Dispacci #6. Territà
I ghiacciai si sciolgono, si sciolgono davvero, ma il mormorio delle loro acque di dissoluzione o il boato dei loro crolli non generano giganti cosmogonici come nella mitologia norrena, fanno spuntare buchi che si moltiplicano in un inesorabile incubo tripofobico. La vera essenza dell’Antropocene è questa, la smagliatura senza rammendo, la dispersione termica senza neghentropia. Per questo, alla ricerca di antidoti, nel bisogno di un logos rigenerativo, più che di un veteroumanesimo zombie o di un ex machina apocalittico, avremmo bisogno di studiare una salvezza generazionale a partire dalla territà.
La territà non è la vecchia Terra rivisitata o un nuovo gadget concettuale, non è un ectoplasma editoriale o una mistica ciarlatana, la territà è quel modo che ha il Cosmo di prendere coscienza di sé attraverso la capacità immaginativa di Homo sapiens, a partire dai suoi piedi, dal terreno che la nostra specie pensa e racconta da sempre camminandoci sopra. Eppure, saggi e romanzi sul disastro ambientale non riescono a isolare frammenti di territà, la lirica bucolica ecocentrata è un eterno sbadiglio, così ci vuole altro, e quello che manca è il tempo, quello profondo, “geologico”, e quello complesso, collassato su sé stesso, dove presente, passato e futuro sono come gli strati di una torta caduta per terra, esplosa.
Dove dobbiamo guardare, allora? Per seguire indizi di territà ci sono autori fuori dal radar, come i geografi anarchici (Reclus, Kropotkin, Bertoni), come i “poeti della terra” (Juan Liscano, Lorand Gaspar, Kenneth White), e poi ci sono anche esploratori completamente anomali, come Frederick Turner e i suoi poemi epici: The New World (1985) sulla Terra nel 2376, Genesis (1990) sulla terraformazione di Marte, Apocalypse (2012) sul destino climatico del nostro pianeta nel 2067.
Oggi l’epica (non i suoi surrogati senza tecnica e profondità antropologica) sembra tornare nella riflessione narratologica perché propone un modello di tempo alternativo alle poetiche dell’istante e del progresso lineare, una visione più coerente per scala e dinamiche al nostro bisogno di territà. Quale domani si prepara per chi sa leggere epica oggi? Quale oggi non siamo in grado di leggere perché ci manca una prospettiva epica?
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