eastman a fare progredire questo processo attraverso la commercializzazione nel 1888 della prima macchina fotografica Kodak, uno strumento portatile, dotato di una pellicola in rullino, semplice da utilizzare e corredato da un servizio di sviluppo e stampa.  

 

Nel celebre saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin ha mostrato come la comparsa della riproduzione industriale dell’immagine abbia reso anacronistico contrapporre l’opera d’arte tradizionale, con la sua affascinante “aura”, e la merce, con la sua banalità. Infatti, storicamente è sempre stato possibile produrre più esemplari delle opere d’arte, mentre quello che è successo dall’Ottocento in poi con l’arrivo della fotografia è stato l’imporsi di un processo di riproduzione meccanica dell’immagine grazie al quale la tecnologia si è imposta con forza sull’azione e sulla competenza dell’artista. La mano dell’artista è diventata così meno necessaria e l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’occhio che guarda attraverso l’obiettivo.  D’altronde, la fotografia sembra non essere interessata a quell’eternità alla quale mirava l’opera d’arte tradizionale. Essa, infatti, è differente, perché è in grado di bloccare l’istante, cioè di isolare dei frammenti singoli all’interno di un flusso temporale in costante movimento. Possiede pertanto la capacità di cogliere e fissare quei frammenti infinitesimali di realtà che normalmente sfuggono alla vista e alla percezione cosciente degli esseri umani. Con le sue possibilità tecniche (lo scatto in frazioni di secondo, l’ingrandimento), essa è in grado dunque di portare alla luce quella dimensione non apparente della cultura sociale che ancora Benjamin ha felicemente definito «inconscio ottico» (p. 63).

 

Con il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale il mezzo fotografico ha modificato la sua natura. La fotografia digitale infatti, a differenza di quella che l’ha preceduta, è qualcosa di vivo, un’immagine che non è più prodotta a partire dalla riproduzione della realtà fisica in quanto viene generata da un algoritmo informatico e può pertanto essere facilmente modificata. Se con la fotografia analogica la manipolazione dell’immagine rappresentava un’eccezione, con quella digitale tale manipolazione si trasforma dunque in una prassi pressoché abituale. Per tale motivo all’interno della seconda il dubbio tende a diventare una presenza costante. Ma ciò non spaventa gli individui, che sono rassicurati proprio dalle caratteristiche di instabilità e incertezza dell’immagine digitale, le quali inducono a pensare che nell’universo dell’immagine digitale sia sempre possibile intervenire per effettuare delle correzioni e rimediare così ai propri errori. 

 

Più in generale, con il digitale il mondo della fotografia si è progressivamente esteso ed è diventato un vero e proprio luogo di esperienza di vita. Mostra cioè con chiarezza di possedere quella capacità che molti studiosi hanno attribuito ai media contemporanei: la capacità di operare come un ambiente sociale nel quale è possibile sviluppare e intrattenere delle relazioni. Non a caso la fotografia, per l’individuo, ha allungato la sua esistenza, in quanto è passata dal semplice scatto a una successione di fasi: cattura, editing, condivisione, interazione. Il digitale, inoltre, ha ulteriormente rafforzato il ruolo di chi scatta la fotografia. Ciò è reso possibile dalla grande facilità di accesso e impiego che gli apparecchi digitali possiedono, ma anche dal fascino della fotografia stessa, che permette di documentare le esperienze vissute e la propria presenza in esse. Così oggi è diventato una vera e propria moda di massa l’atto di produrre un selfie, cioè una fotografia di se stessi, di solito realizzato mediante uno smartphone che consente anche di diffonderla immediatamente attraverso i social network. 

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